L’attesa e’ finita: stasera big ed emergenti si sfideranno sul palco dell’Ariston, ma se i risultati di Sanremo sono attesi dalla tv e dalla radio, per il mercato musicale sono “ininfluenti”. Il festival, rivela all’Agi Enzo Mazza, presidente della Federazione industria musicale italiana (Fimi), “incide per circa l’1% anche se nel 2015 ha mostrato per la prima volta una discreta performance”. Il settore discografico ha subito nel decennio 1999-2009 una crisi senza precedenti. Dieci anni in cui ha perso il 74% del suo valore di mercato con conseguenze occupazionali importanti, secondo i dati dell’ultimo rapporto della Fimi. Oggi il settore – spiega Mazza – “vale meno della meta’ di quello che valeva nel 2009”, nonostante i dati relativi ai primi novi mesi del 2015 mostrino una crescita del 25% rispetto all’anno precedente che tocca i 93,9 milioni di euro.
Un primo forte scossone, continua Mazza, e’ arrivato dalla pirateria digitale di massa che tra il 1999 e il 2003 ha colpito pesantemente il settore fino alla nascita di iTunes, che ha sdoganato la musica a costo contenuto. “Con lo sviluppo di un’adeguata offerta legale, la pirateria e’ scesa”. Sulla stessa linea il compositore e produttore discografico Massimiliano Pani: “La musica in se’ non e’ in crisi, ma e’ cambiato il modo in cui essa viene fruita. Il cd e il vinile sono prodotti obsoleti. E’ come se volessimo vendere la carrozza con i cavalli dopo l’arrivo della macchina a vapore. Diversi fenomeni hanno contribuito al crollo del mercato discografico, di certo il fatto che e’ possibile ascoltare qualsiasi brano gratis su internet ha inciso in maniera determinante sulle abitudini di ascolto”.A cio’ si aggiunge la lentezza con cui ha reagito l’industria che “non ha saputo adeguare con altrettanta velocita’ i modelli di business” e pertanto “gli effetti iniziali sono stati molto pesanti” ha detto ancora Mazza.
Dai suoi dieci anni horribili l’industria musicale esce completamente trasformata, soprattutto per quanto riguarda il settore commerciale: “negli anni ’90 – racconta all’Agi il presidente di Sony Italia Andrea Rosi – “le aziende fatturavano delle scatole piene di pezzi di plastica che venivano caricati sui camion e arrivavano in determinati punti vendita. Oggi quelle stesse aziende ricevono rendiconti da Spotify. E’ del tutto diversa la parte di gestione, marketing, la parte legale perche’ i contratti stanno cambiando e sono sempre piu’ complessi”. Non solo: nell’industria musicale pre-crisi “non c’era quasi nessun rapporto tra consumatore e produttore o tra consumatore e artista. Oggi lo tsunami dei social ha ribaltato questo concetto. Ed e’ la stessa casa discografica a setacciare ogni giorno il web”.
Ma i dati dimostrano “l’importanza di un business che ultimamente e’ stato sottovalutato rubricandolo al ‘tanto non si vendono piu’ dischi'” ha detto all’Agi Claudio Ferrante, Ceo e fondatore di Artist First. A trainare il settore, almeno in Italia, – spiega Mazza – e’ oggi sicuramente il digitale, e in particolare lo streaming, la killer application, con tassi di crescita notevoli guidati soprattutto dal mobile”. E se gli artisti italiani dominano nel segmento album ‘fisici’, gli internazionali regnano nello streaming e si contendono la classifica a colpi di singoli.
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