Su un quotidiano c’è la notizia di un minore arrestato per atti di bullismo persistente, reiterato, senza alcuna vergogna di infierire sul più debole, il più fragile, quello ingiustamente declinato a sfigato, la solita vittima, sempre più spesso all’angolo senza alcuna giustizia.
Altri minorenni denunciati per possesso di droga, in classe, a scuola, dentro gli zainetti, come fosse un prodotto naturale da commerciare, usare, trasportare da uno spazio all’altro, dentro una vita appena iniziata e già compromessa.
Ragazzi a studiare per obbligo, poca attenzione alla salita, alla porta chiusa da aprire con garbo, studenti fermi all’angolo ad aspettare un passaggio, un tiramisù che stende senza fare complimenti.
Una mamma distrutta dal dolore chiede sommessamente: perchè mio figlio in carcere? Perché mio figlio senza essere un delinquente?
Valori e disvalori che si cambiano di abito, di posto, si nascondono, si mimetizzano, costringendo all’appropriazione indebita, a rubare, rapinare, uccidere la dignità delle persone.
Compagni di viaggio che non si dimostrano persone autorevoli, su Dio che c’è ma ne rifiutiamo le orme da seguire, le tracce da custodire e curare con attenzione.
Forse occorre una maggiore prevenzione, una minore sindacalizzazione delle attenuanti sempre prevalenti alle aggravanti, un impegno condiviso a rispettare le parole, le forme, i contenuti, a chiamare con il proprio nome gli indicatori di pericolo sparsi all’intorno, le luci rosse di emergenza, dapprima intermittenti, poi paralizzate dall’approssimarsi di una desolazione intellettuale, che toglie spessore e importanza alle regole, al rispetto dei ruoli, delle competenze, così facendo la stessa vita umana rischia di perdere il suo valore.
Educarci a fare meno strategia discorsiva, per contrastare il verificarsi di accadimenti dichiarati semplicisticamente “accidentali” lungo il percorso scolastico.
Sono soltanto ragazzate, inutile farla tanta grave. Invece sono misfatti che confermano non solamente gli atteggiamenti trasgressivi, bensì un vero e proprio stile di vita improntato all’uso dell’illegalità, della violenza, della prevaricazione, del sopruso, persino nell’acquisto, nella vendita di droga, comunque merce illegale, come a voler rivendicare che non si è più dipendenti dai soldi di mamma, non si deve più rubare in casa: “ora compro, vendo, mi faccio i denari per avere sempre la mia dose giornaliera“.
Oltre che scandalizzarsi per il luogo ove è avvenuto il fermo, bisogna abbandonare definitivamente la pratica buonista e deleteria della giustificazione, della commiserazione. Chissà, forse c’è urgenza di imparare ancora qualcosa da Umberto Eco appena scomparso: “le parole non sono soltanto un fatto estetico per quanto importante, le parole sono trave di carico per un’etica di ognuno e di ciascuno”.
Vincenzo Andraous
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