Il rallentamento della Cina (Pil a +6,9% nel 2015) va visto nell’ottica di un riequilibrio della propria struttura economica, in futuro maggiormente orientata sui consumi, meno su export e investimenti. • Questo aggiustamento ha impatto sull’economia globale e, in particolar modo, su alcune economie dell’America Latina che subiscono una flessione delle proprie esportazioni di commodity (in particolare minerarie). • Gli effetti non sono però uguali per tutti: il ribilanciamento cinese può rappresentare un vantaggio per i paesi esportatori di quei prodotti – agroalimentari in primis – la cui domanda proveniente dal mercato cinese è, invece, prevista in accelerazione. • Tra i beneficiari ci sono non solo alcuni paesi dell’America Latina ma anche l’Italia. Le imprese italiane potranno cogliere due opportunità: (i) sfruttare l’evoluzione delle abitudini alimentari della popolazione cinese esportando beni alimentari lavorati di alta qualità nel Paese; (ii) fornire macchinari per la lavorazione delle materie prime agricole ai paesi latinoamericani, utili a incrementare la produzione di quei beni della terra (materie prime e semilavorati) che, in prospettiva, potrebbero essere appetibili nel mercato cinese.
La Cina è divenuta, già a partire dal 201001, il maggiore consumatore di energia al mondo e, nel 2013, il primo paese per valore di merci scambiate. È il principale importatore globale di materie prime, quali minerale di ferro e rame, e il secondo importatore netto di petrolio dopo gli Stati Uniti. La crescita trainata dagli investimenti pubblici, specialmente nell’industria pesante, ha portato la Cina alla necessità di un ribilanciamento della propria struttura economica. Il governo ha l’obiettivo di ridurre il peso degli investimenti sul Pil (pari a circa il 50%) e di affrontare i problemi di carattere ambientale, legati ad un intenso utilizzo del carbone come fonte di energia primaria (Grafico 1), attraverso: • maggiori stimoli ai consumi interni (a discapito di investimenti ed esportazioni); • produzione di beni di qualità più elevata e sviluppo del settore dei servizi; • ricorso a fonti rinnovabili per la produzione di energia.
Quali sono le possibili conseguenze di tale strategia? Innanzitutto un rallentamento della crescita, fenomeno peraltro già in corso: dopo i tassi a doppia cifra registrati nella prima decade degli anni 2000, nel 2015 la Cina è cresciuta ad un tasso del 6,9% (il più basso dal 1991) e si prevede che possa raggiungere il 6% nel 201702. Ricordiamo, tuttavia, che si tratta di tassi ancora doppi o tripli rispetto alle economie avanzate più sane e che insistono su un prodotto interno lordo che è quasi dieci volte rispetto a quello di quindici anni fa03. In secondo luogo, la riduzione dell’import cinese di materie prime. In particolare: • lo stimolo ai consumi interni e l’urbanizzazione porteranno ad un cambiamento nelle abitudini alimentari: i beni primari (come riso e soya04) saranno in parte sostituiti da prodotti alimentari lavorati (ad es. formaggi, carne); • l’obiettivo di produrre beni a più alto valore aggiunto causerà una minore domanda di metalli di base impiegati nell’industria pesante (minerale di ferro e rame), in favore di metalli utilizzati nella produzione di beni di consumo (come zinco e alluminio); • l’attenzione alla salvaguardia ambientale porterà a un maggior ricorso alle energie rinnovabili e gas naturale in sostituzione del carbone.
AMERICA LATINA, PRO E CONTRO DELLA DIPENDENZA DALLA CINA Tra i paesi che subiranno gli effetti del cambio di rotta del Dragone ci sono quelli dell’America Latina, principali fornitori di materie prime al mercato cinese. Il calo della domanda della Cina e la conseguente riduzione dei prezzi delle materie prime sta, infatti, avendo ripercussioni negative sulla performance dell’area. Il Fondo Monetario Internazionale stima che, dopo una crescita media del 3,7% negli ultimi dieci anni, il Pil latinoamericano dovrebbe contrarsi dello 0,3% nel biennio 2015-16.
La Cina rappresenta un primario mercato di sbocco per i paesi dell’America Latina (Grafico 2), le cui esportazioni nel Paese sono aumentate, in media, del 22% (CAGR) negli ultimi dieci anni. I paesi che hanno contribuito maggiormente a questa crescita sono stati il Brasile, il Cile e il Venezuela. Tra i prodotti esportati c’è la prevalenza di minerali (Cile e Perù), idrocarburi (Colombia e Venezuela) e beni agroalimentari (Uruguay, Argentina e Brasile).
Il nuovo modello di crescita cinese potrebbe avere effetti diversi sui paesi latinoamericani, a seconda del bene esportato e del grado di dipendenza di questi dal commercio internazionale. Negativi per i metalli di base impiegati nell’industria pesante e nel settore delle costruzioni (settore che sta soffrendo per lo sgonfiarsi della bolla immobiliare creatasi negli anni recenti nei centri urbani), positivi per i beni agroalimentari e i metalli utilizzati nella produzione di beni di consumo (zinco, alluminio). In particolare (Tabella 1): – il Cile è tra le economie più esposte per via dell’elevata dipendenza dal rame, soprattutto per la componente destinata al settore delle costruzioni/infrastrutture; – il Brasile e il Perù si trovano nel mezzo, dato che esportano sia prodotti legati al settore food (soia, prodotti ittici) e sia minerali (minerale di ferro, rame); – l’Uruguay, che esporta principalmente generi alimentari, dovrebbe invece trarne i maggiori benefici, così come l’Argentina.
I RIFLESSI POSITIVI PER LE IMPRESE ITALIANE Il nuovo scenario che si sta delineando vedrà, pertanto, un generale aumento della domanda cinese di beni alimentari, specialmente da parte della fascia di popolazione con reddito medio/alto residente nelle aree urbane. Vediamo nel dettaglio quali sono gli elementi che lasciano intuire nuovi vantaggi per le imprese italiane:
TIPS: I PRINCIPALI SEGNALI DA COGLIERE ► La parte di popolazione maggiormente abbiente delle grandi città cinesi è in proporzione molto numerosa, tanto che anche una piccola élite costituisce un elevato potenziale di consumo; ► Un numero crescente di città costiere mostra forti segnali di occidentalizzazione dei consumi, anche nel settore alimentare (pasta e prodotti tipici come l’olio extra-vergine di oliva o parmigiano); ► I nuovi flussi turistici cinesi sosterranno la domanda di prodotti esteri una volta rientrati in patria, grazie al contatto diretto tra consumatore cinese e cucina italiana; ► Il mercato continua a crescere esponenzialmente e la legislazione locale sarà progressivamente semplificata, facilitando l’ingresso sul mercato di nuovi importatori e distributori; ► La crescente domanda di alimenti sicuri da parte dei consumatori cinesi funge da stimolo all’importazione di prodotti finiti e allo sviluppo delle tecniche di conservazione degli alimenti freschi; ► La riduzione dei dazi sui prodotti di lusso approvata nel 2015 include anche i prodotti alimentari di alta qualità, primo fra tutti il vino. 7 FOCUS ON Il rallentamento cinese: non tutti i mali.
Alla luce di questi cambiamenti, possiamo ipotizzare l’apertura di due tipi di opportunità per le imprese italiane: Sfruttare l’evoluzione delle abitudini alimentari della popolazione cinese, aumentando l’export di beni alimentari lavorati di alta qualità in Cina Considerato che l’Italia difficilmente potrà competere con i concorrenti latinoamericani sulla produzione di beni alimentari “primari” su larga scala (soia, carne, cereali), si dovrà fare leva sulla sua capacità di produrre lavorazioni di elevata qualità attraverso strategie di penetrazione selettiva del mercato. Ma com’è posizionata l’Italia sul mercato alimentare cinese? Nel 2014 l’export italiano di generi agroalimentari in Cina è stato di circa 320 €/mln e, secondo stime SACE, nel 2018 dovrebbe raggiungere i 410 €/mln. Il principale prodotto esportato è il vino, con un peso sul totale di oltre il 23%, seguito dal cioccolato (22%) e dai prodotti da forno (10%); sul vino l’Italia subisce la concorrenza delle imprese francesi, che possono contare su un corridoio privilegiato per la risoluzione di problemi tecnici e doganali. L’olio di oliva, benché rappresenti solo il 7% circa dei beni alimentari esportati in Cina, vede l’Italia come il secondo esportatore dopo la Spagna. I prodotti residuali, quali ad esempio le carni e gli insaccati e i prodotti lattiero-caseari hanno ancora un peso ridotto ma margini di crescita elevati, come confermato dalle dinamiche degli ultimi anni (Grafico 4)05. Fornire macchinari per la lavorazione delle materie prime agricole ai paesi latinoamericani che cercano un aumento di produttività per quei beni agricoli (materie grezze e semilavorati) che, in prospettiva, potrebbero trarre vantaggio dal nuovo scenario economico cinese.
Considerato che l’Italia difficilmente potrà competere con i concorrenti latinoamericani sulla produzione di beni alimentari “primari” su larga scala (soia, carne, cereali), si dovrà fare leva sulla sua capacità di produrre lavorazioni di elevata qualità attraverso strategie di penetrazione selettiva del mercato. Ma com’è posizionata l’Italia sul mercato alimentare cinese? Nel 2014 l’export italiano di generi agroalimentari in Cina è stato di circa 320 €/mln e, secondo stime SACE, nel 2018 dovrebbe raggiungere i 410 €/mln. Il principale prodotto esportato è il vino, con un peso sul totale di oltre il 23%, seguito dal cioccolato (22%) e dai prodotti da forno (10%); sul vino l’Italia subisce la concorrenza delle imprese francesi, che possono contare su un corridoio privilegiato per la risoluzione di problemi tecnici e doganali. L’olio di oliva, benché rappresenti solo il 7% circa dei beni alimentari esportati in Cina, vede l’Italia come il secondo esportatore dopo la Spagna. I prodotti residuali, quali ad esempio le carni e gli insaccati e i prodotti lattiero-caseari hanno ancora un peso ridotto ma margini di crescita elevati, come confermato dalle dinamiche degli ultimi anni (Grafico 4)05.
Lo sviluppo del mercato alimentare cinese dipende dal livello di infrastrutture logistiche a supporto della rete di distribuzione, le quali sono concentrate nelle aree a maggiore densità di popolazione. Un canale distributivo con grandi potenzialità e che sta sperimentando una notevole crescita è quello online: basti pensare che nel “giorno dei single” dell’anno appena passato (11 novembre)06 il colosso dell’e-commerce Alibaba ha fatturato circa 14 miliardi di dollari in una sola giornata. Secondo le stime di Forbes nel 2020 ci potrebbero essere 750 milioni di utenti/consumatori online (nel 2014 erano 360 milioni). I canali di distribuzione “tradizionali” richiedono l’intermediazione di un partner locale (importatori e grossisti). Per poter aggredire il mercato al dettaglio si può scegliere il canale che passa per gli ipermercati o supermercati specializzati, i quali hanno una consolidata esperienza nel commercializzare prodotti importati e servono una clientela orientata ad acquistare beni di “nicchia”. Le imprese esportatrici italiane al momento devono necessariamente concludere accordi ad hoc (con aziende principalmente straniere) per utilizzare reti e piattaforme distributive e logistiche già esistenti.
L’Italia gioca già un ruolo importante nell’export di trattori e macchinari destinati al settore agroalimentare in America Latina; è infatti il terzo paese esportatore di questi beni dopo Stati Uniti e Brasile (Grafico 5). Questo dimostra come le imprese italiane siano ben posizionate e debbano continuare a consolidare la propria quota di mercato facendo leva su prodotti sempre più tecnologicamente evoluti e personalizzati, senza tralasciare l’assistenza post-vendita. Per agevolare l’ingresso nel mercato locale e aumentare la propria competitività, le imprese esportatrici dovranno altresì avvalersi di strumenti finanziari che permettano ai propri clienti di usufruire di pagamenti dilazionati e, al contempo, di coprirsi da eventuali rischi di mancato pagamento.
Nell’attuale quadro di rallentamento economico per i paesi emergenti, in particolar modo della Cina e di alcuni paesi dell’America Latina, si possono cogliere segnali di opportunità per le imprese italiane, specialmente nel settore dei beni alimentari lavorati, destinati al mercato cinese, ma anche nel comparto dei macchinari per la lavorazione di materie prime agricole destinati ai paesi latinoamericani. Le imprese italiane, sfruttando la tradizione e la qualità dei prodotti alimentari, in altre parole il brand “Italian food”, devono avviare strategie di penetrazione del mercato per raggiungere quei 30 milioni di consumatori cinesi ad alto reddito08. Pertanto, oltre alle soluzioni tecniche e commerciali, sarà importante per le aziende italiane dotarsi di soluzioni finanziarie che consentano di aumentare la competitività dell’offerta. In questo ambito, SACE può offrire un’ampia expertise e una rete di uffici locali e internazionali in grado di supportare l’azienda fin dalle primissime fasi della trattativa con strumenti che consentano (i) di esportare i propri prodotti concedendo ai clienti dilazioni di pagamento e (ii) di coprirsi dal rischio di credito commerciale, sia a breve (per i prodotti agro-alimentari) che a lungo termine (per l’export di macchinari).
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