8 marzo 2016. Non è un’otto marzo come tutti gli altri. Quest’anno ricorrono i 70 anni del primo voto alle donne, avvenuto alle elezioni amministrative del 1946. Le donne italiane dovettero aspettare il 1945 quando, con il Paese ancora diviso, fu emanato il decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945, n. 23 che riconobbe il diritto di voto, con grave ritardo rispetto ad altri paesi. Tuttavia, non c’era ancora il diritto all’elettorato passivo delle donne, che fu riconosciuto con il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74 che sancì il principio dell’uguaglianza tra i sessi per l’esercizio dei diritti politici.
Il 2 giugno del 1946 tutte le donne italiane poterono votare ed essere elette in elezioni politiche. Finalmente le donne potevano prendere attivamente parte alla vita politica. Sui banchi dell’Assemblea costituente sedettero le ventuno “prime parlamentari”, a ragione denominate “Madri costituenti”. Cinque di loro entrarono nella “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea Costituente di scrivere la Carta costituzionale. Per le donne fu una grandissima occasione: rispetto agli uomini, infatti, esse rappresentavano non solo le istanze del partito nelle cui liste erano state elette, ma anche le istanze femminili per cambiare finalmente in meglio la condizione delle donne. Contribuirono così in modo determinante a scrivere gli articoli più moderni e di principio della Costituzione.
Nei 70 trascorsi da allora, la strada verso la parità è stata tutta in salita e non lineare. Basti pensare che la percentuale di donne è passata dal 3,7% nell’Assemblea Costituente del 1946, ad appena il 21,1% alla Camera e 18,4% al Senato nel 2008, per poi fare un effettivo balzo in avanti solo nel 2013, con un incremento record di dieci punti percentuali. Alle elezioni europee del 2014, poi, abbiamo visto la quota di donne tra gli eurodeputati italiani a Strasburgo raggiungere il 40%.
Da parte mia, ho voluto contribuire all’avanzamento della democrazia paritaria sostenendo provvedimenti come la doppia preferenza di genere e la norma antidiscriminatoria contenuta nell’Italicum, che vieta di superare il 60% di candidati dello stesso sesso tra i capilista nei collegi di ogni circoscrizione; l’inclusione del principio di equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza elettiva all’interno della legge di riforma costituzionale. Così come ho dato il mio contributo per la legge la legge 22 aprile 2014, n. 65, per le elezioni del Parlamento europeo, che ha introdotto disposizioni volte a rafforzare la rappresentanza di genere.
È importante continuare a lavorare per la presenza paritaria delle donne nei processi decisionali. Anche da questo, infatti, dipende la qualità delle nostre democrazie. Nel nostro paese, per esempio, nella battaglia per i diritti civili delle coppie omosessuali la più grande forza rinnovatrice è stata quella di donne che, dentro e fuori il Parlamento, hanno messo in campo una “diversa umanità”. Anche per questo l’approvazione in Senato del ddl sulle unioni civili è stata la vittoria non di una minoranza, ma del paese intero. Con lo stesso spirito e con una visione “differente” di genere riprendiamo il lavoro per la riforma delle adozioni, che grazie al contributo delle donne, saprà trovare un punto di equilibrio.
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