L’Ambasciata di Palestina in Italia coglie l’occasione dell’Israeli Apartheid Week (IAW, settimana contro l’Apartheid Israeliano) – un evento internazionale organizzato ogni anno all’interno delle Universita per denunciare il regime di Apartheid attuato da Israele nei confronti dei palestinesi e diffondere l’appello al BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) – per chiarire le sue posizioni.
- L’occupazione dei Territori Palestinesi da parte di Israele costituisce una lampante violazione del diritto internazionale. In particolare, la costruzione del Muro dell’Apartheid e degli insediamenti in terra palestinese equivale a un furto, non solo di aree coltivabili e da pascolo, ma di risorse indispensabili come l’acqua. Con questa espropriazione e questa barriera vengono negati diritti fondamentali come il diritto a una casa, a un lavoro, all’istruzione, alle cure mediche e, in molti casi, alla vita.
- Ce lo ricordano le continue demolizioni di case e scuole palestinesi che hanno il solo scopo di rendere invivibile agli abitanti la propria terra, per fare spazio alla costruzione di nuovi insediamenti; ce lo ricordano gli arresti a tappeto e senza nessuna motivazione legale, che hanno una funzione semplicemente distruttiva delle vite palestinesi e mirano a sfiancare la loro resistenza pacifica; ce lo ricordano le esecuzioni a sangue freddo, con cui si sta falcidiando la gioventù palestinese; ce lo ricorda l’uccisione del piccolo Ali Dawabsha, bruciato vivo, e dei suoi genitori, morti per le ustioni causate dall’incendio appiccato alla loro casa da un gruppo di coloni.
- Insieme ai diritti umani, viene calpestato il diritto all’autodeterminazione di un popolo. Lo Stato di Palestina è infatti riconosciuto dalle Nazioni Unite, dal Vaticano e da 138 singoli Paesi, ma sotto occupazione e nelle condizioni di frammentazione attuale le sue possibilità di operare come Stato sono ridotte ai minimi termini: nel corso del 2015 il numero degli insediamenti è aumentato, arrivando a coprire quasi il 50% del territorio dello Stato di Palestina così come attualmente riconosciuto nei confini del 1967, cioè sul 22% della Palestina storica.
- Per tutti questi motivi, il popolo palestinese ha salutato con favore la decisione dell’Unione Europea di varare, lo scorso novembre, la norma per contrassegnare in modo specifico i prodotti che provengono dalle colonie israeliane presenti nei Territori occupati dal 1967: si è trattato di un passo avanti verso il riconoscimento di tutte queste violazioni, che possiamo riassumere con il concetto di Apartheid.
- Di fronte all’esigenza di porre termine a questi soprusi, tornano alla mente l’esperienza del Sudafrica e la solidarietà internazionale che, in modo pacifico ma puntuale, tanto ha fatto per sconfiggere quel regime di Apartheid. Allora in Sudafrica come adesso in Palestina, è fondamentale che la comunità internazionale sia coinvolta e faccia pressione sui regimi che praticano l’Apartheid, mettendo in campo forme di persuasione nonviolenta come, nel nostro caso, il boicottaggio dei prodotti degli insediamenti, quintessenza della prevaricazione.
- Per gli stessi motivi, non possiamo che guardare con gratitudine a forme spontanee e indipendenti di protesta come quelle attuate dai 168 accademici italiani che si rifiutano di collaborare con Technion, l’Istituto israeliano di tecnologia perchè ha un rapporto “attivo e durevole”, documentano i promotori, con l’esercito e l’industria militare israeliana.
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