Durante i circa 70 anni di uso degli antibiotici, i batteri hanno dimostrato di avere una incredibile capacita’ di resilienza, riuscendo di volta in volta ad adattarsi alla presenza del nuovo “veleno” e a diventare ad esso resistenti. Nel corso degli anni, l’industria farmaceutica e la ricerca indipendente sono sempre riuscite a parare il colpo ma purtroppo, da qualche anno non e’ piu’ cosi’. Per vari motivi, i nuovi antibiotici sono pochi e sembrerebbe che i batteri stiano riuscendo a riprendere il sopravvento. E’ quanto si e’ discusso oggi a Milano nell’ambito di un convegno organizzato dalla Societa’ Italiana di Terapia Antinfettiva.
“I provvedimenti da mettere in atto per contrastare la diffusione di questi micro-organismi sono ben conosciuti, ma non facilmente applicabili – sostiene Claudio Viscoli, Presidente della Societa’ Italiana di Terapia Antinfettiva – L’educazione degli operatori sanitari al lavaggio delle mani e all’utilizzo dei guanti, lo screening dei portatori di questi batteri e il loro isolamento, lo screening dei contatti e la diagnosi microbiologica rapida sono azioni che, se applicate tutte insieme e da tutti gli ospedali, potrebbero arrestare questo preoccupante fenomeno. Mettere in atto tutto questo richiede un’azione centralizzata, che finora e’ mancata”. Tra le cause dell’aumento delle resistenze ha avuto un ruolo determinante anche l’uso improprio dei vecchi antibiotici. In Italia, per esempio, nonostante le numerose campagne di comunicazione del Ministero, vengono prescritti troppi antibiotici: oltre il 50% dei pazienti ricoverati in ospedale viene sottoposto a questo tipo di terapia. L’eccessivo uso, spesso non corretto, di questi farmaci ha portato a un incremento rilevante delle resistenze batteriche.
“L’Italia e’ ai primi posti in Europa per antibiotico-resistenza. Recentemente, infatti, si sono evoluti ceppi capaci di resistere alla maggior parte degli antibiotici disponibili, come la Klebsiella pneumoniae, resistente ai carbapenemi, che e’ responsabile di circa un terzo di infezioni invasive da Klebsiella”, afferma Gian Maria Rossolini, Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia di A.O.U. Careggi di Firenze. La mortalita’ nelle infezioni sostenute da batteri multiresistenti e’ molto elevata, si aggira, infatti, intorno al 40-50%.
“Da fine marzo, sara’ disponibile negli ospedali italiani la fosfomicina, un antibiotico ad ampio spettro d’azione, estremamente utile nella terapia delle Klebsielle multiresistenti – dichiara Ercole Concia, Direttore della Clinica Malattie Infettive e Tropicali A.O.U. di Verona. “Il farmaco, che dovra’ essere utilizzato in associazione con altri antibiotici, presenta un ottimo profilo di sicurezza e tollerabilita’”. “All’orizzonte, comunque, si intravedono alcuni nuovi antibiotici molto interessanti: nuove combinazioni di inibitori delle betalattamasi – precisa Matteo Bassetti, Direttore Clinica Malattie Infettive A.O.U. Santa Maria Misericordia di Udine – in grado di ripristinare l’attivita’ degli antibiotici, soprattutto nei confronti dei gram-negativi resistenti. Passeranno anni, comunque, prima che questi farmaci possano essere in commercio, con il rischio che i batteri imparino velocemente a rendere inattivi anche questi nuovi antibiotici. Nel frattempo, alcuni dei “vecchi” farmaci poco utilizzati fino ad oggi, ma dotati di una notevole attivita’ microbiologica come la fosfomicina, potrebbero aiutare a colmare questo momentaneo “gap”.
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