E chi parla del nemico è lui stesso il nemico. Bertold Brecht
Tra guerre, terrorismi e spese militari, molti mostri sono generati dal sonno della ragione. Proviamo a scacciarne qualcuno
Non attacco islamico all’Europa, ma mancata convivenza nelle nostre città
Nelle scorse settimane l’Espresso ha intervistato alcune mamme dei terroristi di Molenbeek Saint Jean, il Comune multietnico nella cintura di Bruxelles, dove è stato arrestato l’attentatore di Parigi e da dove provengono quelli di Bruxelles. Mamme che vivono il dramma di vedere i figli nati e cresciuti in Belgio che, da un giorno all’altro, spariscono e diventano terroristi: “le istituzioni sembrano non capire che la repressione è soltanto la cura estrema di un malanno che andrebbe invece prevenuto”. L’approdo al terrorismo è il punto di arrivo di un percorso di mancata convivenza e di marginalità culturale. Annalisa Gadaleta, assessore all’Istruzione del Comune di Molenbeek, italiana, in un’ intervista a Famiglia Cristiana, lo conferma: “Mentre i genitori pensavano solo a lavorare con l’idea di ritornare nel loro Paese, questi giovani avrebbero voluto integrarsi, ma noi non siamo riusciti a trasmettere i nostri valori. Gli insegnanti non erano preparati a educarli alla democrazia. Così sono cresciuti confusi, finché in questa ricerca di un’identità non hanno trovato su Internet qualcuno che gli ha indicato una strada: il fondamentalismo.”
Che cosa significhi questo lo spiegava Oliver Roy, sociologo francese tra i maggiori esperti di “seconde generazioni” su Internazionale, dopo gli attentati di Parigi dello scorso novembre: “I francesi di seconda generazione non aderiscono all’islam dei loro genitori. Sono occidentalizzati e parlano francese perfettamente. Hanno condiviso la cultura giovanile della loro generazione, hanno bevuto alcol, fumato hashish, rimorchiato ragazze. Molti di loro sono stati almeno una volta in prigione, e poi un bel mattino si sono (ri)convertiti scegliendo l’islam salafita, ovvero un islam che rifiuta il concetto di cultura, un islam della regola che gli permette di ricostruirsi da sé. Non vogliono la cultura dei genitori e nemmeno una cultura “occidentale”, che ormai è il simbolo del loro odio verso se stessi.” Quindi, conclude lucidamente Roy, “i terroristi non sono l’espressione di una radicalizzazione della popolazione musulmana, ma il prodotto di una rivolta generazionale che coinvolge una categoria precisa di giovani.”
Eppure, il presidente francese Hollande, dopo il 13 novembre francesce, non ha trovato niente di meglio che bombardare Raqqa, città siriana. Sonno della ragione.
Non “scontro di civiltà”, ma terrorismo globale come contraccolpo
Se mettiamo nel focus dell’obiettivo solo le due settimane intorno al 22 marzo scorso, data dell’attentato aBruxelles, ci sono state almeno cinque stragi – tra Africa, Asia ed Europa – direttamente riconducibili al terrorismo di matrice islamista. La maggior parte delle vittime sono, come sempre, di religione islamica.
Eccone la sequenza:
13 marzo: Costa d’Avorio, 18 morti;
13 marzo: Turchia, 37 morti;
22 marzo: Belgio, 23 morti;
25 marzo: Iraq, 30 morti;
27 marzo: Pakistan, 72 morti
Ma la comunicazione veicolata da tutti i media italiani – dedicando un tempo/spazio enorme agli attentati europei ed uno pressoché nullo agli altri attentati – distorcono colpevolmente la percezione della realtà, senza aiutare nella comprensione della complessità. Non ricostruendo i nessi casuali e fattuali che generano il meccanismo perverso del rapporto tra guerra e terrorismo, in tutti i quadranti del pianeta, si lascia immaginare un inesistente scontro di civiltà. Mentre lo scontro globale in atto è più efficacemente spiegabile con la dinamica del “contraccolpo”. Lo ha ribadito Nanni Salio – il presidente del Centro studi Sereno Regis di Torino recentemente scomparso – nel suo ultimo articolo per i 25 anni dalla guerra del Golfo: “il blowback (contraccolpo) è la terza legge della dinamica applicata alla politica internazionale: a ogni azione corrisponde una reazione, una controforza. Il terrorismo degli stati, esercitato dall’alto, con bombardieri e droni, genera come risposta il terrorismo dal basso, di coloro che si ribellano e colpiscono spesso indiscriminatamente civili, come peraltro fa il terrorismo di stato, che si limita a chiamare questi deplorevoli eventi, effetti collaterali”. Persistere nelle risposte belliche che ripropongono il circuito perverso guerra-terrorismo-guerra è sonno della ragione.
Non lotta al terrorismo, ma guerra come unico vero business del nostro tempo
Eppure – come se un quarto di secolo di colpi e contraccolpi non bastassero e non ne stessimo già pagando pesantemente le conseguenze, come se tutti gli interventi militari non avessero già prodotto più terrorismo, più insicurezza, più guerre e più profughi – dopo l’intervento in Libia del 2011 che ha consegnato il Paese alle bande islamiste e criminali, i governi occidentali, capitanati dagli USA, sono pronti ad una nuova guerra libica per…sconfiggere il terrorismo. Qui il sonno della ragione si trasforma in pura follia. Non altrimenti spiegabile se non con le parole di un ex generale italiano, il sempre lucido Fabio Mini: “la guerra al terrorismo continuerà indefinitamente, perché non ne affronta la cause e perché, in un mondo a economia stagnante, fatto di disparità e paura è capace di mobilitare e bruciare risorse”. Si tratta – aggiungeva il generale, in un interessante libro del 2013 La guerra spiegata a… – del “vero e unico business del nostro tempo: la guerra in sé, che ormai comprende tutto ciò che precede i conflitti armati e tutto ciò che li segue, per un tempo illimitato, in relazione a quanto si riesce a far credere e sopportare all’opinione pubblica.”
Non è casuale quindi che l’ultimo rapporto del SIPRI – l’Istituto indipendente di Stoccolma che monitora le spese militari globali – reso noto il 5 aprile, abbia confermato che nel 2015 le spese militari globali hanno ripreso ancora a crescere, dopo qualche anno di stallo seguito all’aumento del 50% nel primo decennio degli anni 2000. Pur riguardando solo le spese pubbliche e documentate dei governi, non i traffici illeciti, e pur nella difficoltà di analisi dei bilanci pubblici, che spesso camuffano le spese per gli armamenti in altre voci di spesa (in Italia per esempio nelle voci del ministero per lo Sviluppo economico…) il dato è che – ogni anno – circa 1.700 miliardi di dollari sono sottratti alle spese civili e sociali di pace e consegnati alle spese militari di guerra. Basterebbero piccole percentuali di questa spesa abnorme per raggiungere gli obietti ONU del millennio per dsconfiggere fame, ignoranza e malattie e, contemporaneamente, debellare guerre e terrorismo.
Ma il sonno della ragione genera mostri. Meglio svegliarsi prima che sia troppo tardi.
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