Sono state giornate importanti quelle che hanno visto, uno dopo l’altro, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania condannare la decisione di Israele di estendere ulteriormente gli insediamenti illegali in Cisgiordania.
Il 16 marzo la Radio dell’Esercito Israeliano ha annunciato che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il suo Ministro della Difesa Moshe Yaalon avevano approvato la designazione a “terra di Stato israeliana” di circa 234 ettari di terreno della Cisgiordania occupata nei pressi del Mar Morto e di Gerico.
Immediata la reazione di Peace Now, la ONG israeliana che segue e si oppone da sempre agli sviluppi degli insediamenti: secondo questa organizzazione una confisca di queste proporzioni sarebbe la più consistente degli ultimi tempi ed andrebbe nella direzione già pianificata di espandere gli insediamenti già presenti nell’area.
A livello internazionale, la prima reazione è stata quella di John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato Americano, il quale ha subito dichiarato che gli Stati Uniti sono preoccupati da queste mosse. “Si tratta – ha detto – dell’ennesimo passo in direzione dell’espropriazione di terre palestinesi (…) che mina le fondamenta della prospettiva dei ‘due Stati’ “. 4
A Kirby ha fatto eco il giorno dopo il governo inglese, chiedendo a Israele di interrompere queste attività che ha definito “illegali” e che ostacolano chiaramente la pace. In particolare, il portavoce del Ministero degli Esteri britannico si è scagliato contro la pratica israeliana di dichiarare “terra di Stato” molti terreni della Cisgiordania.
Anche il portavoce del Ministero degli Esteri tedesco ha ravveduto nelle recenti espropriazioni l’intento di espandere gli insediamenti e il rischio di rendere ancora più difficile un accordo di pace con i palestinesi, “specialmente in un momento di tensioni come questo”.
Sulla stessa linea il messaggio partito da Parigi tramite il portavoce del Ministero degli Esteri Romain Nadal, impegnato con il suo governo nell’organizzazione di una conferenza internazionale volta a finalizzare la soluzione dei “due Stati”.
In seguito a tutte queste dichiarazioni, è arrivata anche quella dell’Unione Europea, che si è detta “fermamente opposta alla politica degli insediamenti di Israele e alle azioni prese in questo senso, come le demolizioni, confische, espulsioni, trasferimenti forzati, restrizioni del movimento e dell’accesso ai luoghi”.
Ad oggi, più di mezzo milione di coloni vivono in 237 insediamenti illegali sparsi per la Cisgiordania, ivi compresa Gerusalemme Est. Israele amministra circa 20mila zone industriali estese su 1.365 ettari della Cisgiordania; i coloni vi coltivano 9.300 ettari di terreno, sfruttano 11 cave che coprono il 25% del mercato della ghiaia israeliano, e gestiscono 187 centri commerciali dentro agli insediamenti.
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