Almeno 10.000 richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono al di fuori del sistema di accoglienza, in condizioni di precarietà e marginalità, senza alcuna assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche, in decine di siti informali sorti spontaneamente lungo la penisola. Lo denuncia il nuovo rapporto di MSF “Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale”.
Il rapporto è frutto di una ricerca condotta nel corso del 2015 e mostra le condizioni inaccettabili in cui migliaia di persone, in massima parte richiedenti o titolari di protezione internazionale, quindi regolarmente presenti nel nostro paese, sono costrette a vivere per mesi o addirittura anni a causa dei limiti del sistema di accoglienza e delle politiche di integrazione sociale. Tra loro, richiedenti asilo appena arrivati a cui viene negata l’assistenza prevista dalla legge per mancanza di posti nei centri di accoglienza; persone in transito verso altri paesi europei; rifugiati che vivono in Italia da anni ma che non sono riusciti a completare il percorso di inserimento sociale.
“Per quasi un anno abbiamo visitato edifici occupati, baraccopoli, casolari, parchi e stazioni ferroviarie, in aree rurali ma anche in centri cittadini, e abbiamo documentato una realtà disarmante, pressoché ignorata dalle istituzioni” dichiaraGiuseppe De Mola, ricercatore di MSF. “Migliaia di uomini, donne, bambini, persone vulnerabili che sono fuggite da situazioni drammatiche e avrebbero ogni diritto a ricevere assistenza, vivono in condizioni deplorevoli, con barriere spesso insormontabili che compromettono l’accesso a cure essenziali.”
Le condizioni umanitarie all’interno degli insediamenti informali sono drammatiche. Nella metà dei siti mancano acqua potabile ed elettricità e l’accesso ai servizi sanitari è carente o inesistente: i migranti in attesa di essere ammessi alla procedura di asilo non sono coperti da alcuna assistenza sanitaria pubblica e tra i rifugiati che vivono in Italia da più anni, 1 su 3 non è iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e 2 su 3 non hanno accesso regolare al medico di famiglia o al pediatra.
Si va dall’ex villaggio olimpico di Torino, che ospita più di 1000 rifugiati, alla più piccola casa “Don Gallo” nel centro di Padova, dove l’unica doccia è un tubo di gomma in giardino; dalle stazioni ferroviarie del Sud e Nord Italia dove afghani e pakistani attendono per mesi di accedere alla procedura di asilo, ai siti permanenti di eritrei a Roma; dalla fabbrica dismessa “Ex-Set” di Bari, dove rifugiati africani vivono dal 2014 in condizioni indegne, alla pista di Borgo Mezzanone a Foggia, sito informale a ridosso di un centro governativo di prima accoglienza. Una rete di marginalità causata anche dall’inadeguatezza di un sistema di accoglienza che alla cronica carenza di posti continua ad abbinare modalità di gestione emergenziali, tanto che su 100.000 posti attualmente disponibili, più del 70% si trova all’interno di strutture straordinarie.
“Siamo di fronte a una popolazione invisibile, ignorata o tollerata dalle istituzioni, che invece di fornire soluzioni intervengono solo attraverso sgomberi forzati che non tengono in alcun conto la vulnerabilità di queste persone” afferma Loris De Filippi, presidente di MSF. “Diecimila migranti sono un numero esiguo rispetto agli arrivi degli ultimi due anni. Ma in assenza di interventi immediati e strutturali, buona parte delle 100.000 persone presenti ora nei centri di accoglienza e di quanti arriveranno nei prossimi mesi potrebbe presto condividere questa sorte di marginalità, inaccettabile in un paese come l’Italia. Né aiuterà ciò che sta accadendo negli hotspot, dove migliaia di migranti vengono esclusi arbitrariamente dalla procedura di asilo e abbandonati a se stessi.”
MSF, che da 15 anni lavora in Italia per offrire assistenza ai migranti forzati, pur riconoscendo gli sforzi fatti dal nostro Paese per recuperare inadempienze e ritardi cronici, chiede alle autorità di incrementare la capienza del sistema di accoglienza, superando l’attuale approccio emergenziale; di garantire a migranti, richiedenti asilo e rifugiati negli insediamenti informali condizioni di vita dignitose e i diritti basilari della persona, tra cui il diritto alla salute; di vincolare l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale con l’assegnazione del medico di famiglia soltanto al luogo di effettiva dimora.
In questi mesi le équipe di MSF hanno offerto assistenza medica e psicologica a Gorizia, al centro Baobab di Roma, sugli scogli di Ventimiglia. MSF intende ora avviare un Osservatorio nazionale permanente su richiedenti asilo e rifugiati al di fuori del sistema di accoglienza, denunciando le situazioni più critiche in termini di bisogni umanitari e di barriere nell’accesso alle cure mediche, in collaborazione con quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo rapporto: enti, associazioni e gli altri attori della società civile impegnati nella tutela dei migranti forzati, inclusi i gruppi territoriali di volontari di MSF.
LE STORIE
L’Ex SET di Bari è una fabbrica dismessa, un grosso capannone dove vivono fino a 200 rifugiati in una ventina di tende sovraffollate. D’inverno è freddissimo. D’estate è un forno. Piccioni e topi infestano la struttura. Nsia, 32 anni, è il barbiere dell’Ex SET. Possiede forbici e rasoi, un flacone di alcol come dopobarba, un plaid come mantellina. È arrivato in Italia nel 2008. “Quando sono scappato dalla Libia, ho passato 9 giorni in mare. Durante il viaggio 11 persone sono morte. Questo posto è meglio di niente. È un posto sicuro dove rientrare. Mi sento solo ma non posso tornare nel mio Paese. C’è la guerra. C’è la fame”.
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