Secondo Fatih Bhiro, capo economista dell’ Iea, agenzia per l’Energia dell’Ocse, nel 2016 i paesi non Opec produrranno 700.000 b/g (barili al giorno) in meno rispetto al 2015. La produzione di questi paesi è circa il 60% della produzione mondiale, mentre le loro riserve accertate sono attorno al 40% del totale. Alcuni osservatori attribuiscono il calo in corso alla congiuntura dei prezzi, ora non più di 45-50 $/b, meno della metà del giugno 2014, che non permettono di finanziare in modo adeguato la ricerca e l’avvio all’ attività di nuovi giacimenti.
I paesi non Opec hanno però sfruttato le loro riserve più di quanto abbiano fatto i paesi Opec, sempre attenti questi ultimi a limitare la produzione delle loro risorse per tenere i prezzi alti e costanti. Allora il calo del greggio estratto dai paesi non Opec potrebbe essere un segnale più grave, la conseguenza del raggiungimento del loro picco massimo della produzione, che da ora in poi calerebbe progressivamente e con continuità. .
L’ Opec fu fondata nel 1960 da Arabia saudita, Venezuela, Kuwait, Indonesia, Iran, Iraq. Successivamente si sono aggiunti Qatar, Emirati Arabi, Algeria, Libia, Angola, Nigeria. Questi 12 paesi producono il 40% del petrolio estratto ma hanno il 60% delle riserve mondiali accertate e oltre il 50% delle riserve mondiali sono nel Medio Oriente e Nord Africa divise tra Arabia Saudita. (15%), Iran (10%) Iraq (11%), Libia (3%) e gli altri paesi. I giacimenti mediorientali sono anche meno costosi da sfruttare e sono stati sotto utilizzati, soprattutto negli ultimi 20 anni.
Iraq, Iran e Libia insieme producono meno di 8 mb/g, milioni di barili il giorno, su 95 mb/g totali. Quindi con il 24% delle riserve estraggono meno del 10% della produzione totale e per questo i loro territori acquisteranno nel futuro un’ importanza straordinaria.
La crescita mondiale della produzione di petrolio negli ultimi anni è stata aiutata dall’ uso negli USA della tecnica shale gas che ha permesso agli Stati Uniti di risalire da 8 mb/g (milioni di barili il giorno) prodotti a circa 10 mb/g. Il loro consumo interno però è di circa 18 mb/g. Il mancato taglio della produzione Opec, voluto da Ryad dalla fine del 2014, e che ha causato il crollo del prezzo del greggio, è stato spiegato da molti osservatori come una guerra saudita alla produzione USA. Ma l’Iea ha ipotizzato per il vicino 2018 il picco produttivo di questa tecnica di estrazione, l’ effetto positivo del petrolio shale gas sarebbe quindi per gli Stati Uniti un recupero effimero oltre che molto costoso.
Senza entrare nel merito dei motivi, in ogni caso non dimostrabili, della strategia saudita, la spada di Damocle del picco petrolifero, teorizzato da Hubbert nel 1953, rimane minacciosa ed è bene tenerla presente quando ci occupiamo delle molte guerre in corso.
La Gran Bretagna, dopo il declino della sua produzione nei mari del Nord, è tornata ad importare greggio e la ripresa del suo interventismo militare in Medio Oriente è legata a questo processo. Anche la Francia, con l’ attuale momento nero della produzione elettrica nucleare, ha un interesse impellente a tornare protagonista militare nel Medio oriente e Nord Africa.
La transizione energetica, sicura nei prossimi 20-30 anni, sarebbe stata molto più difficile per l’ Occidente se fossero rimasti al loro posto Saddam Hussein e Gheddafi. Ma anche nella nuova situazione questo passaggio storico sarà durissimo. Basta pensare al ruolo che hanno anche il Venezuela, secondo paese al mondo per riserve, e Russia, attualmente nei primi 3 produttori mondiali.
Nel frattempo India, Cina e Giappone sono i paesi che negli ultimi tre anni hanno dato il maggior impulso alla fonte solare e data la loro popolazione complessiva questa scelta potrebbe cambiare il corso di tutta la transizione energetica.
Nei prossimi anni non sarà incoraggiato lo studio e l’ informazione sul processo della transizione energetica, ineluttabile anche se con modalità imprevedibili. Ma dobbiamo riaccendere il prima possibile i riflettori su questo tema cruciale. Ricordo che in Italia i primi libri con buona diffusione sul picco petrolifero, “La festa è finita” di Richard Heinberg e “La fine del petrolio” di Ugo Bardi, furono pubblicati nel 2004, quando ormai le truppe USA e britanniche erano sul suolo iracheno.
Prima ci sarà una consapevolezza diffusa della difficile crescita futura della produzione petrolifera e prima sarà messa in difficoltà la propaganda di guerra, che con pretesti vari, dal terrorismo all’ esportazione della democrazia, alla invasione dei migranti, ai diritti umani nella interpretazione di parte delle democrazie occidentali, cerca di convincere l’ opinione pubblica che l’Occidente fa le guerre, o le fomenta con modalità variabili, per motivi nobili. Ma non è così.
Aiuterebbe molto l’ opposizione alla guerra conoscere le tendenze ormai dimostrate del prossimo processo del declino della produzione petrolifera e sapere maggiori dettagli relativi all’energia delle guerre per il petrolio e gas già scatenate dall’Occidente, dalle tre in Iraq alla Libia, dal golpe in Iran del 1953 al golpe colorato in Ucraina del 2014.
Marco Palombo
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