Goffredo Palmerini è l’Ambasciatore degli abruzzesi nel mondo ma è soprattutto un instancabile appassionato di storie di emigrazione italiana, vicende dalle quali non si può né si deve prescindere per una comprensione globale della cultura del nostro paese. Recentemente è stato presentato a L’Aquila il suo ultimo libro “Le radici e le ali”, pubblicato da One Group Edizioni, evento al quale ho partecipato insieme ad un folto pubblico. L’ho poi incontrato ed è stato un piacere domandargli delle sue attività, della percezione che l’Italia contemporanea ha del fenomeno migratorio che l’ha vista protagonista tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo e di molti altri argomenti.
Il più grande esodo della storia moderna è stato quello degli italiani: dall’epoca dell’unità del paese sono state registrate più di 27 milioni di partenze. A partire dall’unificazione nel 1861, l’Italia ha conosciuto un espatrio di quasi 30 milioni di persone. Tra le varie generazioni dell’emigrazione che si sono susseguite nei cinque continenti, attualmente si contano in circa 4.636.647, secondo il più recente Rapporto della Fondazione Migrantes (2015), gli italiani che hanno conservato la cittadinanza e sono iscritti all’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero, con un sensibile aumento rispetto agli anni precedenti. Se da un lato ciò è indice d’una tendenza alla ripresa del fenomeno migratorio, certamente con caratteristiche diverse rispetto al passato, tuttavia la cifra assoluta è davvero poco rilevante (5,7% circa) rispetto agli 80 milioni di oriundi che le stime più attendibili confermano essere oggi l’entità della comunità d’origine italiana all’estero. Questa dunque è la popolazione oriunda dei discendenti delle varie generazioni dell’emigrazione italiana che, pur non conservando o non avendo per una serie di ragioni riacquistato la cittadinanza, è per diritto di sangue italiana e delle proprie origini conserva cultura, valori e tradizioni.
In termini assoluti Brasile, Argentina e Stati Uniti sono nell’ordine i Paesi che hanno la maggior presenza d’italiani. Si pensi che in Brasile, dove gli italiani sono la seconda comunità nazionale più numerosa, nella sola San Paolo – metropoli la cui area urbana s’avvia a raggiungere i 20 milioni d’abitanti – oltre 7 milioni sono d’origine italiana. Vale a dire che la più grande città italiana sta in Brasile. Come pure in Argentina, paese con oltre 40 milioni d’abitanti, gli oriundi italiani sono circa metà della popolazione ed in certe località sembra davvero di stare in Italia. Come negli Usa, dove secondo recenti dati, le persone che hanno dichiarato d’essere discendenti di italiani raggiungono quasi 17 milioni. Caso di forte concentrazione d’italiani si riscontra anche in Canada, specie nella provincia dell’Ontario, la più popolosa dello Stato. A Toronto, città di 3 milioni d’abitanti con gli immediati sobborghi, quasi un quarto della popolazione è d’origine italiana. Anche in Australia la popolazione d’origine italiana è seconda solo a quella anglosassone, attestandosi, secondo le stime, intorno al milione di persone, con maggiori concentrazioni nelle aree urbane di Melbourne e Sydney.
Credi che l’Italia contemporanea abbia davvero coscienza di tale fenomeno? L’Italia contemporanea ha una scarsa ed epidermica conoscenza del fenomeno migratorio italiano.Diciamolo senza velature ed ipocrisie. L’emigrazione italiana, i nostri emigrati, tra le innumerevoli difficoltà cui sono andati incontro, diffidenze e pregiudizi, se non anche ogni forma d’angherie e soprusi prima di poter realizzare il proprio riscatto, certamente non pensavano che in Patria si sarebbe realizzata una singolare specie di rimozione del fenomeno migratorio e della sua storia dolorosa. Un atteggiamento di trascuratezza e di sufficienza che pervade ancora una buona parte della classe dirigente del Paese, della politica e delle Istituzioni, che da un lato aveva ed ha tuttora scarso interesse verso gli Italiani all’estero e ciò che rappresentano, dall’altro gli riserva un paternalismo di maniera che si nutre d’una conoscenza assai epidermica e lacunosa, per usare un eufemismo, sul complesso mondo della nostra emigrazione. Un fatto per certi versi inconcepibile per un Paese come l’Italia che ha conosciuto una vera e propria diaspora di connazionali emigrati, ora diventati un’altra Italia persino molto più numerosa di quella dentro i confini. C’è dunque bisogno che le due Italie si conoscano e si riconoscano, come avverte chiunque abbia occasione d’incontrare – a me capita sovente – le comunità italiane all’estero, la cui più acuta amarezza verso il Paese delle loro origini è appunto la constatazione d’una insufficiente conoscenza delle loro realtà, d’uno scarso interesse, se non d’indifferenza, verso quanto esse rappresentano. Non hanno bisogno pressoché di nulla, gli Italiani nel mondo, solo di essere conosciuti, riconosciuti, considerati. E pensare che gran parte di loro, in ogni angolo del pianeta, si è conquistato stima ed apprezzamento in società a forte competizione, eccelle nell’imprenditoria, nelle professioni, nelle università, nei centri di ricerca, nella cultura, è presente corposamente nei Parlamenti e nei Governi.
Gli abruzzesi sono riuniti in 128 associazioni sparse su tutti i continenti. Quali sono le attività che permettono alle comunità abruzzesi di mantenere i rapporti con i propri luoghi d’origine? Attualmente sono una decina in più le associazioni riconosciute e iscritte all’Albo regionale. Gli abruzzesi nel mondo sono forse più di quelli residenti in Abruzzo. Hanno un forte senso di comunità regionale e si caratterizzano peraltro per la spiccata capacità aggregativa e organizzativa, spesso all’avanguardia rispetto alle altre realtà regionali. Mantengono un solido rapporto con i luoghi d’origine, conservando abitudini culturali e tradizioni, con l’orgoglio delle proprie radici. E tuttavia questo legame non è stato un freno nell’integrazione in seno alle società dei Paesi d’emigrazione, dove raccolgono rispetto e stima per i valori umani, sociali e professionali che sanno esprimere, talvolta a livello d’eccellenza in quelle comunità. Certamente le relazioni con la terra d’origine potrebbero essere incrementate in quantità e qualità, se solo la Regione Abruzzo investisse più fondi per le politiche verso il mondo dell’emigrazione, negli ultimi anni ridottisi a un decimo di quanto stanziato fino al 2008. Ora, almeno nelle volontà dell’Assessorato regionale all’Emigrazione, dovrebbe affermarsi un’inversione della tendenza. L’Abruzzo non ne ha che da guadagnare.
Gli emigranti italiani e le tante storie sugli episodi di razzismo che li hanno visti coinvolti. Cosa sai dirci a proposito di questo? L’esercito di braccia che partì dall’Italia verso le terre d’emigrazione si trovò a dover affrontare inimmaginabili e drammatiche vicende umane, a lottare ogni giorno contro sospetti e pregiudizi, a subire spesso angherie d’ogni sorta, a doversi confrontare in competizioni durissime, con sistemi sociali sconosciuti e condizioni di lavoro altrettanto precarie. Molti gli episodi di razzismo. Cito il linciaggio di 11 italiani a New Orleans, nel 1891, fino a squallidi episodi nella vicina Svizzera di appena 40-50 anni fa, sfociati in referendum dagli evidenti contorni xenofobi. Molti altri casi Gian Antonio Stella riferisce nel suo interessante saggio “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”.
L’integrazione degli italiani con gli autoctoni: siamo davvero così simpatici a tutti? L’integrazione è avvenuta lentamente, quanto più erano radicati i pregiudizi. Specie nella prima ondata migratoria il fenomeno aveva caratteri di drammaticità. Si è stemperato man mano quando i nostri emigrati hanno saputo dimostrare il loro valore, ma sopra tutto quando si è potuta esprimere la seconda generazione, che aveva potuto studiare e conoscere la lingua. Superato il muro del pregiudizio gli italiani hanno potuto entrare nelle simpatie per la socialità del carattere.
Politici, sindacalisti, presunti attentatori, musicisti, cantanti, artisti: l’emigrazione italiana quanto ha dato al mondo? L’emigrazione italiana ha dato tanto al mondo, in termini di estro, creatività, talento, laboriosità e capacità imprenditoriale. C’è ancora, in Italia, chi immagina la nostra emigrazione secondo l’usurato clichè della valigia di cartone. Oggi le generazioni della nostra emigrazione hanno raggiunto traguardi prima impensabili, nel campo dell’economia, delle professioni, della ricerca, dell’arte e della stessa politica, se si pensa che sono oltre 350 i parlamentari d’origine italiana nei vari Parlamenti nel mondo, taluni presenti nei governi e a livelli di vertice nelle istituzioni.
Dove sono insediati maggiormente gli Abruzzesi negli States? Cospicua è la comunità abruzzese negli Stati Uniti d’America. Insediata principalmente negli Stati dell’East Coast, ha significative presenze nel Massachusetts (area di Boston), nel Tri-state (New York, New Jersey e Connecticut), in Pennsylvania, Maryland, Delaware e in Virginia. Altre presenze consistenti di abruzzesi sono nell’area di Detroit, in Michigan, nei vicini stati dell’Ohio e Illinois. Presenze di qualche entità anche negli stati meridionali, in Florida, Louisiana e Texas. Apprezzabile la comunità abruzzese di California. Ma veniamo ai grandi numeri. New York e l’area metropolitana hanno presenze abruzzesi numerose, sebbene proprio la vastità e popolosità del territorio sia un forte gap che non favorisce l’associazionismo. A New York, infatti, uniche associazioni abruzzesi sono i due club degli emigrati da Orsogna – paese i cui abitanti in gran parte emigrarono nel dopoguerra, in quanto pressoché distrutto nel dicembre 1943 durante la battaglia di Ortona, la “Stalingrado d’Italia”- concentrati ad Astoria, nel distretto di Queens. Nello Stato di New York altre presenze di un certo rilievo si trovano a nord, nelle città di Buffalo e Rochester. Nell’area di Boston molte le associazioni abruzzesi, consociate in una Federazione (FAA), con un’assidua vita associativa e, nella città di Boston, con ricorrenti iniziative culturali promosse dalla FAA. D’altronde, Boston è la città culturale per eccellenza, grazie a prestigiose università e college che insistono nell’area (Harvard, MIT, per fare un esempio). Forti le presenze in Pennsylvania, nelle aree di Philadelphia e Pittsburg, in ragione dell’attrazione, ai tempi della grande migrazione, stimolata dall’occupazione nelle industrie minerarie, siderurgiche e dei derivati, specie nell’area di Pittsburg, mentre in Virginia le prime presenze risalgono all’epoca dello sfruttamento minerario. Oggi, inoltre, nell’area c’è il polo amministrativo e di servizi costituito dalla capitale Washington DC che segnala presenze abruzzesi aggregatesi in una vivace associazione. Al nord, nella regione dei grandi laghi, è l’area di Detroit che ha i numeri più alti di abruzzesi, richiamati dall’imponente presenza di industrie automobilistiche e dall’indotto del settore. Numerose le associazioni abruzzesi, talvolta nate sulle comuni origini in un paese d’Abruzzo. Alcune associazioni sono consociate nella Federazione Abruzzese del Michigan (FADM).
Parlaci delle attività dei tanti italiani in America. Fatto questo sommario quadro, le attività delle associazioni abruzzesi sono particolarmente indirizzate alla socializzazione, alla conservazione delle radici e delle antiche tradizioni. Talvolta nell’accoglienza di gruppi e delegazioni dall’Abruzzo, che rinverdiscono ricordi e attaccamento alla propria terra. Segnalo, in particolare, l’attività della Federazione Abruzzese del Michigan che, oltre alle tradizionali occasioni d’incontro sociale, sovente propone conferenze, concerti, rassegne cinematografiche, così rafforzando i legami con la cultura italiana. L’Associazione Abruzzese (e Molisana) della California, a sua volta, è assai vivace nelle attività sociali e culturali. Negli anni scorsi, in più occasioni, ha promosso viaggi di turismo culturale in Europa e Italia, con alcuni giorni dedicati all’Abruzzo, specie prima del terremoto del 2009. Io stesso ho più volte accolto all’Aquila le comitive e le ho guidate in visita nella città capoluogo d’Abruzzo, sempre per loro occasione di meraviglia per le preziose bellezze artistiche e architettoniche che la città può mostrare e che, dopo le ferite del sisma, ora stanno tornando con accurati restauri al loro splendore.
Valentina Di Cesare
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