Intervista al Dott. Mego Terzian, presidente di MSF in Francia, di ritorno da una visita in Libia.
Qual è la situazione in Libia oggi, che alcuni descrivono come caotica?
La percezione di sicurezza in Libia è molto scarsa tra gli altri attori umanitari e la presenza di gruppi jihadisti contribuisce a questa percezione. Tuttavia, sulla base delle osservazioni delle nostre équipe, i combattimenti sono localizzati in poche zone. In altre aree, come Misurata e Tripoli, vi sono elevate tensioni politiche e militari. I gruppi radicali si sono stabiliti a Derna, Sirte, e in alcuni quartieri di Bengasi, dove i combattimenti sono all’ordine del giorno. I bombardamenti indiscriminati a Bengasi sono il rischio più grande per le nostre équipe. Ciò detto, il Paese non è in mezzo a un bagno di sangue. È lo scontro politico il problema più complesso. Due governi, uno a Tobruch nella parte est, e l’altro a Tripoli a ovest, sono in conflitto e le Nazioni Unite ne hanno appena istituito un terzo. Tuttavia quest’ultimo non ha potere sulle parti in conflitto, e non è ancora stato riconosciuto dal parlamento di Tobruch.
Quali sono le ripercussioni della crisi sul sistema sanitario?
La situazione sanitaria è peggiorata rapidamente dal 2011. Prima di allora, il sistema sanitario in Libia funzionava bene. Poi gli ospedali hanno iniziato a chiudere o a operare a ridotta capacità a causa dei danni o della mancanza di risorse. A Bengasi per esempio, l’ospedale psichiatrico, la maternità (che aveva 400 posti letto) e altri due ospedali sono stati chiusi. Secondo le autorità sanitarie, tutti gli ospedali a est sono stati gravemente colpiti dalla mancanza di fondi e l’assenza di personale. Il sistema sanitario a ovest sta avendo gli stessi problemi.
L’intero Paese deve fare i conti con la crisi della liquidità e il fatto che il sistema bancario sta collassando. Ho visto lunghe file davanti alle banche di Bengasi di persone che tentavano di ritirare il denaro. Il Ministero della Sanità sia nel governo orientale sia in quello occidentale ha risorse molto limitate e sta avendo grossi problemi a pagare il personale medico. Gli impiegati hanno iniziato a lasciare gli ospedali nel 2011, seguiti da una seconda ondata di partenze nel 2014. Molti infermieri stranieri, filippini, tunisini ed egiziani, sono andati via. È una sfida convincere dottori e infermieri a lavorare o a tornare a lavorare in Libia.
Cosa può fare MSF, data la situazione?
Noi stiamo cercando di venire incontro ai bisogni delle strutture sanitarie a ovest e a est del Paese. Per esempio, un anno fa ho visitato l’ospedale Al Abyar che in quel momento non era operativo. Da allora abbiamo ripristinato il pronto soccorso e il Ministero della Sanità sta ricostruendo il reparto di maternità. Speriamo di poter continuare questa collaborazione in modo da portare assistenza alle 70.000 persone che vivono ad Al Abyar e nei villaggi circostanti, incluse le centinaia di famiglie che sono scappate da Bengasi e si sono rifugiate lì.
L’anno scorso, abbiamo anche intrapreso lavori di ristrutturazione presso l’ospedale Gubba, un altro ospedale in una zona rurale, che tratta le emergenze mediche e i parti. Stiamo inoltre donando farmaci e attrezzature in modo che le sale operatorie presso gli ospedali di Bengasi, Misurata, Al Marj, e Zuara possano continuare a funzionare.
MSF è uno dei pochi attori internazionali presenti oggi, ma non è stato facile avviare queste operazioni. I libici hanno ricevuto per la prima volta aiuti umanitari nel 2011 e c’era una grande sfiducia nelle ONG. La presenza simultanea di tre governi diversi ha reso più complicata la fornitura di medicine e l’invio di personale. Dobbiamo essere molto attenti a spiegare chi siamo e cosa facciamo. Ma iniziamo a vedere alcuni progressi. A Zuara per esempio, il Sindaco ci ha procurato una struttura nella quale possiamo aprire un centro sanitario e offrire consultazioni mediche.
La Libia è diventata ancora una volta una delle strade più battute dai migranti africani che cercano di raggiungere l’Europa. Cosa sta facendo MSF per queste persone vulnerabili?
I migranti arrivano da altre città costiere per lavorare a Zuara. Lavorano negli ambiti più richiesti e dall’inizio dell’anno nessuna barca ha lasciato Zuara per attraversare il Mediterraneo. Purtroppo è difficile entrare in contatto con i migranti africani. Una volta in Libia sono molto discreti perché rischiano l’arresto e la detenzione. Le nostre équipe stanno facendo di tutto per entrare in contatto con loro e fornirgli assistenza medica ma non sono ancora riusciti a farlo.
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