La gestione del mercato del lavoro costituisce invece vero e proprio terreno di conquista per la criminalita’ mafiosa e non. In alcuni casi lo sfruttamento in agricoltura viaggia di pari passo con il fenomeno della tratta degli esseri umani. Lo dice il terzo rapporto “Agromafie e caporalato” realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai Cgil che ricostruisce un quadro conoscitivo di riferimento approfondito sulla condizione dei lavoratori in agricoltura, delle variegate forme di illegalita’ e infiltrazione mafiosa nell’intera filiera agroalimentare. Dalle rilevazioni contenute nel Rapporto emergono circa 80 distretti agricoli (indistintamente da nord a sud dell’Italia) nel quale e’ possibile registrare grave sfruttamento e caporalato, seppur con diversi livelli di intensita’.
Ad essere vittime del caporalato (e delle sue diverse forme) sono indistamente italiani e stranieri, circa 430.000 unita’, dunque tra i 30mila e i 50mila in piu’ rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente, con oltre 100.000 lavoratori in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilita’ alloggiativa. Ed e’ preoccupante il fatto che seppur il caporalato viva una trasformazione in linea con la metamorfosi del mercato del lavoro sempre piu’ flessibile e precario, le pratiche di sfruttamento dei caporali nei confronti dei lavorati rimangono piu’ o meno le stesse: mancata applicazione dei contratti, un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore del 50% di quanto previsto dai CCNL e CPL, orari tra le 8 e le 12 ore di lavoro, lavoro a cottimo (esplicitamente escluso dalle norme di settore), fino ad alcune pratiche criminali quali la violenza, il ricatto, la sottrazione dei documenti, l’imposizione di un alloggio e forniture di beni di prima necessita’, oltre all’imposizione del trasporto effettuato dai caporali stessi. Ne emerge un quadro di forte vulnerabilita’ dei soggetti che andrebbe contrastato con maggiore incisivita’.
Il Rapporto si suddivide in tre parti, con la prima dedicata alle infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare e nella gestione del mercato del lavoro, e in cui si approfondiscono i principali fenomeni di illegalita’ che caratterizzano il settore, ovvero il fenomeno delle agromafie e dell’infiltrazione mafiosa e criminale nella gestione del mercato del lavoro attraverso la pratica del caporalato, due business che insieme muovono un’economia illegale e sommersa tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro in Italia. Nel rapporto sono riportati alcuni dati sulle ispezioni, cresciute del 59% nell’ultimo anno, ma con esiti inquietanti: piu’ del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende agricole sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorita’ ispettive. Viene quindi posta l’attenzione sulla normativa corrente – e su quelle emanate di recente dal governo italiano – con l’obiettivo di contrastare gli abusi e le forme di grave sfruttamento lavorativo da un lato e le modalita’ e procedure di protezione sociale delle vittime che ne rimangono coinvolte dall’altra.
Oltre al d.lgs n. 109/2012 (che recepisce la direttiva n.52/99 dell’UE sul regime di protezione delle vittime di grave sfruttamento) e i cui intenti – dice il Rapporto – sono pero’ largamente disattesi, il governo ha recentemente redatto un disegno di legge (Ddl 2217) per disciplinare le forme di contrasto anticaporalato ed inasprire le pene dei reati che vengono commessi nel reclutamento di manodopera straniera da occupare nel settore agricolo. Pur tuttavia, a fianco di misure innovative – come la possibilita’ di sequestrare beni e strumenti di produzione in caso di impiego di manodopera straniera da sottoporre a pratiche di sfruttamento – viene rilevato che “non si e’ voluto introdurre il principio della piena corresponsabilita’ penale tra il caporale e l’imprenditore che lo ingaggia per reclutare manodopera da occupare nella sua impresa. Infatti, tra l’imprenditore e il caporale vige un rapporto stretto, poiche’ il secondo senza il primo non svolgerebbe nessun reclutamento di manodopera. Il ddl poi e’ ancora in fase di discussione nei due rami del parlamento, mentre invece il contesto di grave allarme sociale avrebbe forse dovuto suggerire l’adozione della decretazione d’urgenza per arrivare alla prossima stagione di raccolta estiva con maggiori strumenti di contrasto al caporalato e allo sfruttamento”.
Le condizioni di lavoro sono piuttosto precarie e indecenti. Questo avviene anche con quelle imprese intermediatrici (agenzie di lavoro interinale o cooperative apparentemente legali ma che nascondono cio’ che legale non e’), alcune hanno la caratteristica di essere “cooperative senza terra”, vale a dire che non svolgono un’attivita’ agricola. Le imprese “senza terra” sono utilizzate anche per la costituzione di rapporti fittizi di lavoro agricolo o di elusione contrattuale. A questo proposito vengono riportati 5 casi di studio con i quali sono state prese in esame le aree della Bassa mantovana, della Piana del Fucino, dell’Alto-Bradano (Basilicata), la Piana di Sibari, distretti agro-alimentari, ed infine Modena (comparto macellazione carni alimentari). Aree scelte tra quelle che nel corso del 2015 sono state caratterizzate, per motivi diversi, da eventi che le hanno fatte emergere all’attenzione pubblica. Anche – e soprattutto – per l’interesse manifestato dagli organi giudiziari e della magistratura a causa delle pessime condizioni di lavoro dei braccianti occupati. I criteri metodologici utilizzati per l’analisi sono duplici: da una parte quelli attinenti alla ricerca documentaria e statistica, dall’altra quelli attinenti all’indagine di campo e dunque mediante interviste qualitative. Gli intervistati sono sindacalisti, lavoratori vittime di sfruttamento, alcuni datori di lavoro e, nel caso della Basilicata, anche il racconto di un caporale pentito che racconta il fenomeno da dentro. Nel Rapporto anche un approfondimento alla esperienza del ‘sindacato di strada’, realta’ consolidata in diverse aree agricole del Paese. A giudizio della Flai Cgil e’ questa “una esperienza innovativa che permette di raggiungere gruppi di lavoratori agricoli occupati in aree decentrate, in porzioni di campo dislocati lontano dai centri abitati, in situazioni territoriali che producono isolamento e dunque incapacita’ a difendersi dai caporali o dagli imprenditori disonesti”.
Infine la terza parte: contiene tre studi che guardano al mondo. In primo luogo la Francia con il fenomeno dell’immigrazione nei contesti rurali; quindi la Spagna con lo sfruttamento bracciantile nella raccolta delle fragole nella provincia di Huelva e poi, dall’altra parte dell’oceano, la California, nelle cui piantagioni lavorano bambini clandestini, sfruttati e sotto ricatto. Solo in Europa sono 880.000 lavoratori e lavoratrici di ogni nazionalita’ sotto il ricatto del lavoro forzato “anche a causa delle normative europee (e mondiali) che hanno liberalizzato il mercato del lavoro con un conseguente abbassamento del controllo di legalita’”. Un dato che si aggiunge invece alla specificita’ espressa dal settore agricolo che vede circa 3,5 milioni di lavoratori al mondo ridotti in schiavitu’ per 9 miliardi di profitti stimati.
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