Mercoledì 11 maggio, alle ore 14, è iniziata ufficialmente la nona edizione del Festival del Fundraising, il maggiore evento italiano dedicato al tema della raccolta fondi. Tanti sono stati gli appuntamenti memorabili: a cominciare dalla plenaria iniziale, seguita eccezionalmente anche in diretta streaming e tenuta da Abigail Disney. La regista, produttrice, e Presidente della Fork Films e della Daphne Foundation, è intervenuta davanti agli 800 presenti per parlare del potere dello storytelling, e di come le immagini, più delle parole, possano far maturare nelle persone l’esigenza di un cambiamento culturale, passo irrinunciabile verso il rispetto dei diritti umani e la realizzazione di una società più equa. Ad accompagnarla, sul palco, anche Yvette Alberdingk-Thijm, executive director di Witness.org, organizzazione non profit di punta in America per quel che concerne lo storytelling.
“Sono stata fundraiser per molti anni – ha spiegato la nipote di Walt Disney, accolta dalla platea da applausi scroscianti – a 46 anni ho iniziato la mia carriera di regista concentrando la mia attività rispetto a cosa significava raccontare una storia. Attraverso le mie pellicole cerco di far cambiare le cose, cerco di far capire, ad esempio, cosa significhi una guerra. Come registi abbiamo grandi opportunità: la principale è sicuramente quella di poter raccontare le storie attraverso l’occhio della cinepresa.”
C’è stato anche il tempo per raccontare alcuni aneddoti curiosi sulla sua vita, e sul suo rapporto con una famiglia che ha rivoluzionato non solo Hollywood, ma l’intera industria dell’intrattenimento mondiale. “Il mio lavoro mi porta a viaggiare spesso – ha commentato – e ho notato esserci un filo conduttore che lega posti culturalmente e geograficamente agli antipodi: Micky Mouse! Ogni volta che ne vedevo uno, lo fotografavo: ho così iniziato una specie di collezione, ed è stata davvero una gioia rendersi conto che Topolino possa essere considerato una sorta di ambasciatore di gioia nel mondo universalmente riconosciuto.”
“Attraverso il mio mestiere – ha concluso la Disney – cerco di cambiare le culture, le coscienze. La potenza di persuasione non deriva dai dati. Il mio obiettivo è quello di essere una costruttrice di pace nel mio Paese.”.
Ma ieri è stato anche il giorno dell’assegnazione dell’Italian Fundraising Award, l’unico premio italiano dedicato a coloro che operano nella raccolta fondi, creato per diffondere la cultura del dono e la conoscenza di una professione emergente. Durante l’evento, anch’esso seguito in diretta streaming, il Consiglio Direttivo ASSIF nella speciale funzione di Giuria ha decretato quale Fundraiser dell’anno Alessandro Benedetti, Segretario Generale e responsabile Marketing, Comunicazione e Fundraising della Fondazione Meyer. Il suo impegno con la realtà toscana risale al 1999 quando ebbe l’intuizione di proporre all’Azienda Ospedaliera Meyer la costituzione di una Fondazione, con socio unico l’Ospedale, che si occupasse di gestire in maniera integrata le attività di comunicazione e di fundraising. Dopo i primi due anni in cui si è occupato da solo di tutte le attività, ha costruito una squadra di lavoro che oggi è composta da 11 persone.
Con oltre 60 milioni di euro raccolti ha conquistato il IX posto nella classifica nazionale del 5X1000. Oggi la Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer rappresenta un modello pressoché unico nell’ambito ospedaliero italiano. Alla notizia di aver vinto ottenuto l’importante riconoscimento, Alessandro Benedetti ha dichiarato: “Sono orgoglioso del percorso virtuoso che è partito da una semplice idea che è poi cresciuta con passione, delicatezza e amore. Sentimenti che ognuno di noi in Fondazione e soprattutto al Meyer mette ogni giorno nell’impegno per il proprio lavoro e per la cura di ogni singolo bambino.”
Per la categoria di donatore dell’anno, il premio è stato assegnato alla coppia dei coniugi Maria Edmea Sambuy e Francesco Zen. Il loro sostegno costante e generoso di UNHCR dura da più di 20 anni, quando nel 1995 hanno deciso di apportare il loro contributo per supportare le operazioni umanitarie nella ex Jugoslavia. I due coniugi in particolare affermano che “Donare ci fa sentire parte di una sfera più ampia di quella del nostro quotidiano, è il nostro modo per sentirsi parte del mondo, allarga il nostro raggio d’azione. Il raggio d’azione che scegliamo di avere è legato alla generosità perché se ci chiudiamo, e diciamo il nostro raggio d’azione è solo il nostro indirizzo, effettivamente non diamo nulla a nessuno, anzi non salutiamo neanche il vicino. Ma noi abbiamo scelto di allargare il raggio d’azione fino ad includere i rifugiati, persone che scappano per poter continuare a vivere. In un contesto di globalizzazione e di disastri sociali, la solidarietà diventa una necessità per lo sviluppo futuro. Non sopravvivremo come umanità se non riusciremo a dare una risposta al problema di coloro che fuggono”.
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