In Italia un comune su tre (31%) ha quartieri costruiti interamente in zone a rischio idrogeolico. Sette milioni di persone si trovano invece ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. In 1.074 comuni (77%) sono presenti abitazioni in aree a rischio. Nelle aree golenali o a rischio frana, nel 18% dei casi sono presenti scuole o ospedali, nel 25% strutture commerciali. A Roma e Napoli sono oltre 100mila i cittadini che vivono o lavorano in zone a rischio, poco meno di 100mila anche le persone in aree a rischio nella città di Genova. Inoltre, nonostante i rischi ormai evidenti, a Roma, Trento, Genova e Perugia anche nell’ultimo decennio sono state realizzate nuove edificazioni in aree a rischio. Lo dice ‘Ecosistema rischio 2016’, il monitoraggio sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico svolto da Legambiente e presentato oggi a Roma nella sede dell’Anci.
Drammatici i numeri relativi alle conseguenze sulla popolazione: solo nel 2015 frane e alluvioni hanno causato nel nostro Paese 18 vittime, un disperso, 25 feriti, 3.694 persone evacuate o rimaste senzatetto in 19 regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località. Il rapporto di Legambiente prende in esame le risposte delle amministrazioni locali al questionario inviato ai 1.444 Comuni italiani in cui sono state perimetrate aree a rischio idrogeologico. Dodici città capoluogo hanno risposto al questionario: Roma, Ancona, Cagliari, Napoli, Aosta, Bologna, Perugia, Potenza, Palermo, Genova, Catanzaro e Trento. Ne emerge un quadro allarmante, anche perché non sembra ancora esserci la giusta attenzione per porre rimedio.
Dal rapporto ‘Ecosistema rischio 2016’ di Legambiente emerge come solo il 4% delle amministrazioni abbia intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1% di insediamenti industriali. In ritardo anche le campagne informative sul rischio e i comportamenti da adottare in caso di emergenza.Popolazione inconsapevole e Istituzioni ancora più in ritardo: l’84% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% dei Comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. Secondo l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, tra il 2010 e il 2014 le vittime sono state 145 con 44.528 persone evacuate o senzatetto, con eventi che si sono verificati in tutte le regioni italiane, nella quasi totalità delle province (97) e in 625 comuni per un totale di 880 località colpite. Rispetto all’attività di prevenzione del rischio, nell’80% dei comuni intervistati sono stati redatti piani urbanistici che hanno recepito le perimetrazione delle zone esposte a maggiore pericolo. Nonostante l’evidente fragilità del territorio, nel corso dell’ultimo decennio, nel 10% dei comuni (146 fra quelli intervistati) si è continuato a costruire in zone a rischio: nell’88% dei casi sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana con la costruzione di abitazioni (in 128 comuni su 146); nel 14% dei casi in tali aree sono sorti addirittura interi quartieri (in 20 comuni). Nel 38% l’edificazione ha riguardato fabbricati industriali (55 comuni). Nel 12% dei casi (17 comuni), invece, sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali, nel 18% (26 comuni) strutture ricettive e nel 23% (33 comuni) strutture commerciali.
Complessivamente soltanto il 4% dei comuni intervistati per ‘Ecosistema rischio 2016’ di Legambiente ha avviato azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nell’1% dei casi si è provveduto a delocalizzare insediamenti o fabbricati industriali. Il 68% dei comuni ha poi dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica; nel 70% dei comuni campione sono state realizzate opere per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o di consolidamento dei versanti franosi. “Bisogna avviare una seria politica di mitigazione del rischio che sappia tutelare suolo e corsi d’acqua- sostiene il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti- e ridurre i pericoli a cui sono quotidianamente esposti i cittadini. La prevenzione deve divenire la priorità per il nostro Paese, specialmente con gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Per essere efficace però, la prevenzione deve prevedere un approccio complessivo che unisca le politiche urbanistiche, una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza delle zone a rischio, la realizzazione di interventi pianificati su scala di bacino, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e la crescita di consapevolezza da parte dei cittadini”, termina Zampetti. (Dire)
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