In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha accusato il gruppo armato huthi, sostenuto da elementi delle forze di sicurezza, di aver portato avanti unacampagna di arresti di massa di oppositori, fermati ai posti di blocco e in alcuni casi sottoposti a sparizione forzata nel tentativo di stroncare ogni forma di dissenso nelle aree dello Yemen sotto il loro controllo.
Il rapporto, intitolato “Dov’è mio padre? Arresti e sparizioni nelle zone dello Yemen controllate dagli huthi”, denuncia la campagna di arresti arbitrari e di sparizioni forzate condotta dagli huthi tra dicembre 2014 e marzo 2016 nella capitale Sana’a, a Ta’iiz e Hodeidah.
Il rapporto esamina una sessantina di casi di esponenti politici di opposizione, giornalisti, difensori dei diritti umani, accademici e altri ancora, molti dei quali trattenuti senza contatti col mondo esterno, compresi parenti e avvocati e sottoposti a tortura.
“Dal dicembre 2014 gli huthi hanno portato avanti una campagna brutale e pianificata per colpire oppositori politici e voci critiche. Centinaia di persone sono state arrestate e trattenute senza accusa né processo, talvolta sottoposte a sparizione forzata in evidente violazione del diritto internazionale” – ha dichiarato James Lynch, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
“La sparizione forzata è un crimine orrendo che non può essere giustificato in alcuna circostanza. Invece di imprigionare oppositori per settimane o mesi, il gruppo armato huthi dovrebbe rilasciare tutte le persone arrestate arbitrariamente, assicurare che i detenuti siano trattati con umanità e rendere noto alle sue forze che chiunque compirà abusi sarà chiamato a risponderne” – ha aggiunto Lynch.
Nella vasta maggioranza dei casi, alle persone arrestate non è stata fornita alcuna spiegazione. Alcuni prigionieri sono rimasti in detenzione anche per 17 mesi prima di essere portati di fronte a un giudice. Nessuno dei detenuti i cui casi sono descritti nel rapporto di Amnesty International è mai stato incriminato né ha potuto contestare la legittimità della sua detenzione. Funzionari huthi hanno comunicato ad Amnesty International che le persone tuttora detenute “hanno trasmesso coordinate Gps alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita”.
Amnesty International ha ottenuto atti ufficiali secondo i quali le autorità giudiziarie di Sana’a avevano giudicato priva di base legale la detenzione di decine di attivisti politici, giornalisti e altre persone, senza che peraltro le loro pronunce avessero avuto alcun effetto.
Molte persone sono state detenute in centri segreti o improvvisati, comprese abitazioni private, e sono state trasferite più volte da un posto all’altro. Delle 60 i cui casi sono descritti nel rapporto di Amnesty International, 18 sono ancora detenute e di tre di loro non si hanno più notizie.Ex detenuti e familiari di detenuti hanno fornito resoconti strazianti sulle torture.
I familiari di Abdul-ilah Saylan, uno studente di 21 anni arrestato a Sana’a nell’agosto 2015, hanno raccontato le torture compiute da funzionari della sicurezza di fronte ai loro occhi, in occasione di una visita in carcere nel febbraio 2016.
“Una guardia ha iniziato a picchiarlo, poi ne sono arrivate altre tre. Lo hanno pestato selvaggiamente. Potete immaginare come ci sentivamo a vederlo sanguinare dal naso e dalla bocca e alla fine svenire, senza poter fare nulla per aiutarlo? Quando è svenuto lo hanno trascinato via e ci hanno detto che potevamo tornare a casa”.
Alcune settimane dopo i familiari sono tornati a visitare Abdul-ilah Saylan. Aveva ancora il volto tumefatto. Ha raccontato che, ripresosi dallo svenimento, è stato legato e nuovamente picchiato da sette guardie. È tuttora in attesa di essere incriminato e non sa il motivo per cui si trova in carcere. Nel settembre 2015 un canale televisivo yemenita ha mandato in onda una sua “confessione” nella quale ammetteva di far parte di un gruppo armato ostile agli huthi.
Un ex detenuto, arrestato nell’ottobre 2015 all’interno dell’albergo Ibb Garden insieme ad altre 24 persone, ha raccontato di essere stato bendato e, con le mani legate dietro la schiena, torturato per un’ora e mezzo a colpi di bastone e con scariche elettriche sul petto, sulla schiena, sulle braccia e sull’inguine.
La maggior parte delle persone prese di mira dagli huthi erano attivisti politici, giornalisti o altri soggetti affiliati ad al-Islah, un partito politico sunnita che si è opposto alla presa del potere da parte degli huthi e che ha preso le parti della coalizione a guida saudita.
Tuttavia, in altri casi, le persone arrestate non avevano alcuna posizione politica o altra caratteristica che potesse la persecuzione: tra queste, 11 giornalisti.
Mohamed Qahtan, figura di spicco di al-Islah e noto critico nei confronti degli huthi, risulta scomparso dall’aprile 2015, quando è stato portato via dalla sua abitazione da una decina di uomini armati in abiti civili. La sua famiglia, che ha potuto vederlo una sola volta tre giorni dopo l’arresto, teme che sia morto.
Adel Hajr, un insegnante di Hodeidad, è detenuto dal dicembre 2014 quando fu preso in una retata nel corso della preghiera del venerdì.
“Adel ha due figli piccoli. È solo un insegnante di matematica che nel tempo libero faceva il volontario presso un orfanotrofio. Perché lo hanno preso?” – ha detto sua moglie Arwa ad Amnesty International.
“Privare qualcuno della sua libertà, del tutto a casaccio e senza alcuna base legale per l’arresto, è un’incomprensibile violazione dei diritti umani che ha, per di più, un impatto terrificante sui familiari che finiscono per passare mesi a rintracciarlo o a supplicarne il rilascio, quando non c’è neanche uno straccio d’accusa nei suoi confronti” – ha commentato Lynch.
In un memorandum inviato ad Amnesty International il 16 maggio, il ministero dei Diritti umani di Sana’a – sotto il controllo degli huthi – ha rigettato come “prive di fondamento” le accuse relative agli arresti arbitrari, alle sparizioni forzate e alla tortura precisando che chi critica le autorità di Sana’a “non è soggetto ad alcuna misura repressiva” in quanto “lo Yemen e le sue autorità credono fermamente nella libertà d’espressione”.
Nell’ambito dei negoziati di pace in corso in Kuwait, è stato istituito un comitato speciale per i prigionieri e i detenuti. Amnesty International chiede a coloro che prendono parte ai negoziati, così come agli attori internazionali che li stanno facilitando, di assicurare che sia data priorità ai diritti delle persone arbitrariamente detenute, e dei loro familiari, nelle aree sotto il controllo degli huthi.
[…] Arresti arbitrari, sparizioni e torture. Così gli huthi perseguitano i loro oppositori nello Yemen […]