Senza di lui l’Italia sarebbe un paese meno evoluto, un paese senza divorzio ed aborto, senza diritti civili conquistati con la determinata, ostinata coscienza di un vero liberale.
Molte battaglie non le ho condivise (quella su Toni Negri ad esempio), ma Marco Pannella resterà un esempio politico ed umano per me e per tutta la mia generazione.
Un esempio di uomo coraggioso e diretto, che ammetteva gli errori e chiamava le cose con il loro nome, senza tentativi di fuga o giri di parole.
Con il Requiem di Mozart Radio Radicale ha annunciato la sua morte ad 86 anni, festeggiati il 2 maggio nella sua casa di via Panetteria, a pochi passi dal Quirinale.
Lunghissima e piena di svolte, passioni, rotture, digiuni, bavagli, la sua vita politica.
Nato a Teramo nel 1930, si era laureato in legge nel 1950. Nel 1955, dopo un’esperienza nella gioventù liberale e nell’unione goliardica italiana, fondò il partito radicale insieme a Pannunzio, Ungari, Scalfari, Carandini, Cattani. Divenutone segretario nel 1963, dopo un’esperienza a Parigi come corrispondente del Giorno, già nel ’65 cominciò la campagna divorzista con Loris Fortuna.
Nel 1968 venne arrestato a Sofia dove contestava l’invasione della Cecoslovacchia. E’ fu allora che scattò il suo primo grande digiuno gandhiano. “Digiuni di proposta, non di protesta”, amava sottolineare.
Nel 1974 condusse l’iniziativa per il no all’abrogazione del divorzio. Un anno dopo, iniziò la battaglia per la depenalizzazione delle droghe facendosi arrestare per aver fumato uno spinello in pubblico.
Nel 1981 la vittoria al referendum per il no all’abrogazione dell’aborto e negli anni novanta la nuova svolta: la trasformazione dei radicali in un partito transazionale, allargando il campo delle sue battaglie alla lotta contro la pena di morte e contro la fame nel mondo.
E’ nel 1976 che entrò per la prima volta alla Camera come deputato, rieletto nel ’79, nell’83 e nell’87. In tanti, negli ultimi anni, hanno invocato un seggio come senatore a vita lui, ma è morto senza aver mai ricevuto un riconoscimento dovuto ed andato a persone che lo hanno meritato molto meno di lui.
Come scrive il Post Pannella è stato unico nella storia politica italiana, per modo di viverla, per indipendenza e originalità di pensiero, e per carattere.
Dal punto di vista culturale i suoi progenitori li individuò nella sinistra liberale o socialista liberale di Gobetti, Rosselli e Rossi, e tuttavia, nel 1972, cercò anche un contatto con il movimento anarchico, intervenendo a un congresso della F.A.I., Federazione Anarchica Italiana, proponendo addirittura di sciogliere il PR nel movimento anarchico, ma la proposta cadde nel vuoto.
Ha avuto una vita movimentata, ricca, contraddittoria – larger than life, più grande di una vita sola, direbbero gli americani – vissuta per lungo tempo all’interno del dibattito politico e culturale italiano: direttore di due quotidiani di sinistra radicale, Lotta continua e Liberazione, per esempio, ma anche sostenitore del primo governo di Silvio Berlusconi nel 1994.
Ma fu sempre schietto, limpido, chiaro, un esempio raro nel panorama politico italiano di ieri e di oggi, un uomo che ha promosso per tutta la vita i valori democratici e liberali, la difesa dei diritti umani e dell’autodeterminazione individuale, occupandosi praticamente da solo di temi marginali e cercando di farli entrare nel dibattito pubblico: la responsabilità civile dei magistrati, l’indipendenza del Tibet, l’europeismo, la lotta alla caccia.
Ha sostenuto tutte queste cause con la sua abile e particolare oratoria e con le tecniche della cosiddetta “disobbedienza civile”: lunghi scioperi della fame e della sete, comizi interminabili, manifestazioni pubbliche.
Contraddittorio come tutte le persone di genio, Pannella, è stato assieme un alfiere dei diritti individuali, capace di attirare tra i radicali i giovani contestatori degli anni settanta ed anche, venti anni dopo, di allearsi con Berlusconi.
Anche la sua vita privata è stata fuori dagli schemi: “Sono legato da 40 anni alla mia compagna Mirella, ma ho avuto tre o quattro uomini che ho amato molto. E con lei non c’è stata mai nessuna gelosia”. Nessun figlio dalla moglie; ma forse più d’uno, per sua stessa ammissione, sparsi in giro per l’Italia, frutto dei suoi amori giovanili. I successi li ha costruiti con due armi: le sue parole e il suo corpo.
Era lui il “signor Hood” di una canzone che gli aveva dedicato Francesco De Gregori: “con due pistole caricate a salve e un canestro pieno di parole”.
Io credo che abbia ragione la persona che gli è stata più accanto nelle sue lotte politiche, Emma Bonino, che da Radio Radicale, commentando la sua morte ha detto: “Mancherà a tutti penso persino ai suoi avversari, molto amato ma poco riconosciuto nei suoi meriti in questo paese che tanto gli deve. Credo che ora molti dovrebbero riflettere, ora che non è più in vita, sui suoi meriti e la sua presenza nella storia di questo Paese”.
Da non dimenticare infine, a mio avviso, due importanti contributi “teorici”: la prefazione al libro del direttore della rivista undergorund “Re Nudo” Andrea Valcarenghi, “Underground a pugno chiuso”, e il “preambolo” allo statuto del PR su nonviolenza e lotta alla fame nel mondo.
Il primo, che fu festosamente salutato da Pasolini, si faceva apprezzare, oltre che per il tipo di critica alla violenza rivoluzionaria (“morale”, ma suicida), in particolare nel passaggio in cui si leggeva: “Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia di occuparlo”.
Carlo Di Stanislao
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