Diverse comunità indigene nell’India centrale rischiano l’annientamento perché costrette ad abbandonare le loro terre ancestrali, che si trovano nella riserva delle tigri di Achanakmar, nei pressi dell’area che ha ispirato ‘Il libro della giungla’ di Rudyard Kipling.
Gli indigeni Baiga vengono perseguitati senza sosta e si sono sentiti dire che dovranno lasciare i villaggi per spostarsi in una radura fangosa al di fuori della riserva, nonostante non esistano prove che la loro presenza danneggi le tigri. Per poter sfrattare le tribù legalmente, le autorità dovrebbero fornire queste prove, ma tra il 2011 e il 2015, in realtà, il numero di tigri nella riserva sembra sia aumentato da 12 a 28.
“Non vogliamo andarcene, non possiamo” ha detto un uomo baiga del villaggio di Rajak. “Cosa dovremmo fare?”
“Intorno al nuovo insediamento non c’è niente per loro, in quella terra non crescerà nulla, non c’è acqua e non potranno raccoglierre niente nella foresta” ha raccontato a Survival un testimone locale. “Ecco perché sono così risoluti nel non andarsene; se lo faranno, semplicemente, moriranno.”
Ad alcuni è stato detto che se non lasceranno la terra ancestrale, le guardie libereranno orsi e serpenti nei loro villaggi. Altri sono stati arrestati e perseguitati – nel 2009 un uomo è stato incarcerato per tre mesi per aver mangiato uno scoiattolo che aveva trovato morto nella foresta.
Coloro che sono già stati sfrattati da Achanakmar ora vivono in campi governativi inadeguati e devono affrontare una vita di povertà ai margini della società indiana dominante.
“Da due o tre anni hanno posto restrizioni. Non ci lasciano vivere. Ci portano in prigione e ci minacciano” ha detto un Baiga del villaggio di Chirahatta, minacciato di sfratto. “Sono rigidi e severi. Ci arrestano per nulla. Se diciamo qualcosa, minacciano di metterci in prigione. Ci stanno rendendo la vita difficile.”
Altrove i Baiga svolgono massacranti lavori manuali nelle miniere di bauxite, in condizioni terribili.
Il fenomeno è dilagante e di enormi proporzioni. I popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente dalle riserve delle tigri in tutta l’India nonostante non vi siano prove che la loro presenza danneggi questo animale. Subiscono arresti e, in alcuni luoghi, pestaggi, torture e persino esecuzioni sommarie se cercano di rientrare nella loro terra ancestrale – contemporanemente, il turismo di massa per l’avvistamento delle tigri viene incoraggiato.
Lo scorso anno, Survival ha appreso che nella riserva di BRT, l’unica riserva indiana in cui alle tribù è stato formalmente permesso di restare, il numero di tigri è aumentato ben oltre la media nazionale indiana. Questo dimostra che i villaggi indigeni all’interno delle riserve faunistiche non costituiscono una minaccia significativa per le tigri o il loro habitat.
Survival ha scritto al WWF, la più grande organizzazione mondiale per la conservazione, che equipaggia e addestra le guardie forestali nella regione.
Le prove dimostrano che i popoli indigeni sanno prendersi cura dei loro ambienti meglio di chiunque altro. Nonostante questo, vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali nel nome della conservazione. Le grandi organizzazioni per la conservazione sono colpevoli di sostenere questa situazione. Non denunciano mai gli sfratti.
“È immorale e illegale prendere di mira le tribù che convivono da secoli con le tigri perché ad aver messo davvero in pericolo questi felini sono state l’industrializzazione e la caccia di massa promossa nell’epoca coloniale” ha commentato oggi Stephen Corry, direttore generale di Survival. “Ed è anche inefficace, perché prendersela con i popoli indigeni distoglie l’attenzione dalla lotta ai veri bracconieri – le bande criminali. Le grandi organizzazioni per la conservazione dovrebbero collaborare con i popoli indigeni, e non sostenere i Dipartimenti alle Foreste colpevoli delle violenze. Prendersela con i popoli indigeni danneggia la conservazione.”
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