“Siamo liberi e indipendenti e applichiamo la democrazia: ci si confronta, si discute e infine si vota” (Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale Anpi). È sempre tempo di Resistenza! Nel settantesimo anniversario della Repubblica scelta dagli Italiani il 2 Giugno 1946, la Democrazia trova nella difesa della Costituzione i princìpi fondamentali per la coesione nazionale nel rafforzamento delle proprie ragioni politiche e istituzionali antifasciste repubblicane. Il 2 Giugno 1946, con il Referendum istituzionale, prima espressione di voto a suffragio universale di carattere nazionale, subito dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale di cui furono corresponsabili nel regime fascista di Mussolini insieme alla Germania nazista di Hither e al Giappone fascista di Tojo, le italiane e gli italiani scelsero la Repubblica, eleggendo contemporaneamente l’Assemblea Costituente che, l’anno successivo, avrebbe approvato la Carta Costituzionale, entrata in vigore il 1° Gennaio 1948, ispirazione e guida lungimirante della rinascita e, da allora, fondamento della Democrazia italiana. Quei valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli Uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli, sono ancora oggi il fondamento della coesione della società italiana ed i pilastri su cui poggia la costruzione degli Stati Uniti di Europa insieme alla Santa Russia, senza più barriere, scudi, muri, fili spinati e guerre. Dalla condivisione di quei valori nasce il contributo che il nostro Paese offre con slancio al Mondo, convinzione e generosità alla convivenza pacifica tra i popoli ed allo sviluppo della comunità internazionale libera dal Male. Nei complessi scenari che caratterizzano il Mondo sempre più connesso e interdipendente in cui viviamo, l’Italia svolge un ruolo fondamentale di equilibrio ed apertura, di incessante ricerca del dialogo e della cooperazione, accanto all’affermazione dei princìpi che sono alla base della sicurezza, della solidarietà e della pace. Di essi le Forze Armate fedeli alla Costituzione della Repubblica sono il supremo presidio, vicine ai cittadini e fedeli alle Istituzioni. È accaduto nei sanguinosi conflitti mondiali che hanno lasciato segni indelebili nella coscienza nazionale. È accaduto quando la Nazione ha subìto calamità naturali, come i terremoti, gli tsunami, le eruzioni vulcaniche, i dissesti idrogeologici e così accade oggi con i nostri soldati che vengono impiegati in Patria e all’Estero, fedeli al Diritto Internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, per contribuire alla Giustizia tra i popoli, alla sicurezza e alla serenità di tutti. Nel 70.mo anniversario della Repubblica rivolgiamo il nostro deferente omaggio a tutti i militari e i civili che hanno perso la vita in Italia e all’Estero nell’adempimento del loro dovere, per costruire, difendere e diffondere i grandi valori ai quali, unitamente alla Comunità internazionale, la nostra Costituzione repubblicana si ispira per promuovere in Europa e nel Mondo. Ai soldati, marinai, avieri, carabinieri, finanzieri, medici e volontari della Cooperazione Internazionale, di ogni ordine e grado, in modo speciale a quanti in questo giorno di festa sono impegnati lontano dalle proprie case ed affetti, giungano un fervido augurio e la gratitudine del Popolo italiano. Il 70.mo anniversario della Repubblica è una ricorrenza dal grande valore simbolico che incoraggia in tutti noi una profonda riflessione sulla nostra Storia, sui valori costituzionali fondanti della nostra identità e sul futuro che ci aspetta negli Stati Uniti di Europa finalmente liberi dal nazifascismo e dalla dominazione dei Warlords. Con il Referendum del 2 Giugno 1946 gli italiani scelsero una nuova forma istituzionale, gettando le basi di quel processo di rinnovamento politico e sociale cui aspirava il Paese e fissando nella libertà, nella giustizia e nella solidarietà sociale i suoi valori di riferimento. Celebrare questa data, al di fuori dei palazzi del potere, significa riaffermare con forza e convinzione l’autenticità di quella scelta costituzionale che settant’anni fa ha portato l’Italia, dopo il difficile avvio del processo di Unità nazionale e due guerre mondiali (evitabilissime!) che ne hanno profondamente lacerato il tessuto sociale, economico, scientifico e tecnologico, ad incamminarsi sulla via della innovazione e della prosperità. Il 2 Giugno è il giorno in cui tutti gli italiani e le Forze Armate fedeli alla Costituzione repubblicana, che di quel passaggio fondamentale sono state indiscusse protagoniste, esprimono un sentimento di sincera appartenenza a questo straordinario Paese vocato a richiamare in Patria i suoi figli migliori, tutti orgogliosi della loro storia e di quanto hanno saputo costruire negli anni, della credibilità internazionale che sono riusciti a guadagnarsi, della solidarietà che riescono ad esprimere nei confronti di popoli che chiedono aiuto e sostegno. Società civile e mondo militare saranno insieme per sempre, anche in questa occasione della difesa estrema della Costituzione della Repubblica sotto assedio, a conferma di un processo di reciproca osmosi sempre più spinto e con l’impegno comune a contribuire alla ripresa e alla crescita dell’Italia. È questo il significato della ricorrenza odierna, che ciascuno di noi deve avere ben presente per sperare in un futuro migliore per i nostri figli e nipoti, per non vanificare il sacrificio di quanti, in passato, da Patrioti Eroi Martiri per la libertà hanno creduto nell’idea di poter costruire una grande Nazione a garanzia della giustizia, dell’ordine, della democrazia e della Pace internazionali. Ogni sforzo comunitario teso a cogliere, sostenere e valorizzare la Costituzione Italiana (www.quirinale.it/qrnw/costituzione/pdf/costituzione.pdf) per la rinascita del sistema produttivo e di ogni opportunità di lavoro e di crescita intellettuale, morale, economica e sociale, scaturisce necessariamente dalla fedeltà alla Carta costituzionale che oggi con presunzione, dilettantismo e pressapochismo alcuni tentano di sovvertire in nome della tecnocrazia imperiale di CdA, Ceo, istituzioni private sovranazionali al di fuori di ogni controllo democratico diretto e indiretto, massonerie, centri più o meno occulti di potere mondiale e chissà cos’altro che, per carità di Patria, alcuni preferiscono pontificare, addolcire, sorseggiare nel fiele mieloso dei ricorsi storici, piuttosto che cassare subito. Sempre nel nome delle onnipresenti “riforme” antidemocratiche e liberticide dei valori della nostra Resistenza! Un attacco, di lunga data, sferrato al suo stesso “cuore”: la Sovranità, la Indipendenza, la Libertà, la Legittimità costituzionali. In un applauso scrosciante vuole morire l’Italia della denatalità? La Costituzione vigente non assicura già l’innovazione, la ricerca, l’accesso ai servizi, a più snelle procedure e più semplici adempimenti, scoraggiando dannose frammentazioni di compiti e funzioni, sovrapposizioni di competenze e inefficienze nell’utilizzo delle risorse pubbliche? La Carta costituzionale non favorisce già in ogni modo la cooperazione fra istituzioni, contribuendo a superare situazioni di stallo, contrasti e divaricazioni di interessi pubblici, contrastando la dialettica sterile che ritarda e spesso vanifica la decisione finale? La Costituzione non si fa carico già in concreto dei bisogni e delle aspettative dei cittadini per garantire l’effettivo esercizio dei loro diritti, per contrastare le mafie, il degrado urbano nelle aree metropolitane e nei comuni più piccoli, la corruzione, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, il disagio dei più giovani e dei più anziani? Non è forse già utile, la Carta costituzionale, per favorire l’azione di supporto alle scuole nelle iniziative, anche fuori dall’orario di lezione, di contrasto all’abbandono scolastico e alla esclusione sociale; per garantire l’efficacia e la credibilità dell’azione pubblica fondata sul rispetto della legalità, sull’etica del servizio e sulla trasparenza; per contrastare ogni tentativo di asservire uffici e istituzioni a interessi personali, favoritismi e malaffare; per prevenire e punire fenomeni corruttivi e di condizionamento criminale nei contratti pubblici, a salvaguardia della realizzazione delle opere e della occupazione; nella gestione dei continui flussi di persone in fuga da guerre, persecuzioni e povertà, ripudiando la guerra, i muri, gli scudi missilistici, le barriere e le armi di distruzione di massa (nucleari, biologiche e chimiche) come mezzi di risoluzione delle controversie internazionali, nelle attività di primo soccorso e di assistenza, nel garantire condizioni generali di sicurezza e di rispetto della dignità umana, per favorire la sistemazione più adeguata nelle diverse realtà, per l’accoglienza, l’inclusione e l’inserimento dei profughi anche in progetti di utilità sociale; per l’affermazione dei princìpi di libertà nella sicurezza e la coesione delle nostre comunità, per il buon funzionamento della macchina pubblica a garanzia dei servizi essenziali, per far vivere nel quotidiano i princìpi e i valori che sono alla base del Patto di Cittadinanza Repubblicana? Il tema del XVI Congresso Nazionale dell’Anpi, “Con i valori della Resistenza e della Costituzione verso un futuro democratico e antifascista”, celebrato a Rimini dal 12 al 15 Maggio 2016, pone la classica pietra tombale sulle controriforme incostituzionali dell’autoritario governo Renzusconi alias Renzi. La Relazione politica del Presidente Carlo Smuraglia non lascia spazio a fraintendimenti ideologici di sorta. È la liquidazione della tecnocrazia antidemocratica in Italia. “Da tempo contestiamo che il 2 Giugno possa risolversi in una parata militare o poco più – osserva Carlo Smuraglia, Presidente nazionale dell’Anpi – abbiamo, nel tempo, accentuato il connotato di anniversario fondamentale per la vita del Paese; in seguito, abbiamo collegato al 2 Giugno il tema della Costituzione, dando luogo anche a manifestazioni molto participate. Quest’anno, è impossibile celebrare il 2 Giugno senza ricordare che nel 2016 si concentrano ben tre anniversari: la Repubblica, il voto alle donne e la nascita della Costituente (e in Germania il Processo di Norimberga, NdA). Tre anniversari che imprimono un carattere particolarmente significativo ad una Festa che, per noi, ha sempre avuto un’importanza del tutto particolare. A fronte di un interrogativo che alcuni si sono posti, se il 2 Giugno abbia rappresentato il punto di arrivo della crisi che portò il Paese fuori dal fascismo e dalla guerra, oppure il primo passo di un nuovo possibile cambiamento, ho personalmente ritenuto – sempre – che il tema fosse mal posto, perché in realtà, la vera fase conclusiva del periodo della dittatura fu l’8 Settembre, che segnò anche l’inizio della fase di riscatto. Il 2 Giugno fu il giorno della scelta decisiva, influenzata solo in parte dal comportamento dei Savoia: la scelta se restare ancorati ai modelli del periodo prefascista, oppure avviare con determinazione il cammino, magari non facile, verso una democrazia, in cui i cittadini assumessero finalmente il ruolo chiave, attraverso la partecipazione. Per chi ha partecipato alla Resistenza, una simile scelta non aveva alternative, perché in realtà ciò che si era voluto, tutti, era la fine della dittatura e la nascita di un sistema democratico, che andasse oltre, anche rispetto all’esperienza del periodo liberale”. Peraltro concluso in Italia già nel 1912. “Molti di noi, il 2 Giugno 1946 – rivela Carlo Smuraglia – non ebbero dubbi, sembrandoci impossibile non trarre le conseguenze logiche e necessarie dell’esperienza che avevamo vissuto e dei sogni che avevamo coltivato. Del resto, nelle famose “aree libere”, quando vi fu la possibilità concreta di sperimentare la democrazia, talora in forma poco più che primitiva, la definizione a cui si pensò, fu quella di “Repubblica Partigiana”. La Repubblica fu, dunque, per molti, la speranza di un futuro diverso, nel quale non ci fosse più posto per qualsiasi forma di autoritarismo e tanto meno di “sudditanza” dovendo il popolo diventare, finalmente, il vero protagonista della scena politica. Non a caso, del resto, nel 1946 si decise finalmente di riconoscere alle donne il diritto di votare e di essere elette; ed anche questo era frutto di un’aspirazione certo lontana nel tempo (i movimenti femministi risalgono alla fine dell’800 ed alla parte iniziale del ‘900), ma consolidata con l’irruzione delle donne sulla scena politica, negli anni della Seconda Guerra Mondiale e soprattutto tra il 1943 e il 1945, con l’assunzione di inedite responsabilità e compiti, come staffette, come partigiane, come protagoniste della Resistenza non armata, infine come componenti dei “Gruppi di Difesa della Donna”. È nel 1946 – ricorda Carlo Smuraglia – che si concretizza quello che per molto tempo era stato il sogno impossibile e che ora, dopo la Resistenza, appariva come imprescindibile, al di là di ogni pregiudizio e di ogni timore. E non è un caso, che sempre nel 1946, e proprio a seguito del voto del 2 Giugno, fu eletta l’Assemblea Costituente, si diede vita – cioè – al percorso che doveva creare le condizioni di vita e di rapporti politici e sociali (anch’essi sognati nella Resistenza e finalmente avviati alla realizzazione) creando la struttura di quella che diventerà poi la nostra Costituzione, destinata a durare nel tempo. Per tutto questo, oggi il 2 Giugno non può essere festeggiato solo come l’anniversario di una scelta, pur decisiva, ma deve essere considerato nel contesto di tutti gli anniversari che si celebrano nel 2016, perché fra di essi vi è un legame strettissimo e indissolubile (Repubblica, voto alle donne, Costituente), riconducibile ad un’unica matrice, la Resistenza ed alla volontà di riscatto del Popolo italiano. Forse, nella mente dei vincitori del voto del 2 Giugno, vi fu solo in parte questa consapevolezza complessiva; forse si coltivavano perfino speranze eccessive, al limite delle illusioni. Ma intanto il dado era tratto, con la forma di Stato, col riconoscimento del diritto universale di voto, con le basi gettate, con la Costituente, per una Costituzione radicalmente innovativa, che fosse di rottura netta col passato, ma anche di premessa ed impegno per un futuro socialmente, politicamente e democraticamente diverso. Tutto questo significa, oggi, il 2 Giugno; e come tale lo festeggeremo, anche se attraversiamo una fase non facile ed anche se è in atto uno scontro proprio sulla Costituzione. Ma siamo intenti a “celebrare” la ricorrenza, non tanto sulla base del ricordo storico, quanto e soprattutto sulla base della conoscenza e della riflessione: per capire meglio chi siamo e da dove veniamo e per guardare ad un futuro che potrà essere ancora incerto, ma non potrà mai prescindere dalle scelte di settant’anni fa e di ciò che hanno rappresentato e rappresentano tuttora nella vita e nei sentimenti del nostro Paese”. Sul Referendum costituzionale non c’è accordo tra l’Anpi e la Confederazione Italiana tra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane (raggruppa le 21 Associazioni di Combattenti, Decorati al Valor Militare, Congiunti dei Caduti, Mutilati e Invalidi di Guerra Militari e Civili, Protagonisti della Guerra di Liberazione e della Resistenza, Reduci dalla Deportazione, dall’Internamento e dalla Prigionia). La Confederazione ha infatti diffuso un comunicato in cui sostiene che “la specificità delle questioni poste sia propria di un’altra sfera di attività rispetto a quelle delle Associazioni Combattentistiche e Partigiane, che hanno invece come proprio compito quello di tramandare la memoria di una grande vicenda necessariamente “plurale” come fu la lotta per la Libertà. È oggi di fondamentale importanza che sia garantito il più ampio dibattito tra le ragioni degli uni e degli altri, lasciando alla libera e serena coscienza di ciascuno la scelta di cosa votare”. Posizione che non trova d’accordo l’Anpi sia nel metodo sia nella sostanza. “L’Anpi – si legge nella nota della Segreteria Nazionale – nel non condividere il comunicato del 26 Maggio della Confederazione Italiana tra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane, precisa di aver anche esposto la sua contrarietà allo stesso in sede di esame della bozza. Non essendoci, dunque, un “avviso comune” l’Anpi si dissocia, avendo già adottato, nel pieno rispetto delle finalità del suo Statuto ed in piena autonomia, la decisione di impegnarsi nella campagna referendaria per il NO alla riforma del Senato e per le modifiche alla legge elettorale di cui agli specifici quesiti. Resta ovvia la libertà di pensiero e di voto per chi non concorda con quella decisione, confermata peraltro anche dal Congresso Nazionale”. Chi sono gli iscritti all’Anpi “non partigiani”? Secondo Andrea Liparoto, membro della Segreteria nazionale Anpi, 43 anni, “non un partigiano vero, ma dal 2011 un componente della Segreteria Nazionale dell’Anpi”, è “un fatto del tutto normale derivante dalla scelta che le partigiane e i partigiani fecero nel Congresso di Chianciano del 2006 quando, consci della loro inesorabile scomparsa, decisero di aprire le porte dell’Associazione anche ai non combattenti per non far disperdere l’immenso patrimonio di valori e princìpi fondativi della Resistenza. Da allora porto sulle mie spalle un non facile carico di responsabilità che sostengo e conduco supportato da un continuo confronto coi partigiani, tra cui, in primis, Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale, e quindi da studio, coscienza viva, e massima, seria attenzione a tutti gli accadimenti politici e sociali del nostro Paese. Tanti come me, anche molto più giovani, si muovono oggi nell’Anpi, fanno iniziative e si formano alla profondità e all’ampiezza del pensare, alle buone pratiche democratiche insomma, ad una direzione di vita e impegno in chiara sintonia con la lezione di civiltà e moralità delle nostre “madri” e dei nostri “padri” oltreché sotto la loro guida. Non abbiamo dunque occupato l’Anpi, come sento e leggo da più parti, siamo stati delegati a perpetuarne forza degli ideali e interazione costituzionalmente produttiva con le Istituzioni e il Paese tutto. Ho partecipato alla ormai nota riunione del 21 Gennaio scorso dove il Comitato Nazionale Anpi deliberò l’adesione dell’Associazione ai Comitati referendari per il No alla riforma del Senato e per il Sì alla correzione della legge elettorale “Italicum”. Una scelta frutto di un confronto che si è concluso con la condivisione di un dato di grande preoccupazione rispetto alla manomissione in atto di due princìpi fondamentali della Carta: il bilanciamento dei poteri e il diritto di rappresentanza dei cittadini in Parlamento. Non abbiamo inventato alcuna posizione ideologica o ideologizzata – osserva Andrea Liparoto – semplicemente ci siamo allineati all’antica cura della Costituzione e del presidio dei suoi pilastri che ha caratterizzato l’intera esistenza dei protagonisti della Guerra di Liberazione. Abbiamo fatto il nostro dovere statutario. Nulla di nuovo e di particolarmente sconvolgente. Né tantomeno nulla che abbia prodotto divisioni e spaccature nella nostra Associazione come continuo a vedere recitato sulla stampa. L’Anpi è oggi unita e salda, sono lì ad attestarlo i numeri dei recenti Congressi provinciali e del Congresso nazionale. Una modesta posizione di dissenso rispetto alla linea è più che comprensibile in un contesto pluralistico come il nostro; e non incide certamente nei rapporti interni che restano sempre fraterni. Sarebbe molto auspicabile che si riuscisse a riportare il doveroso dibattito su un tema delicato per antonomasia, come la riforma della Costituzione, su binari di responsabilità, rispetto, effettiva informazione e magari competenza. Le cittadine e i cittadini hanno diritto alla comprensione piena del tema, e alla possibilità di scegliere in totale libertà e coscienza. Sono loro i primi ad essere stufi del corrente circo delle menzogne, degli attacchi, delle improvvisazioni disperate e dei personalismi. Non dimentichiamoci mai che il primo avversario resta per tutti l’astensionismo”. Riunito a Roma, il 24 Maggio 2016, il nuovo Comitato Nazionale Anpi conferma la posizione sui Referendum e rilancia la Campagna Firme. “Il Comitato nazionale dell’Anpi – si legge nel Documento ufficiale – vista la campagna condotta da alcuni organi di stampa sulla cosiddetta spaccatura all’interno dell’Anpi per svalutare l’intera Associazione; visti i tentativi, da varie parti, di provocare o intimidire l’Anpi con dichiarazioni quanto meno improvvide mettendo perfino in dubbio la rilevante eredità morale di cui è portatrice e il dovere statutario di difendere la Costituzione da ogni stravolgimento, ribadisce: che la decisione di aderire alla Campagna referendaria per il NO è stata adottata dal Comitato Nazionale del 21 Gennaio u.s., con una netta e precisa maggioranza (venti voti a favore e tre astensioni); che tale decisione è stata ribadita praticamente in tutti i Congressi provinciali e sezionali dell’Anpi, con rarissime eccezioni; che la conferma definitiva è venuta dall’inequivocabile voto conclusivo (con solo tre astensioni) del Congresso sui documenti congressuali, compresa la Relazione generale del Presidente, analoga – nella sostanza – alle decisioni precedenti; che è assolutamente lecito e normale che vi siano, all’Anpi, anche opinioni dissenzienti, ma che il dissenso deve essere mantenuto nei limiti della circolare del 5 Marzo 2016, là dove afferma: «Abbiamo sempre affermato che la nostra è un’Associazione pluralista, per cui è normale anche avere opinioni diverse. Altra cosa, però, sono i comportamenti. Ovviamente, non sarà “punito” nessuno per aver disobbedito, ma è lecito chiedere, pretendere, comportamenti che non danneggino l’Anpi e che cerchino di conciliare il dovere di rispettare le decisioni, con la libertà di opinione». Decide: di intensificare la Campagna per il NO alla riforma del Senato e per il SI alla correzione di parti della Legge elettorale “Italicum” in tutti i luoghi in cui l’Anpi ha una sede, d’intesa con l’Arci e con le altre Associazioni che hanno aderito ai Comitati per il NO alla Riforma del Senato e per la “correzione” della Legge elettorale, adottando tutte le misure necessarie perché la raccolta delle firme si concluda tempestivamente e con esito positivo, invitando tutti gli iscritti a dedicare ogni impegno affinché si realizzi un’ampia e completa informazione di tutti i cittadini, sulle ragioni del NO e sui contenuti della riforma in discussione; di non accettare provocazioni e dunque di non intervenire in dibattiti e polemiche che non riguardino i contenuti dei Referendum; deplorando la inaccettabile campagna introdotta contro l’Anpi, perfino tentando discriminazioni fra i partigiani e respingendo altrettanto vergognosi avvicinamenti ad organizzazioni di stampo fascista; di invitare tutti, Governo, Partiti, Associazioni, cittadini, a mantenere la campagna referendaria nei confini della democrazia e della correttezza, dando assoluto ed esclusivo primato ai contenuti; invita la stampa a dar conto di tutte le posizioni, senza preferenze né distinzioni ed, in particolare, radio e televisione ad aprire spazi adeguati anche ai sostenitori del NO, come finora non è avvenuto; richiama l’attenzione del Garante delle Comunicazioni a fare il possibile per garantire che l’informazione nella campagna referendaria sia ampia ed equilibrata, si abbassino i toni, si privilegino le discussioni, pacate e le riflessioni informative. Il Referendum è un diritto dei cittadini e delle cittadine ed è uno strumento di democrazia: è necessario che tutti lo rispettino e si adeguino alla necessità di consentire una piena conoscenza dei reali problemi in discussione, senza prevaricazioni e senza l’uso di dichiarazioni provocatorie ed offensive. L’Anpi tutta è impegnata a garantire che questo importante esercizio di democrazia si svolga con estrema correttezza e parità di condizioni, in modo che davvero la parola conclusiva spetti al popolo”. Secondo il Presidente Carlo Smuraglia, in risposta ad alcuni Senatori, “quando si approva più volte una legge, si finisce per affezionarsi. Per di più, siamo già in campagna referendaria e dunque bisogna fare un po’ di propaganda e cercare di mettere in difficoltà chi si colloca, in questo caso, dall’altro lato della barricata. Capisco anche l’esaltazione che fate della Riforma: a voi piace, l’avete votata e non avete ripensamenti. Come sapete, io la penso in un altro modo e, fortunatamente, non sono il solo. Ma consentitemi però qualche osservazione: vi dichiarate tutti “iscritti e sostenitori dell’Anpi”; ma io non vi ho mai incontrato nel lungo cammino che abbiamo percorso su queste tematiche. Un cammino che è cominciato dal 29 Marzo 2014 (Manifestazione al Teatro Eliseo, Roma), è continuato per due anni, giungendo ad un primo approdo, in Comitato Nazionale, il 28 Ottobre 2015, con una posizione già piuttosto evidente sulla legge di riforma e l’eventuale referendum ed è proseguito con la decisione del 21 Gennaio 2016, adottata dal Comitato nazionale, di prendere posizione per il NO. Ma non basta: ci sono stati i Congressi delle Sezioni e dei Comitati provinciali e in tutti si è finito per discutere anche sul referendum, con libertà e ampiezza di idee; i documenti votati durante questi Congressi, sul tema specifico del referendum, parlano chiaro: 2501 favorevoli, 25 contrari e alcuni astenuti. Dunque – ricorda Carlo Smuraglia – si è discusso, ci si è confrontati (circa 30.000 presenze nei vari Congressi), ma la linea adottata il 21 Gennaio, ha raccolto ampi consensi. Mancava il traguardo finale, cioè il Congresso Nazionale. Si è svolto dal 12 al 15 Maggio, a Rimini, introdotto da una Relazione, ovviamente “schierata” sulla base delle decisioni adottate il 21 Gennaio e confermate nei Congressi. Anche a Rimini si è discusso e chi ha voluto ha parlato, in un senso o nell’altro. Alla fine, come si fa in democrazia, si è votato: 347 voti a favore del Documento base e della Relazione introduttiva al Congresso Nazionale, contro tre astensioni. Chiarissimo, mi pare. O no? Anche nella Relazione generale, peraltro, avevo riconosciuto che erano emersi alcuni dissensi, minoritari. Ad essi ho attribuito piena cittadinanza, riconoscendo “non solo il diritto di pensarla diversamente, ma anche quello di non impegnarsi in una battaglia in cui non si crede”, aggiungendo, peraltro che non si poteva riconoscere il diritto a compiere atti contrari alle decisioni assunte, perché ci sono delle regole da rispettare, codificate nei nostri documenti fondamentali, secondo le quali gli iscritti devono rispettare lo Statuto, il Regolamento e le decisioni degli organismi dirigenti; e ovviamente (anche se non c’è una norma specifica ), non recar danno all’Anpi. Tutto qui. Questo gran parlare che si fa del dissenso e di un preteso autoritarismo non ha davvero fondamento e ragion d’essere. In democrazia la maggioranza ha il dovere di rispettare il pensiero di chi dissente, ma quest’ultimo, a sua volta, ha il dovere di rispettare il voto e le decisioni assunte dalla maggioranza. Altrimenti, sarebbe l’anarchia. E questo sarebbe davvero inconcepibile in un’Associazione come l’Anpi che è sempre stata pluralista, ma nella quale mai si sono posti dei problemi come quelli che oggi vengono prospettati, non solo dall’interno, ma addirittura dall’esterno, impartendoci autentiche “lezioni” (mi piacerebbe sapere se tutti quelli che si dicono iscritti all’Anpi, lo sono davvero, oppure lo affermano soltanto, naturalmente non per contestare il diritto di critica, ma per capire da quale parte essa proviene, visto che noi un grande dibattito interno lo abbiamo già avuto in questi mesi). Voi dite che “molto potremmo discutere sull’opportunità e sulle modalità della scelta”. Discutete pure sull’opportunità, come appassionato esercizio dialettico, ma sulle modalità stento ad immaginare che cosa si sarebbe potuto e dovuto fare di più, per giungere ad una decisione, su cui si è formata una stragrande maggioranza. Voi vi preoccupate che l’Anpi non diventi un partito; non c’è pericolo, ve lo assicuro perché siamo sempre stati gelosi della nostra identità e della nostra indipendenza. Schierarsi in difesa della Costituzione è un obbligo che ci deriva dallo Statuto in termini che spero voi ricordiate (“concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione italiana, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”); e nessuno pensò che l’Anpi si trasformasse in partito quando scese in campo contro la “legge truffa”, nel 1953, o quando fece altrettanto contro il Governo di Tambroni, appoggiato dai fascisti, nel 1960. Sulla Costituzione è un dovere impegnarsi e battersi con ogni mezzo perché se ne conservino lo spirito ed i valori. Ignorare tutto questo – rileva Carlo Smuraglia – significa conoscere poco l’Anpi e il suo modo di essere e cancellare il dibattito e il confronto di questi mesi che hanno condotto democraticamente alla presa di posizione che oggi si vorrebbe mettere in discussione. Quanto poi al modo di affrontare la campagna referendaria, non siamo stati certo noi (e non lo saremo mai) ad “alzare i toni”. Altri hanno provveduto a farlo, eccome. Ho una vita alle spalle, cui nessuno dovrebbe mancare di rispetto: ma dal vostro giornale ho avuto, in pochi giorni, un attacco offensivo, una vignetta vergognosa ed ora un appello che non posso che considerare come rivolto a mettere in discussione un processo democratico che ha coinvolto tutta l’Anpi. Mi spiace che vi siate scomodati per noi, vi ringrazio dei consigli, ma noi obbediremo alla linea consacrata in un democratico Congresso, procedendo diritti per la nostra strada e rispettando perfino chi non ci rispetta. Non accetteremo l’invito quasi perentorio a continuare, al nostro interno, la discussione, perché essa c’è già stata, nella Sede competente, con il totale coinvolgimento dei nostri organismi e dei nostri iscritti. Forse sarebbe un esempio da seguire, per tutti, il metodo con cui ci siamo confrontati ed abbiamo preso le nostre decisioni. In ogni caso, e per concludere: abbiate un po’ di fiducia in noi: abbiamo sempre fatto di tutto per mantenere l’unità dell’Anpi, e ci riusciremo anche questa volta”. Sulla cosidetta “riforma del Senato”, si dice che sono molti anni che si discute e non si è mai fatto nulla. Perché opporsi adesso, quando si decide, finalmente, di fare qualcosa di positivo per un “aggiornamento” della Costituzione? Non si tratta di fare a tutti i costi, ma di fare bene, aggiornando quando occorre, ma rispettando lo spirito e i valori della Costituzione. Dunque, contrarietà ad ogni modifica del sistema parlamentare? Niente affatto: si può correggere il “bicameralismo perfetto” in modo molto semplice e rapido: differenziando, almeno in parte, il lavoro delle Camere e poi creando un sistema che consenta di approvare insieme le leggi più importanti e che affidi le altre ad un solo ramo del Parlamento, con la facoltà di intervento da parte dell’altro ramo. Questa “riforma” si sarebbe potuta fare in poco tempo, invece di mettere mano a modifiche molto estese e controverse del governo Renzusconi. Ma questo che viene configurato è il “Senato delle autonomie”? Non è vero, perché non rappresenta le Regioni, ma assegna solo determinati poteri a Consiglieri regionali e a Sindaci. In Paesi come la Germania, è il governo dei Lander (Regioni) che elegge il Senato e così nasce una vera rappresentanza delle autonomie. Ma non c’è il lato positivo del risparmio di spesa, visto che la funzione dei Senatori è prestata a titolo gratuito? Se si pensa che occorre ridurre il numero dei Parlamentari, si può ridurre proporzionalmente il numero dei Deputati e quello dei Senatori. Se invece si riduce drasticamente solo il numero dei Senatori, squilibrando il sistema, vuol dire che il disegno è un altro: praticamente “azzerare” il Senato e dare tutto il potere ad una sola Camera ed a chi la governa con un pugno di voti, anche di “minoranza” politica nel Paese. Questo è grave e pericoloso perché elimina il sistema di pesi e contrappesi giustamente disegnato dai Padri Costituenti per la Costituzione. Quanto al “compenso”, a prescindere dal fatto che nessuno può credere che si faccia un lavoro in più, gratuitamente, il problema è che non si possono fare due mestieri contemporaneamente. Quindi la gratuità è solo una finzione! Ci sarà uno snellimento al procedimento legislativo? Non è vero, perché sono previsti molti tipi e molte modalità di esercizio della funzione legislativa (secondo alcuni, sette, secondo altri, assai di più); l’Art. 70 della Costituzione si risolveva in una riga e mezzo, quello “nuovo” si protrae per tre pagine ed è indice solo di confusione, conflitti, rallentamento. Comunque si deve riconoscere che il Senato è eletto dal popolo? Non è vero: è eletto dai Consigli Regionali e da alcuni Sindaci, con modalità non ancora definite e rinviate ad una legge ordinaria che ancora non c’è! Ma perché si raccolgono le firme se il Referendum è stato già chiesto da Parlamentari e dal Governo? Le firme si raccolgono per vari motivi: in primis perché si coinvolgono i cittadini, informandoli e rendendoli consapevoli dei problemi di cui si sta discutendo; poi perché è sempre bene entrare in gioco in modo attivo e non solo operando di rimessa, specialmente quando è in campo il Governo, che non dovrebbe occuparsi di riforme costituzionali, ma ha strumenti rilevanti per informare e convincere gli elettori; inoltre perché raggiungendo il numero di firme necessarie e depositate in Cassazione, si acquisisce il diritto a spazi televisivi, radiofonici ed a rimborsi in caso di successo. Questo è importante per partecipare, a pieno titolo, alla fase decisiva della Campagna Referendaria ed anche per avere rimborsi delle spese sostenute e spesso volontariamente anticipate da cittadini volonterosi, ai quali potrebbero essere restituite. Cosa accadrà se vincerà il NO? Sarà il caos? Trattandosi di “riforma costituzionale”, non succederà nulla. Tutto resterà come prima, sul piano costituzionale, essendosi però evitato uno stravolgimento del sistema costituzionale e restando ben aperta la possibilità di apportare quelle opportune modifiche, ritenute necessarie per “correggere” il “bicameralismo perfetto”. Quanto alle conseguenze politiche, ne ha parlato solo il Presidente del Consiglio. L’Anpi è di diverso avviso e non lascia entrare la politica partitica nella Campagna Referendaria costituzionale. È da escludere, in ogni caso, il caos; il Governo andrà avanti fino a che il Parlamento gli darà la fiducia. E questo non c’entra nulla con le “riforme costituzionali”. Ci sono altre misure, nella legge sulla “riforma del Senato”. Anche su queste l’Anpi ha da ridire? Certamente: a) mentre si parla di partecipazione e della necessità di rafforzarla, si triplica il numero delle firme necessarie per i progetti di legge di iniziativa popolare; si rimanda alle “calende greche” la trattazione, da parte del Parlamento, che invece dovrebbe essere tempestiva e certa; b) c’è un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, che può fortemente incidere sull’agenda del Parlamento, fissando termini perentori per la trattazione di temi ritenuti importanti dal Governo, col rischio di restringere o addirittura eliminare il dibattito in Aula. E non è poco. Senza contare tutta la parte relativa alle autonomie, sulla quale l’Anpi avrà occasione di tornare; c) non si capisce il senso dei cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica; il quale, poi, può nominarne altri, per una durata diversa (sette anni) da quella del normale mandato dei Senatori. La “nuova legge elettorale” avrebbe recepito molte delle osservazioni pervenute da varie parti e fatte proprie dalla Corte Costituzionale: dunque è ora necessaria ed utile? Non è così. La legge elettorale Italicum è stata oggetto di vari ripensamenti e poi costruita sul modello di un partito che vince le elezioni superando il 40% e ottenendo un premio di maggioranza che consentirà di raggiungere il 54%, cioè 340 Deputati su 630. Così governerebbe da solo, tanto più che non sarebbe più disturbato dal Senato, svuotato di reali poteri! Il cittadino può liberamente esprimersi e non più dipendere dalle scelte dei partiti? Non è vero: restano 100 capilista che vengono praticamente nominati dai partiti; in più, per essi c’è la possibilità di presentarsi in più circoscrizioni ed esercitare solo in seguito l’opzione, col risultato che sarà eletto, ancora una volta, chi è stato designato dal partito di provenienza. Inoltre, c’è anche il premio di maggioranza, che praticamente distorce la volontà popolare, mutando in modo consistente la composizione della Camera. Le preferenze ci sono (due) ma rappresentano la parte minore e secondaria, restando esclusi comunque, i capilista. Essendo stato previsto il ballottaggio ed essendo escluse le coalizioni, vincerà comunque il migliore? Non è così: al ballottaggio, non essendo previsto un “quorum”, vince chi ha più voti e prende il premio di maggioranza anche se i voti sono stati assai pochi. È stato ipotizzato che potrebbe “conquistare” la Camera, con tutte le conseguenze già dette, il partito che ha ottenuto solo il 25 % dei voti: davvero questo rappresenterebbe la volontà popolare? La nuova legge rispetta le indicazioni della Corte costituzionale? No: quanto meno per ciò che attiene al premio di maggioranza ed ai capilista. Tant’è che un Tribunale ha già sollevato la questione di costituzionalità della nuova legge e la Corte deciderà il 3 Ottobre prossimo. Una legge elettorale, però, sembra necessaria visto che il Porcellum è stato cancellato dalla Corte Costituzionale (con il quale si è votato nel 2013 il Parlamento dei governi Letta e Renzusconi!) e quindi si sta procedendo in base a ciò che è “sopravvissuto”. Certo, una legge ci vuole, ma democratica e corrispondente alla volontà della Corte; il Referendum viene proposto non su tutta la legge, ma sui due punti sopra indicati. Peraltro, si tratta di una legge elettorale solo per la Camera. E il Senato, come verrà eletto? La legge elettorale non è nella Costituzione e quindi non si tratta di una riforma costituzionale; perché dunque viene praticamente abbinata nella Campagna Referendaria alla Riforma del Senato? La ragione è semplice: è un problema di democrazia e di rappresentanza; se due leggi, contemporaneamente, tolgono spazi di rappresentanza ai cittadini, incidono sulla pienezza dell’esercizio della sovranità popolare, alterano il sistema di poteri e contropoteri deliberato dalla Costituzione, finiscono inesorabilmente per influenzarsi a vicenda e soprattutto per porre, unitariamente, un problema di democrazia, che entra sempre in gioco quando si incide sulla rappresentanza e sulla libera e serena manifestazione della volontà dei cittadini, cui spetta, per indicazione della Costituzione, la Sovranità popolare. Questa legge, anche se ha qualche difetto, sembra favorire la governabilità; avrebbe il grande vantaggio di far conoscere i risultati la stessa sera delle elezioni consentendo, così, subito, la formazione del governo. È vero? La governabilità non è e non può essere un mito; e soprattutto non può essere garantita da strattagemmi normativi, dipendendo dalla volontà degli elettori e dalla capacità dei partiti di lavorare per il bene comune. D’altronde, la Germania, solo per fare un esempio, non ha questa legge e in occasione delle ultime elezioni si è creata una situazione di stallo, risolta, peraltro, dalla responsabilità dei due maggiori partiti che hanno dato luogo ad una coalizione di governo; così rispettando, sostanzialmente, la volontà dei cittadini e non forzandola. Non è accaduto in Italia dove si fanno le prove generali per il “partito della nazione”, un blocco antidemocratico ad uso e consumo delle potenze estere! “Il nostro Congresso si è chiuso con un voto inequivocabile, su 300 nessuno a favore della riforma voluta da Renzi – conferma Smuraglia – questo misto di revisione del Senato e nuova legge elettorale penalizza la rappresentanza dei cittadini. E il vecchio Articolo 70 era di una riga, il nuovo è di tre pagine. Abbiamo appena fatto un Congresso che ha coinvolto tutti i 124mila iscritti della nostra Associazione: la linea è chiara ed è per il NO alla riforma. Che ci sia chi la pensi diversamente è normale in una organizzazione che ha 124mila iscritti, ci mancherebbe. Ma la democrazia noi la applichiamo con dei processi, appunto, democratici. Dove ci si confronta, si discute, e infine si vota. Chi guarda al futuro siamo proprio noi Partigiani, forti dei nostri valori. Avevo messo a disposizione il mio incarico di Presidente, nel momento in cui scadeva il mio mandato. Il Congresso, però, si è espresso in modo molto diverso, con una richiesta corale di continuare. Non ho potuto oppormi e il Congresso si è pronunciato, rieleggendomi Presidente con voto unanime. Il Congresso Nazionale è andato benissimo. A tutte le sedute ha partecipato, costantemente, più del 90% dei delegati (una media di 345 presenze giornaliere, di cui il 30% donne); sono stati presenti, complessivamente, un centinaio di invitati. La discussione – ricorda Carlo Smuraglia – si è svolta con ampiezza (94 interventi, di cui 31 di donne); tuttavia non abbiamo potuto ascoltare tutti quelli che avrebbero voluto parlare, nonostante avessimo preso ogni misura possibile per riuscirci, ma davvero, vi è stata una richiesta molto ampia di intervenire, tanto che, se avessimo potuto (superando le difficoltà economiche), avremmo dovuto prolungare il Congresso di almeno un giorno. A prescindere dalle dolorose esclusioni, delle quali chiediamo scusa a tutti coloro che le hanno dovute subire, il dibattito c’è stato ed è stato ricchissimo. A partire dalla tavola rotonda sui “giovani”, bella e seguita con molta attenzione da parte del già vasto “pubblico” del primo giorno. Non ho visto contrasti animati né tantomeno discussioni animose, anche se sono state espresse opinioni diverse, non solo sui temi principali, ma anche su quelli che erano emersi dai Congressi sezionali e provinciali (la Commissione politica ha lavorato, l’ultima sera, fino all’una e trenta circa, non per dirimere contrasti, ma per migliorare i testi). Si è cercato di cogliere tutti gli spunti utili per ampliare ed approfondire il dibattito. Del resto, la stessa Relazione Generale introduttiva del Congresso aveva preso atto di diversi punti della riflessione, emersi dai congressi preparatori, arrivando così, di per sé, ad un primo approfondimento del Documento congressuale politico. Quest’ultimo, già approvato dalla stragrande maggioranza dei congressi provinciali, è stato poi sottoposto al voto assieme alla Relazione introduttiva ed il risultato è stato quello di un’approvazione pressoché unanime (solo tre astensioni, rispetto a 347 voti favorevoli), sulla quale peraltro è calato il silenzio da parte di quasi tutti gli organi di informazione. Un raro esempio di democrazia, di questi tempi, che l’Anpi ha potuto fornire grazie all’impegno dei delegati, al senso di appartenenza, ad una volontà fortissima di salvaguardare quel bene fondamentale che è l’unità dell’Associazione, pur nel pluralismo delle idee. Quanto al tema che, a rigore, non era compreso nel documento originario (la posizione dell’Anpi sulla riforma costituzionale, la legge elettorale e il referendum), ma è stato dibattuto in quasi tutti i congressi ed anche nel congresso nazionale, l’orientamento che era emerso dei congressi, in misura larghissima, in piena concordanza con la decisione adottata dal Comitato nazionale del 21 Gennaio 2016, è stata ulteriormente rafforzato, se è vero che sottoposti a votazione, insieme, il Documento politico nazionale e la Relazione introduttiva del congresso, su di essi si è realizzato quel consenso pressoché unanime, di cui ho già detto. Il tutto corroborato dal larghissimo consenso creatosi attorno alla Relazione del presidente uscente, la cui posizione era arcinota; consenso manifestato dapprima con la convinta e calorosissima adesione espressa al termine dello svolgimento della Relazione, poi col voto di cui ho detto ed infine con la rielezione, con voto unanime, del Presidente Smuraglia, “nonostante” le posizioni da lui espresse in modo nettissimo, sulla materia, da oltre due anni. Questo non significa, naturalmente, che non ci siano stati e non ci siano anche dissenzienti, su questo specifico tema; essi hanno parlato, nel Congresso, ed hanno esposto le loro motivazioni; ascoltati da una maggioranza ben convinta delle proprie ragioni, ma non rissosa e tutt’altro che prevaricatrice (qualche intemperanza da parte di alcuni, è stata rapidamente composta). Da ciò, la conclusione sostanzialmente unitaria, pur nel proclamato rispetto di tutte le opinioni, essendo stato, peraltro, chiarito dal Presidente, nella sua Relazione, così come in alcune precedenti circolari, che il dissenso è assolutamente lecito, ma non può manifestarsi in forme di contrapposizione rispetto alle decisioni adottate ed in modi tali da recare danno all’immagine complessiva dell’Associazione Anpi. Infine, il Congresso si è concluso con un’ampia discussione e con alcune votazioni sui documenti congressuali, oltre a quelli fondamentali, già citati. Molti emendamenti ed ordini del giorno erano stati acquisiti dalla commissione politica, anche perché in gran parte già assunti nella stessa Relazione introduttiva del Congresso. Su quelli sui quali c’era stata particolare discussione si è votato, liberamente e senza contrasti. Infine, sono stati eletti gli organismi dirigenti, prima di tutto il Presidente, e poi il nuovo Comitato nazionale, composto non da “pochi intimi”, come alcuni ritengono, ma da 37 membri, assicurando sia il pluralismo sia la diffusa rappresentanza territoriale. È così che il Congresso si è concluso positivamente e con entusiasmo (i consueti abbracci di saluto fra delegazioni, le foto ricordo, e così via, tutte manifestazioni non rituali di fraternità e amicizia). È in questo contesto che si è verificato, l’ultimo giorno, un episodio sgradevole. Un quotidiano nazionale, che fino ad allora non si era accorto che ci fosse un Congresso, che si fosse discusso in una “Tavola rotonda” del futuro dei giovani, che infine fosse in corso un ampio e pacato dibattito, a differenza di quanto avviene in molte sedi politiche, si è improvvisamente accorto che l’Anpi era divisa, addirittura “spaccata” (“Da Bolzano a Grosseto, partigiani divisi dal referendum”); ed ha pubblicato un articolo con nomi, cognomi e provenienza, a suggerire al lettore chissà quali conflitti disastrosi per l’Associazione. Il solito comportamento di una certa stampa – osserva Carlo Smuraglia – che delle grandi manifestazioni del 25 Aprile coglie solo il piccolo incidente (sempre deprecato, ovviamente) in fondo ad un grande corteo ampiamente e pacificamente partecipato, e non perde occasione per sottolineare i lati presuntivamente negativi, senza evidenziare gli aspetti veramente importanti di una manifestazione oltremodo significativa. Peccato che nell’operazione si siano lasciati coinvolgere alcuni delegati, facendo dichiarazioni di cui il giornalista sarà stato particolarmente felice; tant’è che la “questione” è stata subito ripresa, addirittura sulla prima pagina dello stesso quotidiano nazionale, che peraltro, non può fare a meno di ripetere il contenuto delle circolari dell’Anpi, che dichiaravano e dichiarano legittimo il dissenso, non pretendono affatto ubbidienza assoluta, ma chiedono una cosa che a me continua a risultare ovvia, che cioè chi dissente non “remi contro” e non faccia il gioco dei “critici” dell’Associazione, quelli che solo ora hanno scoperto che c’è stato un Congresso, molto partecipato e con larghissimo confronto, salutato con nobilissime parole dai messaggi del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle due Camere. Mi spiace molto che l’Anpi susciti “malinconia” sulla stampa, proprio in uno dei suoi momenti più alti. Io semmai ho un’altra malinconia – confessa Carlo Smuraglia – quella di chi vorrebbe una informazione veramente completa ed esauriente e invece deve periodicamente constatare che interessano più i “sussurri e le grida”, che non le questioni di fondo e gli eventi dotati di un reale significato. Una ulteriore conferma viene da chi non si è occupato per tre giorni del Congresso Nazionale dell’Anpi; ma adesso, si è svegliato perché c’è sentore di scontri e di divisioni. E si infilano una serie di “perle”, una più significativa dell’altra. La decisione di Gennaio: una “riunione verticistica, fra pochi intimi”; per la verità, il 21 Gennaio si è riunito il Comitato nazionale, il massimo organismo dirigente dell’Associazione Anpi, si è discusso, come si era già fatto anche in una precedente riunione e si è deciso a stragrande maggioranza. Sarebbe questa la riunione “verticistica”? Nel riportare la circolare che precisa: “il diritto al dissenso ed i suoi limiti”, la si liquida con una stentorea parola: “ridicolo”. Si ammette, a denti stretti, che la decisione “fra pochi intimi” è stata confermata dal Congresso, ma ci si guarda bene dal dire con quale maggioranza. Si ricorre perfino ad una anziana partigiana per farle dire, testualmente: “inquietante il fatto che una decisione così importante come il referendum non sia stata messa in discussione in Congresso, ma addirittura in una riunione di vertice” (ma dov’era, questa compagna, dal 12 al 15 Maggio 2016 e su quali fonti si è informata?). Il termine corretto, per parlare di questo tipo di articoli, non è certamente quello che hanno usato loro, cioè “ridicolo”. In realtà è pietoso questo modo di fare disinformazione. Le opinioni, ovviamente, sono sempre lecite, ma dovrebbero basarsi su fatti e partire da un’informazione completa ed esauriente. Naturalmente, nessuno di questi “appassionati” dell’Anpi ha messo piede a Rimini, nessuno ha letto il messaggio delle più alte cariche dello Stato, nessuno è stato informato che nel Congresso ci sono stati ben 94 interventi, che le riunioni delle Commissioni si sono protratte fino a tarda notte e che il voto finale è stato espresso a grandissima maggioranza. Che “tristezza”, direbbe Gian Antonio Stella. E questa volta – rimarca Carlo Smuraglia – sarei d’accordo con lui. Noi andiamo avanti, perché c’è bisogno di lavoro, d’impegno e di riflessione. Ho già convocato il nuovo Comitato nazionale per martedì prossimo e in quella occasione discuteremo anche di tutto ciò che è emerso dal Congresso e delle reazioni di cui ho parlato. Ora, comunque, torniamo al lavoro, dopo la “pausa” congressuale, col grande impegno che la situazione richiede, ma anche con la soddisfazione e la gioia di aver partecipato ad un grande momento di democrazia”. Nel messaggio del Presidente della Repubblica, indirizzato all’Anpi, si legge: “In occasione del 16° Congresso dell’Anpi desidero rivolgere un caloroso saluto ai dirigenti, ai delegati e ai numerosi giovani che hanno deciso di iscriversi all’Associazione per raccogliere e interpretare ancora, nel tempo nuovo, l’eredità ideale, morale, spirituale della Resistenza, che aprì per il nostro popolo la strada della Liberazione e della Democrazia. La testimonianza dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha reso un tributo importante alla memoria, e dunque all’identità del Paese, contribuendo a mantenere sempre viva la speranza di pace, di libertà, di uguaglianza tra le persone, di rispetto della legalità contro ogni sopraffazione. Si tratta di valori perenni, tanto più da tutelare in epoche in cui appaiono messi in discussione i fondamenti di libertà e di solidarietà su cui sono cresciute le società europee dopo la Seconda Guerra Mondiale. La Memoria non è un accessorio di scarso valore né un freno all’innovazione. È, invece, un bene costitutivo di ogni comunità e antidoto contro il ripetersi di avventure di stampo neonazista e neofascista. Nella scelta della Repubblica il 2 Giugno del 1946 e nei princìpi della Costituzione si è rispecchiata la voglia di riscatto del Paese, avvilito dalla dittatura e dalla guerra e soggiogato dagli occupanti. L’impegno per l’affermazione dei valori della persona e dell’umanità intera non può conoscere soste e riguarda tutti: istituzioni elettive, magistratura, forze di polizia, istituti educativi, l’intera società civile. L’Anpi può favorire un dialogo con i giovani, con le scuole, con i corpi intermedi affinché i valori fondanti del nostro ordinamento siano ancora generativi di giustizia, di etica pubblica, di condivisione, di coscienza dei diritti e dei doveri. La democrazia, edificata a prezzo di enormi sacrifici, è nelle nostre mani. Nessuna conquista è di per sé definitiva. Dobbiamo esserne all’altezza per rafforzarla e allargarne continuamente le sue basi. Decisivo è anche il destino del progetto europeo: nel mondo globalizzato, l’Europa unita è la dimensione necessaria per affermare valori di cooperazione internazionale e valorizzare il nostro modello politico e sociale, che si è affermato proprio in seguito alla guerra di Liberazione. L’antifascismo che voi giustamente indicate come tratto identitario della vostra Associazione e della Costituzione Repubblicana, divenne la chiave di apertura della nuova Italia verso un nuova Europa. Su questa strada dobbiamo ancora proseguire, vincendo paure, chiusure ed egoismi, cercando di realizzare nuovi traguardi a beneficio dei nostri concittadini e del mondo intero. Con questo spirito, cordialmente auguro a tutti voi un buon lavoro”. Nel messaggio della Presidente della Camera dei Deputati, si legge: “In occasione del 16° Congresso Nazionale dell’Anpi che si svolgerà a Rimini dal 12 al 15 Maggio 2016, desidero inviare a tutte le partecipanti ed i partecipanti i miei saluti più cordiali. Condivido il senso di questa iniziativa: non soltanto un incontro tra persone legate dal ricordo di una straordinaria mobilitazione collettiva in nome della libertà e della democrazia del proprio Paese, bensì anche e soprattutto un invito a riflettere sui grandi temi del nostro tempo attraverso la lente dei valori e dei princìpi della Carta costituzionale nata dalla Resistenza. Sono proprio questi valori – il rispetto della dignità della persona umana, il pieno riconoscimento dei diritti sociali, la lotta contro ogni tipo di esclusione, il ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali – a dover ispirare ancora oggi il pensiero e l’azione dei governi e della politica. In una fase di grandi incognite e criticità – la minaccia del terrorismo, il persistere dei conflitti in molte zone del pianeta Terra, il fenomeno delle migrazioni, le questioni ambientali – è infatti necessario più che mai reinterpretare i principi democratici, declinandoli in relazione ai mutamenti e alle nuove sfide poste alla società umana. La cerimonia odierna può dunque rappresentare un’occasione per rendere omaggio ad un’eredità di ideali preziosa e, al tempo spesso, per aprire nuovi orizzonti e rinnovare il proprio impegno rispetto alle più urgenti questioni del nostro tempo. Con questo auspicio, desidero rivolgere a tutti gli associati e le associate il mio più fervido augurio per il miglior successo dell’iniziativa”. La Resistenza e la lotta partigiana sono state un grande fatto morale e politico, che ha impegnato tutto un popolo italiano per la creazione di un nuovo Stato democratico. Anche il movimento operaio, organizzato nelle fabbriche, diede vita alla lunghissima serie di scioperi nell’Italia occupata dai nazi-fascisti, tra il 9 Settembre 1943 e il 25 Aprile 1945, con il momento saliente dello sciopero generale di Torino dei primi otto giorni di Marzo del 1944. Il 25 Aprile, la Resistenza, la nostra Costituzione, fondata sulla centralità e sul valore etico e sociale del lavoro, offrirono anche all’idea di una Europa unita la solidità del radicamento nella società, la sua capacità di generare giustizia sociale, di integrare mercato e coesione, vincoli competitivi ed equità, famiglia e valori religiosi e spirituali. Quel progetto vive oggi la sua fase più regressiva e rischiosa. Ora il processo di Unione Europea ha invertito la direzione di Marcia, a causa dei Signori della guerra: l’Europa si sta rinazionalizzando e riarmando con ordigni nucleari (anche l’Italia nella obsoleta e aggressiva Nato); i nazionalismi razzisti e xenofobi sono in forte espansione; alla richiesta di asilo e di accoglienza dei profughi cacciati dalle loro terre a causa delle “guerre umanitarie” esportate dalle “democrazie occidentali”, si risponde col presidio armato dei confini, nuovi muri, fili spinati, sospensione della libera circolazione europea, il diritto a persone e merci che aprì l’orizzonte degli Stati Uniti di Europa; gli Usa “invadono” Polonia, Armenia, Romania, Georgia e Paesi Baltici, piazzando missili e ordigni nucleari, tutt’altro che “difensivi, sui confini della Santa Russia! Senza solidarietà, senza pace e senza giustizia sociale, l’intera costruzione europea rischia di travolgere le stesse fondamenta della democrazia e della vita sulla faccia della Terra! Questa, oggi, è la situazione, certamente complessa, ma siamo pronti ad affrontarla perché siamo consapevoli di quanto ci hanno lasciato i nostri padri e le nostre madri, e vogliamo lasciare un mondo migliore ai Nascituri. I Padri Costituenti, quelli veri del 1946-48, lo sapevano bene: la democrazia non è solo dichiarazione di diritti fondamentali e architettura istituzionale, condizioni necessarie ma non sufficienti se quei diritti e quelle architetture non entrano nella vita delle persone con la forza della prosperità, della solidarietà e della giustizia sociale. Oggi dobbiamo saper tradurre quei valori in una strategia, in un percorso da seguire per uscire dalla crisi economica e sociale che viviamo da 25 anni. Stati Uniti di Europa con la Russia, tra stati pari, solidarietà, giustizia, prosperità, democrazia, pace: solo così la democrazia formale diventa democrazia sostanziale! Abbiamo il dovere di trasmettere ai giovani la memoria storica della Resistenza, e la via efficace è soltanto quella della vitalità dei suoi valori nelle sfide politiche, sociali ed economiche dell’Italia del futuro. “Stiamo entrando nel vivo della Campagna Referendaria, per ottenere un NO alla riforma del Senato, voluta dal Governo e per ottenere due SI agli emendamenti che proponiamo alla legge elettorale – si legge nella Lettera congiunta del Presidente nazionale Anpi, Carlo Smuraglia, e della Presidente nazionale Arci, Francesca Chiavacci, che sancisce l’Accordo Anpi-Arci – è una battaglia che stiamo conducendo anche con altre forze, ma nella quale noi Anpi ed Arci, uniti da un protocollo di intesa, non formale, vogliamo impegnarci a fondo, con la nostra autonomia, la nostra indipendenza di pensiero, il nostro modo, comune, di voler realizzare appieno la democrazia. Ora bisogna raccogliere le firme; c’è poco tempo (meno di tre mesi) per raccoglierne quante sono necessarie, cioè 500.000 (e anche più) per ogni Referendum. Non sarà facile, ma si può, si deve riuscire; utilizzando la raccolta delle firme anche per fare una grande campagna di informazione a fronte di una enorme quantità di cittadine e cittadini che poco sanno delle questioni di merito e che bisogna sottrarre alla suggestione del plebiscito che vorrebbe il Governo. Noi abbiamo alcuni punti fermi, che intendiamo ribadire: questi Referendum non riguardano la tenuta o meno del Governo, ma solo la difesa della Costituzione, del diritto dei cittadini alla rappresentanza, del libero esercizio della sovranità popolare; affrontiamo una battaglia “politica” nel senso più puro del termine, senza trasformarci in partiti e senza svolgere un lavoro che non appartiene alla nostra identità; affrontiamo questa battaglia non da soli, ma con tutti i cittadini, che dobbiamo informare e coinvolgere, affinché consapevolmente possano partecipare ed esprimere le proprie scelte; non ci faremo chiudere nel recinto della politica partitica e neppure in quella della “sinistra” (posto che ce ne sia una sola); vogliamo e dobbiamo raggiungere milioni di cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza e dalle loro idee, dalle loro collocazioni professionali e politiche. Per farlo, abbiamo bisogno di aprire a tutti coloro che credono nella democrazia, restando noi stessi; è possibile che in qualche caso possiamo unire le nostre forze con quelle di chi svolge altre consultazioni, in una forma o nell’altra; ma non siamo per creare un insieme eterogeneo di richieste, rivendicazioni, proposte diverse, perché questo più che aiutare ostacolerebbe e renderebbe più complesso il nostro lavoro; tutto il lavoro e tutte la responsabilità, dovranno confluire nei due Comitati nazionali (quello per il NO alla Riforma del Senato e quello per il SI alle modifiche alla legge elettorale). Non accettiamo altre sovrapposizioni o rapporti di dipendenza; è stata concordemente costituita, di recente, una “Cabina di regia” che in sostanza collegherà il lavoro dei due Comitati nazionali, divenendo il punto di riferimento, assolutamente neutrale ed impersonale, per lo scioglimento di controversie, quesiti, problemi, che possano insorgere a livello locale; bisogna costituire, ovunque, su tutto il territorio nazionale, a livello di Comune e di quartiere, Comitati referendari, che riuniscano in sé, eventualmente, le due tematiche, raccolgano le firme per entrambe e forniscano informazioni ai cittadini, creino iniziative di informazione e discussione; questi Comitati saranno tanto più autorevoli, quanto più si raccoglieranno attorno a personalità note per il loro equilibrio, la loro saggezza, il loro chiaro orientamento democratico; questi Comitati, dovrebbero comunque essere espressione di una volontà comune; occorre ricordare che non basta raccogliere firme; queste debbono essere certificate-autenticate; ci vogliono i certificatori e bisogna, spesso, retribuirli. Anche a questo fine, il rapporto è con i due Comitati nazionali e, per ogni problema e questione, con la “Cabina di regia”. In attesa della definizione di un preciso recapito, anche mail o telefonico della Cabina di regia, potete rivolgervi a noi, che provvederemo a mettervi in relazione con essa, oppure a contattare direttamente il Comitato interessato; della costituzione di ogni Comitato è opportuno dare notizia: a) all’Anpi e all’Arci nazionale; b) al Comitato per il SI e a quello per il NO. Si invierà quanto prima (già on line, NdA) un Manuale operativo per la raccolta delle firme”. Nel discorso celebrativo della festa della Liberazione, letto dal Presidente, il 25 Aprile in piazza del Duomo a Milano, Carlo Smuraglia rileva di aver “letto ieri su un importante quotidiano alcuni articoli che parlano di ciò che dovrebbe essere il 25 Aprile, “un giorno di festa, di felicità, di orgoglio, di coesione nazionale”. E invece – dicono – non è stato e non è così: “l’anniversario – scrive uno di loro – arriva nella disattenzione generale, di un Paese diviso, cinico, litigioso e tutto si riduce ai “riti istituzionali”. Certamente il 25 Aprile Italiano non è ancora il 4 Luglio Americano nè il 9 Maggio della Russia per gli Stati Uniti di Europa! “E perché accade questo, sempre secondo questa stampa (che non è poi così isolata)? Perché della Resistenza è stato fatto “un uso di parte”, scrive uno dei giornalisti; “perché i vincitori si sono divisi e i vinti non si sono dati ragione”, aggiunge l’altro. Alla fine – osserva Carlo Smuraglia – tutto dipende dal fatto che la sinistra non ha saputo o voluto soffermarsi sulle belle pagine della Liberazione, per creare una memoria condivisa; c’è stata una valanga di retorica, un’eccessiva esaltazione della Resistenza; e alla fine, in questa Italia divisa, cinica e litigiosa, i cittadini scelgono di fare il ponte. Ma è davvero così? È davvero colpa di quelli che hanno creduto che la Resistenza sia una delle pagine più belle della storia del nostro Paese, se non si è arrivati ad una memoria condivisa? Intanto, ridimensioniamo le immagini più truculente, secondo cui l’Italia sarebbe tutta in vacanza, perché Italia siete anche voi, siamo noi, sono i tanti che, in mille piazze d’Italia, stanno festeggiando il 25 Aprile. E non siamo qui perché non avevamo mezzi per andare fuori città, ma perché crediamo nel valore del ricordo, della riflessione, dello stare insieme. E poi, dov’è questa ipotetica retorica? Le nostre sezioni, i nostri organismi periferici e quelli delle altre Associazioni di chi si è impegnato per la Libertà, hanno cercato di mantenere vivo il ricordo della Resistenza e dei Caduti. E bene hanno fatto, perché altrimenti lor signori se ne sarebbero ben guardati dal combattere l’oblio. Se parlano di esaltazione della Resistenza, perché non ricordano quel possente mucchio di scribacchini che hanno fatto soldi col revisionismo e il negazionismo, a cui bisogna pur reagire e forse l’abbiamo fatto troppo poco. Perché si occupano così poco di chi non ha voluto e non vuole accettare che ha vinto la Resistenza e si ostina a coltivare odii e nefandezze? Non siamo noi che giriamo per le strade con i simboli delle camicie nere e della X Mas e davvero non se ne può più di vederli. Così come non appartiene all’Anpi quel piccolo gruppo di consiglieri comunali nostalgici che, quando il Sindaco di Milano ha dato la parola al Presidente nazionale dell’Anpi, si è alzato ed è uscito dall’aula, forse in nome della cosiddetta “memoria condivisa”. No – spiega Carlo Smuraglia – la ve
ità è un’altra. C’è tanta indifferenza e addirittura repulsione, in questo Paese, ma per la cattiva politica, per la corruzione e per lo svilimento dell’Italia. Ci sono tanti, che vogliono invece festeggiare il 25 Aprile e sono qui e in mille piazze d’Italia; e mi piacerebbe molto sapere se sono presenti questi giornalisti che troneggiano sul fallimento del 25 Aprile, probabilmente restando nelle loro comode case. La verità è che stiamo, da sempre, facendo il possibile perché i valori della Resistenza trionfino, siano insegnati nelle scuole, festeggiati nelle ricorrenze, come quella di oggi; senza arroganza e senza esaltazioni e soprattutto senza odii e rancori, siamo qui – come tutti gli anni – e come sempre siamo in molti, nonostante il pianto greco di chi, in realtà, vorrebbe le piazze deserte. Noi siamo qui senz’altro supporto che quello di quei valori e restando ancorati alla storia, ma pretendiamo che tutti la conoscano e la rispettino, come quella Costituzione che è il frutto migliore della Resistenza. Gli altri stiano pure al mare, a coltivare le loro nostalgie e magari, alcuni, la speranza di un fascismo del terzo millennio. Noi intendiamo solo deluderli. Il 25 Aprile è sempre la festa della Liberazione, la festa più cara, che ci riconduce alle pagine gloriose della Resistenza, alla sconfitta del fascismo, alla vittoria sui tedeschi. Una festa che non dimenticheremo mai e che abbiamo sempre preservato da ogni assalto esterno. Ma, in certo modo, è anche ogni anno una festa diversa, perché non abbiamo mai voluto ridurla ad una commemorazione formale. Conserva sempre il suo significato, che è anche quello di aver aperto la strada alla democrazia, alla Costituzione, ai nuovi valori che erano cresciuti e si erano alimentati nell’antifascismo e nella Resistenza. Ogni anno lo arricchiamo di significati, in relazione alle vicende nazionali e internazionali ed alla rilevanza che assumono determinati fenomeni ed eventi, da cui non possiamo restare estranei. Lo scorso anno era il 70.mo della Liberazione ed era, in qualche modo, anno di bilanci su quanto rimasto dello “spirito” della Liberazione e di quanto siamo riusciti a conservare la memoria e a renderla sempre più attiva, anche per favorirne la conoscenza a coloro che non hanno vissuto quella esperienza e particolarmente ai giovani. Quest’anno siamo a 70 anni dal 1946, un anno fondamentale, immediatamente successivo alla Liberazione, che di essa fu figlio e successore. A pensarci, è un miracolo che appena un anno dopo la Liberazione, si potessero in un solo anno, condensare quattro eventi decisivi per la futura vita del Paese e dell’Europa. Il Referendum che vide vittoriosa la scelta della Repubblica; una scelta non casuale se riflettiamo sul fatto che le cosiddette “aree libere”, che durante i 20 mesi, si formarono, quando fascisti e tedeschi erano costretti, sia pure temporaneamente ad abbandonare il campo, riuscirono a dotarsi di una prima organizzazione ed a compiere le prime esperienze concrete di democrazia, presero il nome di Repubbliche Partigiane. Il voto alle donne, antica rivendicazione che risaliva alla fina del secolo precedente e all’inizio del 900 e che, a lungo negate, fu finalmente riconosciuto, rendendo il suffragio, per la prima volta, universale. Anche in questo caso, il rapporto con la Resistenza era ed è diretto, perché la Resistenza fu la prima grande occasione per l’ingresso nella politica, delle donne, fino ad allora relegate al ruolo casalingo e private di un diritto fondamentale. Ma della Resistenza le donne furono protagoniste, con le armi e senza, come partigiane combattenti e come staffette e “ausiliarie” spesso fondamentali per l’aiuto a partigiani feriti, perseguitati e perfino agli sbandati, non a caso, quella del voto fu una delle prime rivendicazioni delle donne dei Gruppi di Difesa della Donna e dei movimenti che anche sul terreno politico cominciarono ad organizzarsi fin dai mesi più avanzati del 1944. Ed infine l’anno dell’Assemblea Costituente, a cui fu attribuito il compito di redigere il testo di una Costituzione che avesse il pregio del rinnovamento totale rispetto agli Statuti ed alle Costituzioni dell’800, contenesse non solo affermazioni di principio, ma anche imperativi categorici diretti ai governanti e disposizioni per attribuire efficacia effettiva ai diritti proclamati; e soprattutto il compito di dare vita ad un documento destinato a durare a lungo, perché fondato sulla concordanza di idee e princìpi diversi, proprio sugli aspetti fondamentali della convivenza civile e della democrazia. Celebriamo, dunque, oggi, anche un anniversario di grande rilievo perché coglie il momento in cui si delinearono i primi frutti del sacrificio e dell’impegno di tante e di tanti. Si rende evidente che era limitativo pensare che i Combattenti per la Libertà, solo alla Liberazione pensassero e non volessero invece gettare anche le fondamenta di uno Stato diverso. Quei primi passi della democrazia rappresentano proprio l’avverarsi di un sogno, apparentemente perfino di un’illusione, se si pensa che, tutto sommato, il “vento del nord” durò poco e che, se è vero che da quella prima scelta nacque la Costituzione, è anche vero che, lasciati al loro posto troppi personaggi che nel fascismo avevano vissuto e del fascismo si erano alimentati, cominciò ben presto lo sforzo della rivincita, il tentativo di vanificare la scelta repubblicana, di togliere valore alla Costituzione (non attuandola), di arrestare il processo di emancipazione della donna. Saremmo davvero ingenui e poco sensibili agli insegnamenti della Storia – avverte Carlo Smuraglia – se ignorassimo che ogni grande riforma ha prodotto, storicamente, una controriforma. Ciò che c’è di eccezionale nel nostro caso, è che la controriforma cominciò quasi subito, col tentativo di vanificare il contenuto della Costituzione riducendolo a meri princìpi astratti, con i ritardi nella creazione degli Istituti fondamentali anche di garanzia, previsti dalla Carta Costituzionale, con la messa in discussione, in termini del peggior revisionismo, del grande afflato politico ed etico che contraddistinse la Resistenza. La verità è che non furono fatti, in gran parte non lo si è fatto nemmeno ora, i conti col fascismo; questo Stato, che doveva uniformarsi alle perentorie indicazioni della Costituzione, non è mai riuscito a diventare veramente uno Stato antifascista. Tuttavia, tutto questo non ci impedisce di ricordare quegli eventi e di richiamare l’attenzione di tutti sul fatto che un Paese che non si vanta delle pagine migliori della sua storia e che non le fa conoscere soprattutto ai giovani, sarebbe davvero condannato al declino. È per questo che siamo qui, ancora una volta, a ricordare la Liberazione, nei suoi connotati di straordinarietà per il solo fatto – rimarca Carlo Smuraglia – dell’audacia di esserci contrapposti all’esercito più forte del mondo (supremo monito per coloro che ripropongono la “politica” nazista sotto altre bandiere in nome di non meglio precisate necessità di difesa, in organismi sovranazionali al comando di generali posti al di fuori di ogni controllo democratico parlamentare, NdA) e soprattutto nel suo più profondo significato politico, che era quello di non rappresentare solo la conclusione di una sciagurata fase storica, ma era piuttosto quello di aprire la strada ad un futuro di democrazia, in cui libertà ed eguaglianza marciassero di pari passo, in cui i diritti della persona, così come la dignità, fossero considerati alla stregua di beni intangibili ed inalienabili, il lavoro fosse il fondamento non solo economico, ma sociale e morale della Repubblica, la pace come il bene sommo da tutelare ad ogni costo”. E la promozione e valorizzazione della famiglia naturale fondata sul Matrimonio, come l’assicurazione per il futuro degli Italiani. “Siamo qui per questo, dunque, per ricordare che questa è e deve essere la festa di tutti – rileva Carlo Smuraglia – e dunque anche di coloro che vivono in Italia da tempo e dovrebbero diventare cittadini, senza steccati culturali o religiosi. Ma siamo qui anche per richiamare tutti alla necessità di superare un mondo fatto di ingiustizie, in cui alcuni poteri forti cercano di dominare il mondo, riuscendo solo a provocare disuguaglianza, miseria, fame, privazione di diritti, violenza e barbarie. Siamo qui per non dimenticare il passato, ma al tempo stesso per guardare verso il futuro, sapendo che esso dipende da noi, dalle nostre scelte, dalla nostra volontà di partecipazione, di democrazia, di antifascismo. Siamo qui per restituire ai giovani la certezza di una vita dignitosa e la speranza di un futuro migliore. Siamo qui, in un giorno di festa, ma ricordando che il Mare Mediterraneo è pieno di cadaveri, che in tutto il mondo infuriano guerre, che assassinii e barbarie minacciano la nostra vita e la nostra libertà. Proprio per questo abbiamo voluto invitare un’ospite graditissima, che ringrazio ancora una volta per essersi sobbarcata uno scomodo viaggio, tra mille pensieri ed occupazioni, per venire qui con noi, a parlare di solidarietà, di accoglienza, di inclusione, dei problemi, cioè, che oggi si impongono alla nostra coscienza prima ancora che al nostro impegno ed alla nostra volontà. Non accettiamo i muri, non vogliamo i fili spinati, non vogliamo una Europa in preda agli egoismi ed alla discriminazione. C’è un dramma tra i più tremendi, in atto, le guerre nel mondo, le persecuzioni, le barbarie; e poi c’è la fame di interi popoli. Che tanti cerchino di fuggire dalle loro sventure, correndo pericoli immensi, per affrontare l’ignoto che almeno consenta una speranza a fronte del nulla, dovrebbe quantomeno farci riflettere, tutti e prima di tutti i governanti. Ci dovrebbe far dire un NO fortissimo ai razzismi, alle discriminazioni, agli egoismi; e dovrebbero essere per primi i giovani a muoversi e prima ancora l’Europa Unita, se vuole essere ancora all’altezza del grande sogno di Altiero Spinelli. Poi dovrebbe impegnarci tutti, nel quotidiano, per accogliere, per evitare lutti, dolori, tragedie. E dovremmo pensare non solo ad accogliere, anche con le cautele necessarie, ma consentire che il viaggio prosegua fino a dove può portare una speranza; dovremmo anche ricordarci che ormai la quota di stranieri che vivono in Italia da anni, sono cittadini e altri lo diventeranno, per ricordarci che anche a loro si rivolge la Costituzione, che assicura a tutti i diritti fondamentali, pur non dimenticando che ci sono anche dei doveri, la legalità, l’etica e, prima di tutto, la solidarietà. Se Giusi Nicolini è qui a rappresentare l’impegno di una piccola comunità, il Comune di Lampedusa, della Marina e di tanti volontari per lenire le sofferenze, offrire un primo aiuto e purtroppo, assai spesso, per raccogliere cadaveri, noi siamo qui, l’Anpi della nostra gloriosa Tradizione, a farci carico di tutto questo, assieme al ricordo dei nostri Caduti e della Resistenza”. Si può ancora parlare di festa, del 25 Aprile e del 2 Giugno, quando c’è così poco da festeggiare in Italia? “Certo, il dubbio ha un fondamento, a fronte delle guerre, delle barbarie, della violenza in tutto il mondo – rivela Carlo Smuraglia – ed ha un fondamento anche in Italia, dove la crisi non è ancora risolta, le disuguaglianze aumentano, troppa disoccupazione e troppa incertezza per il futuro, crisi di valori (corruzione, decadenza dei partiti) mafia, criminalità”. Denatalità, perversioni e violenze trasmesse ai minori dagli adulti con ogni mezzo audio-visivo, nella migliore delle ipotesi, da insospettabili soggetti della società civile, dunque non solo da ecclesiastici Giuda traditori di Cristo. “Tentativi di stravolgere la Costituzione – sottolinea Carlo Smuraglia – pericoli per la rappresentanza dei cittadini e per l’effettivo esercizio della sovranità popolare. Il problema dei giovani, verso i quali abbiamo un debito enorme. E il neofascismo che imperversa, con lo Stato troppo inerte. Tutto questo, è vero, ci fa pensare e talvolta ci fa dubitare. Ma noi sappiamo che bisogna reagire alla disillusione, all’indifferenza, al quieto vivere, ai razzismi, agli egoismi. Contrapponendo i veri valori, quelli della Costituzione. Allora, una festa è tale se è giorno di gioia, ma anche giorno di ricordo e di memoria, se è giorno d’impegno alla partecipazione, di impegno nel quotidiano per riscattare il Paese e riportarlo alla sua grandezza (conquistata con la Resistenza, “Make Italy Great Again”), al disegno costituzionale, alla volontà ed ai sogni dei combattenti per la libertà. La Resistenza è stata sogno, sacrificio, utopie, vittorie, sconfitte, perdite; giorni belli e giorni difficili. Ma abbiamo resistito e abbiamo vinto. Dunque, vincere si può, anche approfittando di un giorno di festa, per trovare la gioia di stare insieme e provare, insieme, a costruire un futuro migliore: una società più giusta ed equa, dove ci sia più libertà, più uguaglianza, più lavoro, più dignità, per tutti. È un sogno? Ma i sogni si avverano se si sanno compiere le scelte e se si sa gettare tutti se stessi verso l’obiettivo. In fondo, è ciò che volevano i Resistenti, è ciò che volevano i nostri Caduti. In loro nome e per i nostri giovani, prendiamo in mano il nostro futuro e rinnoviamo l’Italia, diffondiamo l’idea della pace, della solidarietà; e questo sarà il frutto migliore di un giorno come questo. Avere saputo cantare e ridere, insieme, pensando che il mondo si può cambiare, si deve cambiare, se lo vogliamo fino in fondo e ci impegniamo a rispettare il lascito dei Caduti per la libertà. Spesso, per concludere un discorso, si citano frasi celebri, di poeti, scrittori o caduti. Lasciatemi oggi concludere con una frase pronunciata dal Presidente Mattarella a Varallo Sesia, che ho trovato bellissima: “È sempre tempo di Resistenza!”. Una importante Sentenza del Tribunale Militare di Verona, nell’ammettere l’Anpi come Parte Civile in un processo relativo a stragi compiute nel 1944 da nazifascisti, dichiara testualmente: “L’Anpi è storicamente l’erede, in forma statutariamente riconosciuta, di tutti quei gruppi e formazioni che dal 1942-‘43 in avanti hanno costituito centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione italiana, che animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese libertà e democrazia, ha agito nelle più avanzate forme, anche non necessariamente armate. Di quei gruppi e formazioni l’Associazione è l’erede spirituale, stante l’identità dei fini”. Una frase bellissima, che ci onora e ci impegna. Essere eredi spirituali di un patrimonio di immenso valore significa non solo “amministrare e gestire” quel patrimonio valoriale, ma anche farlo vivere, nel concreto, realizzando i sogni, i pensieri, le attese di chi è caduto per la libertà. Significa che i tempi e le condizioni politiche, sociali, economiche, morali, possono cambiare, ma quei fini (libertà e democrazia) vanno sempre perseguiti, con ogni mezzo e con ogni strumento, anche adattandosi, nelle modalità, alle “innovazioni” politiche, senza rinunciare alle radici culturali e spirituali del Popolo italiano della Resistenza, ma restando fedeli ai princìpi e facendo sempre tutto ciò che è possibile per renderle operative nella realtà. Questo dunque impegna, prima di tutto, l’Anpi ad essere Associazione Partigiani d’Italia, orgogliosa del patrimonio etico e morale di cui dispone, ma decisa a conservarlo e praticarlo, tenendo ferma la nostra identità, la nostra autonomia, la nostra indipendenza rispetto ad ogni fattore esterno, in relazione agli anni grandiosi della Liberazione d’Italia e della Costituzione. Non possiamo tradire i nostri Caduti per la libertà. Noi non “rottamiamo” nessuno; cambiano le generazioni, ma non cambia il nostro logo, nel quale sono riassunti tutti i nostri valori, quelli della Resistenza e della Costituzione repubblicana. I tempi si fanno più difficili, ma per noi resta fermo l’imperativo categorico di far svolgere all’Anpi il ruolo che le è stato assegnato dalla Storia, senza iattanza, con la consapevolezza e l’orgoglio di ricordare sempre da dove veniamo, chi siamo e chi dobbiamo essere; e soprattutto di come dobbiamo guardare al Paese, all’Italia, non dall’alto di una sorta di inesistente nobiltà di origine sovrumana, ma con la coscienza critica di chi vuole, pretende, esige (e ne ha il diritto per l’eredità di cui siamo investiti) che quei valori vengano rispettati, attuati, resi sempre più concreti e tangibili. È questo il senso della nostra attività, del nostro lavoro, in definitiva proprio della nostra stessa esistenza: come un’Associazione che non vive di ricordi, ma li fa vivere, guardando al presente e al futuro. Ai dirigenti, agli iscritti, agli anziani e ai giovani, alle donne e agli uomini deve essere chiaro e fermo che l’Anpi esiste ed esisterà per difendere la democrazia, per praticare l’antifascismo patriottico costituzionale, per ottenere libertà, eguaglianza e dignità, nel nome della fratellanza e della solidarietà, che furono tanta parte della Resistenza e che debbono restare il collante di tutti i sinceri “democratici”, contro ogni rischio di deviazioni rispetto al percorso che la Costituzione, in nome di tutti i Combattenti per la libertà, ci ha perentoriamente indicato. “La situazione, in questi mesi, non è granché cambiata, se non in peggio – osserva Carlo Smuraglia al XVI Congresso Nazionale dell’Anpi – per l’ulteriore avanzata del terrorismo internazionale (combattuto e sconfitto dalla Russia nella Liberazione della Siria, in nome del Diritto Internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, NdA) per la diffusione dei conflitti in aree importanti del Medio Oriente e del Mediterraneo, mentre continuano a crescere le tendenze xenofobe, razziste e nazionaliste in molti Paesi, anche tra quelli più “civilizzati”. Ma, in sede di bilancio, non si può non compiere un breve passo indietro, per richiamare i mutamenti avvenuti nel sistema mondiale, a causa di una crisi economico-sociale, che dopo aver raggiunto, forse, l’acme, non è ancora riuscita a ridursi a livelli in qualche modo accettabili, anche a causa dell’apertura di nuove fasi di scontro tra nazioni e all’interno di esse. Il fondamentalismo è avanzato e con esso tutti i suoi effetti più nefasti, rivelandosi sempre di più l’impotenza delle grandi Organizzazioni che dovrebbero comporre e prevenire i conflitti nel mondo (l’ONU) e l’incapacità dell’Unione Europea di essere ed agire al livello di una vera Unione, in cui si compongono le diversità e si adottano linee conseguenti e sicure, non solo di politica estera, ma anche economica. In Italia, poi, sono cambiati, rispetto al 2001, i Governi, per tre volte; e con cambiamenti di non lieve importanza. Da Berlusconi si è passati, nel Novembre 2011, al Governo “tecnico” di Monti; successivamente, al Governo politico di Letta e in seguito al Governo Renzi, tuttora in carica. Cambiamenti non da poco. Radicale, per certi versi (deciso dalle potenze estere europee a colpi di “spread” tra Italia e Germania, NdA) il primo (le dimissioni del Governo Berlusconi) perché doveva rappresentare la fine di un sistema autoritario, sferzantemente attaccato in tutte le relazioni e i documenti del 15° Congresso; assai meno radicale, peraltro, il protrarsi degli effetti di un lungo periodo di cattiva gestione della cosa pubblica (e perfino di quella privata); effetti che tuttora perdurano nel costume, nelle abitudini, nel pensiero di molti. Gli altri Governi, pacificamente diversi rispetto a quello di Berlusconi, richiederebbero un’analisi dettagliata e comparativa (fra loro), ma non mi sembra il caso di farlo in questa sede. Nella quale, invece, va sottolineato che dopo la caduta di Berlusconi e dopo le dimissioni di Monti, non si esitò a mettere mano, con pochissimo rispetto, alla Costituzione, con interventi non solo di aggiustamento, ma di rifacimento di intere parti, compreso perfino l’Art. 138, quello che contiene le “regole” per le modifiche della Carta costituzionale. Furono nominati Collegi di saggi, prima da parte del Presidente della Repubblica e poi dallo stesso Governo, cominciando così uno stravolgimento destinato a durare, quantomeno sotto il profilo del fatto che delle riforme costituzionali dovrebbe occuparsi, in prima battuta, il Parlamento, mentre qui la palla sembrava passare a tutt’altri soggetti. Non voglio dilungarmi, ma voglio almeno ricordare che il tentativo di un ampio stravolgimento della Costituzione e perfino delle regole del gioco, fallì miseramente per cause endogene ed esogene, dimostrandosi, pertanto, con chiarezza che il tempo impegnato inutilmente a parlare, discutere, elaborare, “grandiose” riforme, avrebbe potuto essere dedicato con facilità a due riforme condivise dai più: la correzione del “bicameralismo perfetto”, con la semplice attribuzione alle due Camere di funzioni in buona parte diverse; e la legge elettorale, che era scandalosa (usata per eleggere il Parlamento nell’Anno Domini 2013, NdA), ma per abbatterla ci volle la mannaia della Corte Costituzionale. In questo contesto, l’Anpi ha svolto appieno il suo dovere di difendere la Costituzione dagli “strappi” incongruenti e dannosi; di invocare la riforma della legge elettorale; di indicare le strade corrette e praticabili per riequilibrare quei rapporti sociali che la crisi aveva devastato, incrementando a dismisura le disuguaglianze. E non ha mancato, l’Anpi, di svolgere la sua funzione di “coscienza critica” anche sotto il profilo della critica ad un sistema politico in disfacimento e spesso degenerato, mentre con maggiore evidenza, si riproponeva sempre più seriamente la “questione morale”. Per il resto, l’atteggiamento è stato di rispetto, allorché si trattava di adottare i provvedimenti necessari per neutralizzare gli effetti nefasti della crisi, e di critica allorché sembrava affermarsi la tendenza al liberismo sfrenato, che invece di correggere era capace solo di provocare disfunzioni e disuguaglianze. Crediamo di poterci vantare di essere rimasti noi stessi, l’Anpi di sempre, con la sua autonomia e la sua indipendenza, quale che fosse il Governo in carica, svolgendo con attenzione e cura quel ruolo che il 15° Congresso ci aveva assegnato. Mantenere questa linea è apparso un po’ più difficile nei confronti del terzo Governo, quello attualmente ancora in carica, perché si era verificato, in taluni, il malinteso del “Governo amico”. Abbiamo ribadito più volte, con estrema fermezza, che non possiamo avere governi “amici” e che non possiamo concepire, in linea di principio, una “inimicizia” di fondo nei confronti di un Governo, o comunque, di una qualsiasi istituzione del Paese, a meno che ci si trovi di fronte a comportamenti di carattere schiettamente fascista o populista, o comunque autoritario (cf. Discorso programmatico pronunciato dall’ex Sindaco di Firenze, non parlamentare eletto, Matteo Renzi al Senato della Repubblica per la fiducia, Roma 24 Febbraio 2014, NdA, http://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/02/24/news/il-discorso-integrale-di-matteo-renzi-al-senato-1.154748). Ma questo non è accaduto; e tuttora conserviamo una linea che non è mai di critica aprioristica, ma di discussione e di critica esclusivamente sulle singole iniziative e sugli specifici comportamenti che ci sembrano meritevoli di essere messi in discussione o anche, nei casi più gravi, duramente contestati. Ho parlato di una maggiore difficoltà perché questo Governo – coincidendo la Presidenza del Consiglio con la Segreteria del partito di maggioranza – ha risvegliato in alcuni (anche nell’Anpi) il senso di “appartenenza”, per cui le critiche sono risultate dolorose e le scelte di aperto contrasto hanno determinato resistenze e difficoltà perfino di confronto. Su questo terreno ci siamo mossi con l’attenzione e la delicatezza del caso. Non abbiamo mai ceduto di un millimetro sulle posizioni che ritenevano giuste, ma abbiamo cercato di capire i dubbi, le perplessità e le contrarietà e di rispettare le posizioni di ognuno, proprio in considerazione del fatto che siamo un’Associazione pluralista. Abbiamo contrastato, però, le posizioni di contrapposizione aprioristica ed apodittica; ed abbiamo, non poche volte, richiamato al rispetto delle regole che devono reggere un’Associazione come la nostra. Insomma, abbiamo cercato di essere l’Anpi, quella della tradizione e quella della “nuova stagione”, in piena autonomia e indipendenza, ma senza rotture traumatiche. Francamente, penso che ci siamo riusciti, se è vero che siamo giunti fino al voto – nel Comitato nazionale – solo in due occasioni: quella di una manifestazione (il famoso 12 Ottobre, a Roma) alla quale si decise di non aderire; e quella sulle Riforme costituzionali ed i referendum. Ci fu, per entrambe, un’ampia discussione e si dovette concludere – nel Comitato nazionale – col voto (praticamente, tutte le altre decisioni, per ben cinque anni, sono state adottate – dopo ampia discussione – all’unanimità), ancorché con un divario notevole: sul 12 Ottobre, la stragrande maggioranza si pronunciò confermando la decisione adottata e ci furono solo un voto contrario e due astensioni; sulle riforme ed i referendum, la votazione decisiva si espresse con venti voti a favore della proposta di aderire e tre astensioni. Un risultato positivo, in entrambi i casi, determinato dall’ampiezza del confronto, dalla lealtà e dal rispetto di tutte le posizioni. Non, dunque, rottura, neppure negli effetti postumi. Ovviamente, chi aveva idee diverse da quelle della maggioranza, non le ha cambiate, ma quasi tutti si sono adeguati, rispettando le regole del nostro Statuto, del Regolamento e della democrazia. Ci sono alcuni che continuano ancora oggi a scrivere lettere (in diversi casi “aperte”), chiedendosi perché mai “Smuraglia” abbia deciso questo o quello e contestando, per la verità con argomenti così modesti che talora rasentano l’offesa, soprattutto la decisione di aderire al referendum. Ma sono pochi, tanto che ben altra è stata la discussione – anche su questo tema – svolta nei Congressi; e sembrano isolati, proprio perché talora cercano di rompere l’isolamento inviando le loro lettere critiche non ai veri destinatari, ma ad un certo numero di indirizzi, a noi sconosciuti. Questo, per me, è soltanto un esempio di malcostume e non di divisione. Questa Anpi, di cui siamo orgogliosi, è perfettamente capace di andare avanti e svolgere le sue azioni con fermezza, anche con la diversità di opinioni tipica di un’Associazione pluralista. È stato dispiegato in questi anni, un intenso lavoro, prima di tutto, sulla memoria, o – per essere più precisi – sulla memoria attiva, in primo luogo cercando di diffondere, far conoscere ed acquisire questo concetto, importantissimo per il nostro presente, ma anche per il futuro dell’Associazione (e del Paese). Tenendo conto dei risultati più recenti della storiografia e della elaborazione che risulta da molti scritti di storici, di studiosi locali e di “testimoni”, abbiamo cercato di precisare alcuni punti fermi, che debbono ritenersi ormai acquisiti in tema di Resistenza. Il primo: per “Resistenza” non possiamo né dobbiamo intendere solo quella armata – ricorda Carlo Smuraglia – ma occorre attribuire il ruolo che le compete, per averlo effettivamente svolto, anche alla Resistenza non armata; il tutto riconoscendo anche l’importanza dei rapporti di assoluta intrinsecità che esistevano tra queste due forme fondamentali, rapporto che va chiarito e precisato, se non si vuole ridurre la Resistenza non armata ad un’azione di semplice solidarietà umana. In realtà, il contributo dei tanti e delle tante che collaborarono al riscatto, dopo l’8 Settembre, con l’aiuto a prigionieri e fuggiaschi, con atti di vera e propria “vivanderìa” a favore delle brigate partigiane operanti in luoghi in cui era difficile l’approvvigionamento di viveri e di armi, con l’opera di assistenza ai feriti, ai partigiani, alle loro famiglie, con l’aiuto prestato agli Ebrei, sottoposti a dure persecuzioni anche durante la Repubblica di Salò, con l’aiuto agli “sbandati”, renitenti alla leva, insomma, per tutto ciò che non sto ad elencare ma è ben descritto in un libro, troppo poco conosciuto, rispetto ai suoi meriti (Ongaro. Resistenza non violenta 1943-45, Ed. 2013). Un’opera immensa e spesso decisiva, talora isolata ma sempre ispirata a quell sentimento di libertà e di solidarietà che fu fondamento di tutta la Resistenza. Inutile dire, ma ne parlerò più avanti, che di questa parte della Resistenza furono protagoniste fondamentali le donne, oltre ai tanti cittadini comuni, ai contadini, ai sacerdoti. Il secondo: la Resistenza è termine molto ampio, ma in essa bisogna comprendere tutte le forme di contrapposizione all’autoritarismo ed alla dittatura, e dunque gli scioperi del 1943-44, gli internati militari che – trattati come schiavi – ebbero la forza di non piegarsi, i militari che, dopo l’8 Settembre, rifiutarono di sottoporsi all’invasore e pagarono, in moltissimi casi e in misura numerica assai rilevante, con la morte (Cefalonia, Leros, Kos e tante altre), i Comitati di resistenza che si costituirono in alcuni lager nazisti. Vanno compresi, sotto questa voce, i tanti giovani che, liberate le loro città, decisero di arruolarsi col Corpo italiano di liberazione, furono inseriti nella Quinta e Ottava Armata inglese e americana e combatterono fino al termine della guerra. Il terzo: la partecipazione delle donne alla Resistenza è sempre stata, com’è noto, sottovalutata, riducendole al ruolo di comprimarie e comunque ad un ruolo secondario. Si è fatto il possibile per far conoscere e capire che il loro ruolo è stato determinante, sia che abbiano fatto la staffetta, sia che abbiano combattuto con le brigate partigiane, sia che abbiano larghissimamente partecipato alla Resistenza non armata. In ogni caso, abbiamo dimostrato, attraverso scritti e Convegni a livello nazionale, che si trattò della prima, vera e grande irruzione collettiva delle donne sulla scena politica e bisogna riconoscere, finalmente, senza se e senza ma, che senza di loro la Resistenza, forse, ci sarebbe stata ugualmente, ma sarebbe stata qualcosa di profondamente diverso e di diversa rilevanza anche per il futuro del Paese (non a caso, fu loro riconosciuto, finalmente, il diritto di voto appena un anno dopo la fine del conflitto). Il quarto: la Resistenza è stata un fenomeno nazionale. Ci fu Resistenza anche al Sud, in forme spesso necessariamente diverse, non solo col contributo anche di sangue che gente del Sud diede combattendo con i partigiani nel Nord, ma anche con tante azioni di rivolta, di protesta, di rifiuto di sottomissione ai tedeschi. Su questo tema, abbiamo affidato ricerche ad alcune storiche, che le hanno condotte a termine con grande impegno e le hanno presentate in un Convegno che si è tenuto a Napoli nel Novembre 2014. Ora esse sono raccolte in un volume, pubblicato di recente dall’editore Le Monier, col titolo “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia”, un volume di altissimo valore storico e politico. Il quinto: la spiegazione definitiva di una qualificazione spesso riferita alla Resistenza, che sarebbe stata contrassegnata da “luci ed ombre”. Si è cercato di liberare la Resistenza sia dalla mitologia più enfatica, sia da quei pregiudizi accusatori sui quali alcuni scribacchini hanno fatto fortuna. Si è finalmente chiarito che ogni forma di resistenza, di reazione , di rivolta, di guerriglia, porta con sé anche contenuti di violenza; ma le “ombre” sono state, al massimo, frutto di gesti o di errori individuali, senza riuscire a scalfire il tessuto connettivo della Resistenza, che non è fatta di “luci” ma di una sola “luce”, che è quella dei suoi obiettivi fondamentali, perseguiti con coraggio e fermezza e con gravi rischi, quella – per citare Claudio Pavone – che non può che definirsi la sua “moralità”. Siamo convinti di aver ottenuto, su questo terreno complessivo di ricostruzione del significato del valore della Resistenza, degli ottimi risultati, che occorrerà conservare e, semmai, potenziare. Un notevole sforzo è stato compiuto nel campo della “formazione”, nella convinzione che fosse necessario, per conservare all’Anpi i suoi più importanti connotati valoriali, formare in modo adeguato non solo i più giovani, ma anche i dirigenti, nonostante qualche, comprensibile, resistenza. Si è tenuto a Parma, nel Febbraio 2012, un corso “tipo” di lezioni di formazione politico-culturale, sul fascismo, la Resistenza, la Costituzione, sul Dopoguerra e sulla stessa storia ed identità dell’Anpi, oltre ad un ciclo sulla comunicazione. Questo corso era riservato ad un numero limitato di partecipanti, ma le lezioni, registrate, sono state pubblicate in un volume edito in proprio dall’Anpi che ha avuto una buona diffusione, anche se inferiore a quella che avrebbe meritato e sarebbe stato necessario. L’intento era, infatti, di fornire una base per corsi da realizzare in tutta Italia, utilizzando il libro come una sorta di dispensa. Di fatto, ci sono stati molti corsi, ma assai meno di quanti sarebbe stato auspicabile. Probabilmente, in alcune aree, non si è percepita l’importanza della formazione, necessaria per affrontare meglio la complessità delle situazioni politiche e superare i limiti determinati dalla progressiva assenza di testimonianze dirette. È un tema, comunque, su cui si è fatto il possibile, ma sul quale bisognerà lavorare ancora, e molto. Particolare attenzione – rimarca Carlo Smuraglia – si è dedicata ai giovani, cercando di stabilire contatti reali, di capirne le esigenze, di coglierne le potenzialità. Abbiamo cercato anche di modificare, almeno in parte, i nostri strumenti di comunicazione, per renderli più accessibili ed appetibili. Abbiamo inoltre cercato, per comprendersi vicendevolmente di più, di provocare occasioni di incontro in cui ci si potesse parlare con franchezza e al di fuori dell’ufficialità e del formalismo. Ricordo, in particolare, la “Garibaldeide” (tre giorni in Sardegna) e l’incontro di due giorni a Ventotene; di entrambi conservo tuttora un importante e positivo ricordo, con il rammarico di non averne potuto fare di più, per banali ragioni economiche. Sono stati organizzati, in varie occasioni, incontri “liberi”, col Presidente, a Sassari, a Marzabotto, nel corso della festa nazionale dell’Anpi, a Palermo, a Cagliari, a Carpi (in occasione di altra Festa nazionale). Anche di queste occasioni resta un ricordo positive e la sensazione che bisognerebbe riuscire a fare di più. I giovani rappresentano un universo spesso assai distante da noi, dai nostri modi di fare, di parlare, di essere; ma sono una risorsa straordinaria, che bisogna riuscire ad impiegare e coinvolgere con ogni mezzo, ma soprattutto rendendo più evidente i “valori” su cui si basa la nostra azione e per i quali vale la pena di impegnarsi. Ci siamo occupati, molto, anche delle stragi nazifasciste. Non solo l’Anpi si è costituita parte civile in tutti i procedimenti avanti ai Tribunali militari in cui ci è stato possibile; ma si è svolta una grande azione per ottenere giustizia e verità nei confronti della Germania e dell’Italia. Ci sono stati non pochi successi. Abbiamo tenuto quattro Seminari e Convegni sulle stragi ed abbiamo raccolto il nostro lavoro in una pubblicazione (“Le stragi nazifasciste, 1943-45”); abbiamo avuto incontri con la Farnesina, con il Ministero degli esteri tedesco, con l’Ambasciatore della Germania a Roma, per ottenere, quantomeno, riparazioni. Siamo riusciti ad ottenere il finanziamento da parte della Germania, de “L’Atlante delle Stragi”, operazione ormai completata, che sarà di grandissimo aiuto per gli storici e gli studiosi. Con altre Associazioni abbiamo ottenuto atti concreti di riparazione da parte della Germania, anche se bisogna riconoscere che, invece, su altri piani, come il riconoscimento e l’esecuzione in Germania delle sentenze dei Tribunali italiani, i risultati sono stati nulli, per la contraddizione che ancora esiste in Germania tra chi (è la maggioranza) ha fatto e vuole fare i conti col passato e chi, invece, resta ancorato ad un nazionalismo esasperato e giustificazionista. I prossimi anni ci diranno se si può fare ancora di più e soprattutto se si potranno ottenere ulteriori risultati. Sul tema delle stragi – avverte Carlo Smuraglia – scarsi sono stati i risultati raggiunti nel nostro Paese, dove le Relazioni della Commissione bicamerale sulle cause di quello che è stato definito “l’armadio della vergogna”, non hanno mai formato oggetto di una pubblica discussione. Si è riusciti solo ad ottenere una maggior libertà di accesso alla vistosa documentazione esistente, fino a poco tempo fa rimasta “secretata”; ma non è ancora tutto accessibile e soprattutto non si è ottenuta quella seria e approfondita discussione in Parlamento, che sarebbe stata necessaria, non solo per la verità, ma anche per un’assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni, che avrebbe assunto il ruolo anche di una riparazione, oltre che di un contributo alla chiarezza e alla verità. Lo sviluppo della “cultura” dell’Anpi e della sua “reputazione” nelle istituzioni e fra i cittadini. Si è lavorato intensamente per collaborare a ricerche, studi, riflessioni storico-politiche anche con alcune Università. Ne sono prova tre pubblicazioni fondamentali, in cui sono stati autori o partecipi le Università, storici, studiosi e la stessa Anpi. Mi riferisco al volume intitolato “La repubblica partigiana della Carnia e dell’alto Friuli”, frutto di una collaborazione con l’Istituto storico friulano e l’Università di Udine, che riporta gli atti di un Convegno, tenuto appunto ad Udine, nel 2012, con l’apporto di molti studiosi, storici e docenti e concluso dal Presidente nazionale dell’Anpi, con un discorso su “Attualità delle repubbliche partigiane nel contesto complessivo della Resistenza”; il volume “1943, Strategie militari, collaborazionismo, Resistenza” (pubblicato nel 2015) che riporta la collaborazione tra l’Università di Padova, storici, docenti e l’Anpi, e contiene un saggio del Presidente nazionale sul tema: “8 Settembre: fine della Patria o inizio del riscatto?”; il volume su “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia”, cui si è già fatto riferimento. Ho fatto un esplicito richiamo a queste pubblicazioni, per evidenziare l’importanza dei rapporti tra l’Anpi, le Università e il mondo degli studiosi e in particolare degli storici. Ma sul piano della “reputazione”, vorrei aggiungere solo poche battute. Se ancora c’è qualcuno che ci pensa vecchi e legati solo ai ricordi, ci sono invece tanti che vengono all’Anpi proprio perché sentono un’aria nuova, impegnata per il bene comune. Lo vediamo da quelli che ci chiedono di iscriversi e da quelli che ci seguono con interesse, qualche volta anche criticandoci, ma apprezzando le nostre ragioni di fondo. Lo vediamo dalla crescente autorevolezza che ci siamo conquistati nel mondo delle Istituzioni, o almeno di alcune di esse. Sono due anni che il Quirinale ospita la premiazione dei nostri Concorsi con il Miur, con la presenza e l’intervento del Presidente della Repubblica. Lo scorso anno abbiamo concordato con il Parlamento e con il Presidente della Repubblica, una bellissima manifestazione, realizzata alla Camera dei Deputati, con la partecipazione, nei banchi, di tanti partigiani, giunti da tutta Italia ed accolti dalla Presidente Boldrini con un affettuoso invito a non considerarsi ospiti, ma padroni di casa; e ricordo ancora la “familiarità” del contatto diretto tra i partigiani e il Presidente della Repubblica, sorridente e felice, come tutti, del resto, in quella grande occasione. Il 6 Maggio 2016, abbiamo avuto un altro incontro importante, alla Camera, per concludere la prima parte di un’esperienza di lavoro comune con il Miur, nella più bella delle sale della Camera dei Deputati, con l’intervento della Presidente e la partecipazione di numerose scolaresche di tutta Italia. Ed è da anni che il Presidente nazionale dell’Anpi viene invitato alla cerimonia-manifestazione inaugurale dell’anno scolastico, nel 2014 al Quirinale e nel 2015 in una scuola di Napoli; in queste occasioni abbiamo potuto distribuire ai presenti, in particolare agli studenti, un anno, il nostro numero speciale di “Patria”, dedicato al 70.mo e l’altro, la Costituzione italiana, con una breve introduzione del Presidente dell’Anpi, sui “valori” e sulla cittadinanza attiva. Non si tratta di riconoscimenti formali, ma della conquista di un apprezzamento, del riconoscimento di una serietà e fedeltà ai valori fondamentali, di cui giustamente possiamo essere orgogliosi. Un patrimonio ed una ricchezza morale che non deve assolutamente andare disperso. Fondamentale e ragguardevole – osserva Carlo Smuraglia – il lavoro che siamo riusciti a svolgere nelle scuole, soprattutto a seguito del Protocollo d’intesa col Ministero dell’istruzione, stilato nel 2014. Quel documento non solo ha aperto le porte della scuola in molti luoghi in cui ogni richiesta veniva respinta, ma ha consentito, con due concorsi nazionali, con l’iniziativa delle “lezioni” in dieci città e con la manifestazione conclusiva del 6 Maggio scorso alla Camera, di contattare scuole e studenti, di suscitare interesse ed emulazione, di promuovere iniziative non solo per la conoscenza della storia più recente, ma anche per lo sviluppo della cittadinanza attiva e del senso e valore della partecipazione. Certo, le scuole sono moltissime e l’Italia è grande: e dunque questi sono stati solo alcuni passi di un percorso che deve protrarsi ed ampliarsi nel tempo, a partire dal rinnovo del Protocollo d’intesa, che verrà a scadenza il 24 Luglio del prossimo anno. Ho parlato, nel paragrafo relativo alla Resistenza, dell’importantissima partecipazione delle donne nella Resistenza ed è stato giusto e doveroso farla emergere al massimo. Ma si è cercato di fare di più, di valorizzare il ruolo della donna, in generale, il diritto all’emancipazione, alla libertà, alla effettiva uguaglianza e parità. L’abbiamo fatto attraverso il lavoro del “Coordinamento donne” dell’Anpi, a cui si fa riferimento anche nel Documento politico del Congresso, ma anche attraverso ricerche, incontri, seminari, convegni, tutti impostati al femminile, ma con la presenza costante non solo di non pochi uomini, ma dello stesso Presidente nazionale, a significare che non esiste un problema che riguarda solo le donne, quando si tratta del loro ruolo nella società, nella politica e perfino nella famiglia, perché siamo tutti interessati (o dovremmo esserlo) al pieno sviluppo di quel patrimonio irrinunciabile che le donne rappresentano nella società, da sempre, anche se per troppo tempo esso è stato misconosciuto. Ricordo solo, fra gli altri, i Convegni “Donne e Resistenza” del 2011, “La violenza e il coraggio” (le donne e il fascismo) del 2013; “Donne che ricostruiscono” del 2014; e con particolare impegno e interesse, quello di Torino del 2015 sui Gruppi di difesa della Donna, accompagnati da ricerche storiche tuttora in corso e da un’ampia elaborazione, che ha valso anche la collocazione del progetto al primo posto dei vincitori del Concorso per il 70.mo della Liberazione. Forse in questo campo, si sarebbe potuto osare di più, impiegare più donne negli organismi dirigenti dell’Associazione, incrementare il percorso del “Coordinamento” e così via. Vedo dai verbali dei Congressi che c’è stata una notevole avanzata di donne nei posti direttivi a livello delle Sezioni e dei Comitati provinciali; e lo considero un segnale positivo, anche per il lavoro futuro”. Rinviando per ogni altro aspetto ad un quadro sinottico, allegato alla Relazione, delle iniziative, pubblicazioni, convegni, tenuti in questi cinque anni, il Presidente Carlo Smuraglia analizza il lavoro compiuto sul delicato, complesso e fondamentale tema dell’antifascismo. “Si è puntato, prima di tutto, sull’aspetto culturale della piena conoscenza di ciò che è stato ed ha significato il fascism – rileva Smuraglia – contrapponendo una realtà fatta di dati ed eventi certi, ai tentativi reiterati di avallare la tesi di un “fascismo mite”. In ogni occasione, abbiamo ricordato non solo che cosa è stato il fascismo, ma come si è comportato con gli antifascisti, con gli Ebrei, con i “diversi”, e quali effetti ha prodotto, in termini di perdite di vite umane, di distruzione dello Stato e del Paese. A questo abbiamo aggiunto l’impegno a contrastare la diffusione dei movimenti neofascisti, sempre più presenti nelle città, nei paesi, sulla rete, nelle liste elettorali e perfino nelle botteghe, nei luoghi che si è cercato di consacrare alla memoria di Mussolini e del fascismo. Non è stato e non è facile, perché – ne siamo convinti – non bastano le nostre proteste, le nostre grida di allarme, i nostri presìdi e i nostri cortei, se anche lo Stato non fa la sua parte e diventa davvero quello Stato antifascista che emerge da tutta la Costituzione. Abbiamo dedicato lavoro, ricerche e confronti su queste tematiche, da soli e con altri (più volte con l’Istituto Alcide Cervi), incontrandoci con esperti, Magistrati, Sindaci, Presidenti di Regione. Abbiamo anche rivolto appelli pubblici alle più alte Autorità dello Stato. Di recente, dopo un Seminario a Gattatico, con l’Istituto Cervi, proprio sul tema della responsabilità delle Istituzioni, abbiamo prodotto un documento, con considerazioni e proposte circostanziate, che – con la Presidente del Cervi – abbiamo presentato e illustrato al Presidente della Repubblica, in una specifica udienza concessaci a questo scopo. Restano da incontrare i Presidenti di Camera e Senato (siamo in attesa di risposta alla richiesta di incontro) ed infine con lo stesso Presidente del Consiglio. Poi, verificheremo i risultati di questa “sensibilizzazione”. Ma non possiamo nasconderci che, nonostante il grande lavoro compiuto, i risultati sono stati modesti. Le iniziative e le provocazioni continuano, anche se siamo riusciti almeno a contenere le più gravi e palesi ed anche ad ottenere condanne da parte dell’Autorità giudiziaria, però non possiamo essere soddisfatti, anche se riteniamo di avere la coscienza a posto. Ma su questo tema torneremo più avanti, in questa stessa Relazione e quindi conviene fermarci qui. Debbo fare un accenno (anche se il tema tornerà ad occuparci in seguito) alla difesa della Costituzione. Su questo piano, siamo stati di una intransigenza assoluta, contro qualunque iniziativa di stravolgimento della Costituzione e nei confronti di qualsiasi Governo che si impegnasse in questa direzione. Abbiamo ripetuto fino alla noia che non siamo conservatori e non siamo contrari a qualsiasi modifica della Carta; abbiamo altresì chiarito che anche sulla questione della correzione del “bicameralismo perfetto” (il doppio voto di fiducia al Governo è sacrosanto, NdA) non abbiamo obiezioni, se davvero si tratta di correzioni e non di stravolgimenti. Abbiamo sollevato riserve sull’utilità del lavoro dei “saggi” nominati in due occasioni, sottraendo uno spazio inesorabilmente riservato, in linea di principio, al Parlamento. Non abbiamo avuto esitazioni ad entrare in campo contro la modifica, nientemeno, della regola delle regole (l’Art. 138). E non ne abbiamo avute neppure quando si è delineato il progetto di riforma del Senato, che abbiamo ritenuto negativo e pericoloso, tanto più se accompagnato da una riforma illiberale della legge elettorale. Ne abbiamo fatto una questione di democrazia, a partire dal Convegno dell’Aprile 2014, al Teatro Eliseo a Roma. E da allora abbiamo continuato in una battaglia che non ha concesso tregua, con prese di posizione, iniziative in tutto il Paese, appelli e lettere aperte ai Parlamentari e così via. Quando si è prospettato il problema del Referendum, ne abbiamo ampiamente discusso, in due riunioni del Comitato Nazionale (28 Ottobre 2015 e 21 Gennaio 2016) e alla fine abbiamo assunto la decisione di partecipare alla campagna referendaria per eliminare del tutto la legge di riforma del Senato e modificare, nella sostanza, la legge elettorale. Abbiamo ritenuto che questo fosse il nostro dovere e che fosse necessario assumerci questa responsabilità, anche in un periodo per noi non facile e complesso. Infine, mi sembra opportuno richiamare la vera e propria svola che si è verificata, nella seconda parte del quinquennio, sul tema dei rifugiati e dei migranti. Abbiamo sempre avuto attenzione a queste problematiche, ma nel quadro di una forte aspirazione alla pace e al rigetto di ogni forma di xenofobia e di razzismo. Più di recente, abbiamo cercato di cogliere più da vicino il dramma dei tanti che, per varie ragioni, di paura, di persecuzioni, di timori di guerra, di fame, ma anche più strettamente di ricerca di lavoro, affrontano viaggi terribili e rischiosi. Abbiamo cercato di capire, di distinguere, di essere più vicini non solo alle ragioni del dolore, ma anche a quelle dei diritti (soprattutto dei diritti umani). Abbiamo ritenuto che fosse venuto il momento di occuparci anche del tema dell’inclusione, visto che ormai sono tanti quelli che vivono in Italia da anni, anche con famiglia, alcuni già con la cittadinanza riconosciuta, altri in attesa del riconoscimento. Sui due fronti, ricorderò, per riassumere, due atti simbolici che abbiamo compiuto nel periodo più recente. Abbiamo invitato a parlare in Piazza del Duomo, a Milano, il 25 Aprile, Giusi Nicolini, la Sindaca di Lampedusa, che da anni si prodiga per l’assistenza, l’accoglienza, il ricovero dei vivi che approdano a Lampedusa, in condizioni spesso disperate e provvede al rispetto dei troppi morti recuperati dal Mediterraneo. La Nicolini ha accettato ed ha parlato in piazza, con largo consenso, richiamando a gran voce il tema dell’accoglienza, dell’inclusione, della solidarietà. L’altro atto è stato quello di concorrere ad un importane iniziativa di una Sezione torinese e dello stesso Comitato provinciale di Torino, in concorso con il Comune e con il Consiglio regionale: far tradurre la nostra Costituzione in arabo e consegnarla solennemente alla comunità islamica. Questo è avvenuto nella moschea di San Salvario, con una cerimonia toccante e significativa, alla quale ho voluto partecipare di persona, per dare un valore nazionale, simbolico e di esempio, ad una pregevole iniziativa locale. Sarà anche poco, ma questa è la strada da percorrere, per essere all’altezza di un dramma immenso, dal quale l’Anpi non può e non deve estraniarsi. Naturalmente, ho detto solo l’essenziale, essendo ben noto l’impegno che abbiamo dedicato a molte altre tematiche (difesa della democrazia, rigenerazione della politica, antirazzismo, diritti umani, lavoro, dignità), la cui trattazione analitica avrebbe appesantito troppo la Relazione. In conclusione, presentiamo al 16.mo Congresso un’Anpi in buona salute, con un numero di iscritti rilevante (oltre 120.000 anzi, per essere precisi, oltre 124.000, con l’aggiunta di quasi 900 tessere di “amici” dell’Anpi). Un dato fortemente superiore non solo a quello di altre associazioni, ma perfino dei partiti che ancora restano sulla scena. Siamo strutturati su 107 Comitati provinciali e 1482 Sezioni, di cui sette all’estero; 17 Coordinamenti regionali; 3 Responsabili di area. Assicuriamo la presenza in tutto il Paese, compresi gli angoli più remoti e quelli in cui, fino a poco tempo fa, l’Anpi era assolutamente inesistente o ignorata. Gli stessi attacchi che abbiamo avuto di recente, dimostrano che richiamiamo attenzione e magari qualche preoccupazione, da parte di chi non vede di buon occhio, almeno alcune delle nostre posizioni. Abbiamo, tra i nostri iscritti, un buon numero di donne (circa il 30%); ma riteniamo inadeguato questo dato e pensiamo si debba fare di tutto per migliorarlo. È in continua crescita la presenza dei giovani, ma anche in questo campo bisogna fare molto, ma molto di più. Significativo il fatto che abbiamo nuovi iscritti ogni anno; questo è un dato positivo, anche se occorre riconoscere che persiste ancora qualche difficoltà, sia nella stabilizzazione, sia nella trasformazione degli iscritti in militanti. Ma forse siamo troppo esigenti, nelle nostre aspirazioni al meglio, soprattutto se ci soffermiamo per un momento sui confronti, sempre a nostro favore. Siamo vivi ed attivi ed in grado di guardare in faccia al futuro, se non con tranquillità, almeno con la consapevolezza del nostro ruolo e delle sue potenzialità per la difesa e l’attuazione della Costituzione e della democrazia. I tempi non sono favorevoli all’ottimismo. Le guerre non cessano – avverte Carlo Smuraglia – anzi peggiorano, diventando spesso guerre contro i civili. La minaccia terroristica persiste e, di quando in quando, si fa più concreta. È in atto uno spostamento a destra di molti Paesi europei, sulla base del peggior egoismo e della prevalenza di interessi particolari, rispetto a quello che dovrebbe essere il bene comune di una Europa Unita. Vi sono contraddizioni ed eventi preoccupanti. Nel Mediterraneo, tutto in subbuglio, due Paesi preoccupano in modo particolare. L’Egitto, per l’indirizzo autoritario (ma sta combattendo il Daesh insieme alla Russia, NdA) che ha ormai assunto in modo definitivo. La Libia, dove un Governo, riconosciuto dall’Onu stenta a farsi valere assumendo i poteri che gli competono e dove ogni tanto si sentono, da lontano o da vicino, squilli di guerra. Il problema dei migranti diventa sempre più difficile e crudele. Sbarramenti, muri, fili spinati sono i rimedi che si pensa di contrapporre ad una tragedia umana di portata incommensurabile. Si porranno sempre di più problemi di accoglienza, soprattutto per l’Italia, che è la più esposta. E non vanno dimenticate, almeno da noi, le tematiche dell’inclusione, visto che ormai gli stranieri che vivono stabilmente in Italia raggiungono il 10% della popolazione (afflitta dalla denatalità degli Italiani in via di estinzione insieme a molti altri popoli europei, NdA). In un contesto simile, l’impegno per la pace deve essere prioritario, così come la contrarietà ad ogni tipo di guerra; ma altrettanto forte deve essere l’impegno sulla questione dei migrant e sulla questione dell’inclusione, oltreché – più in generale – per il rispetto dei diritti umani. All’interno del nostro Paese, ai mille altri problemi dichiarati, annunciati, ma non risolti, si aggiunge una Campagna Referendaria che si vorrebbe trasformare in un plebiscito. Noi – rimarca Carlo Smuraglia – non connettiamo all’impegno per il NO, questo carattere politico e continuiamo ad affermare convintamente che il problema non è la durata del Governo Renzi, ma quello della difesa della Costituzione e della Democrazia. Ma non basteranno le parole, perché la lotta sarà dura. Lo si intuisce dalle prime avvisaglie, l’articolo di Rondolino, alcune battute che circolano o si fanno circolare sulla Rete, di carattere fazioso e provocatorio, l’impegno dello stesso Governo in una campagna referendaria estremizzata. Non c’è dubbio che Renzi metterà in campo tutti gli strumenti, per vincere quella che considera una partita decisiva. Noi dobbiamo, con la nostra correttezza, con la nostra lealtà e con la massima apertura e nello stesso tempo con la massima autonomia e indipendenza, combattere questa battaglia seriamente e fino in fondo, per obbedire ad alcuni doveri inderogabili consacrati nel nostro Statuto. Dobbiamo usare la forza degli argomenti, la semplicità delle spiegazioni, la chiarezza assoluta nella risposta ad ogni quesito. Dobbiamo organizzare banchetti (anche a questo fine, abbiamo raggiunto un accordo con l’Associazione più vicina ed organizzata, cioè l’Arci). Dobbiamo fare in modo che ogni nostro dirigente ed attivista sia in grado di informare e spiegare la sostanza dei problemi su cui verte il Referendum. Stiamo raccogliendo materiali e daremo istruzioni, semplici ma precise, ed auspico che vengano utilizzati appieno perché il tempo a disposizione è poco – avverte Carlo Smuraglia – ed entro la fine di Giugno 2016, al massimo, la raccolta delle firme deve essere completata. Qualcuno, anche fra noi, non è e non sarà d’accordo; lo sappiamo e riconosciamo non solo il diritto di pensarla diversamente, ma anche quello di non impegnarsi in una battaglia in cui non si crede. Ma non riconosciamo e non possiamo riconoscere il diritto a compiere atti contrari alle decisioni assunte; lo prevedono lo Statuto e il Regolamento, in modo nettissimo, l’obbligo degli iscritti al rispetto dello Statuto e del Regolamento e delle decisioni degli organismi dirigenti. Dunque, niente pronunce pubbliche per il SI, niente iniziative a favore o con i Comitati per il SI e nessun ostacolo, esplicito o implicito, alla nostra azione. Questo deve essere ben chiaro a tutti e deve essere fatto rispettare dai nostri dirigenti. Così come deve essere chiaro che questa è una battaglia che impegna tutta l’Anpi; siamo dunque interessati tutti, a che questo impegno finisca bene, con un successo delle nostre idee e del nostro lavoro. Risvegliamo un po’ di senso di appartenenza, non farà male a nessuno, anzi ci aiuterà a sentirci più forti ed uniti. E sia chiaro, una volta per tutte: questa è una battaglia che conduciamo in piena autonomia ed in rapporto stretto con coloro, singoli o Associazioni, che sono inseriti nei Comitati nazionali. Se poi ci sono altri, diversi da noi, che magari puntano allo stesso obiettivo, non ci preoccupa affatto, perché in materia di difesa della Costituzione sono ben possibili coincidenze piuttosto che alleanze, che possono essere anche utili ai fini del risultato finale, ma non generano alcun tipo di compromissione, appunto, della nostra indipendenza. Abbiamo ancora un altro problema, immanente e crescente, quello del neofascismo, che continua ad imperversare. Siamo tutti d’accordo nel non tollerare queste manifestazioni e nel contrastarle in tutti i modi leciti e non violenti. Anche su questo piano, so che ci sono pressioni perché si faccia di più, ma occorre anche il senso del limite e del realismo, connaturati alla nostra stessa identità. E questo non può essere inteso come opportunismo, perché non si ottiene di più se si chiedono cose impossibili o si battono strade impraticabili; ciò che occorre è fare sempre quanto necessario e concretamente idoneo a produrre risultati effettivi e non ipotetici e astrusi. Dunque, essere presenti e responsabili, in ogni occasione e contrastare ogni tentativo ed ogni manifestazione di tipo fascista, ma scegliendo, ogni volta, la forma più adeguata, anche perché, in questa battaglia, bisogna avvicinare e convincere i cittadini e non allontanarli. Come ho già detto, io continuo ad essere convinto che dobbiamo ottenere che lo Stato divenga pienamente e sinceramente antifascista. Ci stiamo muovendo con decisione, su questo terreno, ma è dovere di tutta l’Anpi, appoggiare e sostenere questo impegno, con tutti i mezzi, ricordandoci che abbiamo anche il dovere di informare e far conoscere a tutti (e soprattutto ai giovani) che cosa è stato il fascismo. E bisogna profondere maggiori sforzi rispetto al neofascismo e al neonazismo europeo. L’intento di realizzare un largo fronte antifascista europeo non è stato facilmente realizzabile, nonostante l’impegno della FIR, perché ci sono troppe diversità tra le Associazioni dei vari Paesi, di cui alcune ferme da tempo su atteggiamenti solo reducistici. Bisogna però insistere e bisogna farcela anche per contrapporsi in modo più fermo ed unitario alle tendenze destrorse, fasciste, razziste e populiste, che si vanno sempre di più espandendo. Dobbiamo intensificare il lavoro nelle scuole, che stiamo utilmente facendo, a seguito del Protocollo di intesa col Miur, del quale bisognerà che si avvalgano di più anche i nostri organismi periferici. Bisognerà preparare attentamente il terreno per il rinnovo del Protocollo. C’è ancora un problema che ci aspetta e che voglio sottolineare con particolare forza, anche se è un problema interno alla nostra Associazione, e riguarda la sua vita e la sua attività. Con questo Congresso, sono cambiati molti organismi dirigenti, ci sono molti nuovi Presidenti e sono lieto di vedere che ci sono anche molte donne in posti di responsabilità. Tutto questo è bello e importante, ma ci pone alcuni problemi immediati. Il primo è quello di realizzare la continuità, soprattutto in una fase in cui viene progressivamente a mancare il contributo diretto dei partigiani. Il secondo è quello dell’esperienza: siamo in una fase complessa della vita politica e della vita sociale e dunque i problemi che si presentano sono molti, anche per noi, alcuni addirittura inediti. Bisogna fare in modo che si acquisti rapidamente l’esperienza necessaria, attraverso il lavoro collegiale, la conoscenza di cosa è e deve essere l’Anpi, la formazione. Soprattutto quest’ultima è un chiodo su cui bisogna battere con forza, perché è il problema dei problemi e riguarda tutti, non solo i giovani. Ci sono gli strumenti, c’è il nostro volume sul corso di Parma, che può ben essere utilizzato per organizzare iniziative e anche come materiale di consultazione e conoscenza. So bene che il ricambio porta con sé il vantaggio della novità delle idee e delle esperienze; e questo è un dato altamente positivo; ma lo è pienamente solo se si riesce ad accompagnarlo alla continuità. Infine, le regole. Non è una mia fissazione – assicura Carlo Smuraglia – è una necessità assoluta, quella del rispetto delle regole, soprattutto in una fase di cambiamento e rinnovamento. Si tratta di un elemento imprescindibile per restare uniti e per meritare attenzione e reputazione. Ricordo un film bellissimo “I bambini ci guardano”; noi dobbiamo tenere sempre presente che ci guardano soprattutto gli adulti e che l’atto sbagliato, anche di un solo dirigente, può riflettersi sul buon nome di tutta l’Associazione. Questo, i vecchi partigiani lo sapevano d’istinto. Bisogna che lo apprendano anche coloro che subentrano e subentreranno, perché la spregiudicatezza non è un merito né un vantaggio, è semplicemente pericolosa. Ripeto, i rischi possono essere corretti non solo con la formazione, ma soprattutto col lavoro collegiale, di una collegialità vera e reale e non semplicemente prevista sulla carta. Bisogna crederci, alla collegialità, come un valore e regolarsi di conseguenza. Infine, c’è il problema delle incompatibilità. Ci sono quelle di diritto, previste dal nostro Regolamento ed a quelle bisogna attenersi, ma bisogna considerare anche quelle, per così dire, di fatto, che possono nascere dall’adesione ad altre Associazione o addirittura a partiti. In questo campo non c’è nulla di vietato, ovviamente, ma c’è una regola non scritta, ma evidente, secondo la quale bisogna tenere sempre (anche dentro se stessi) ben distinte le appartenenze o le simpatie rispetto all’adesione all’Anpi, che ha un suo significato e valore pregnante e storico da non dimenticare mai, che si esprime anche col possesso di una tessera che ha un valore morale enorme, perché dentro di essa c’è tutta la Resistenza e ci sono tutti i Caduti per la libertà. Da ultimo, e non certo per ragioni di minore importanza, voglio soffermarmi un attimo su una questione di particolare rilievo: le strutture nazionali. Noi continuiamo a mettere in campo idee ed iniziative e ad affrontare situazioni nuove (ad esempio, il Referendum), sempre con le stesse strutture, validissime, meritevoli – soprattutto quelle che vengono da più lontano ne tempo – di una riconoscenza senza limiti. Tuttavia, così non si potrà andare avanti, perché chiediamo troppo ad un volontariato che ha necessariamente dei limiti e chiediamo troppo a persone spesso neppure più tanto giovani, approfittando della loro totale disponibilità. Bisogna convincersi che il problema delle strutture è un problema politico, da risolvere al più presto, introducendo nuove energie accanto a quelle storiche che garantiscono l’esperienza e la conoscenza del nostro passato. Bisogna disporre di uno staff adeguato alla bisogna, oppure finiremo soffocati dalle nostre stesse idee e dalle incombenze nuove che via via si prospettano. A questo fine, non ho che da riportarmi a quanto già detto a proposito del tesseramento e del 5×1000. Ci sarebbero molte altre cose da dire su ciò che ci aspetta e su come dobbiamo affrontare il “nuovo”, ma ho voluto toccare solo alcuni aspetti di particolare rilevanza e delicatezza, lasciando che sul resto sia tutto il Congresso a indicarci la strada e gli strumenti migliori per essere l’Anpi di sempre, quella che deve essere, sempre e comunque, sé stessa”. Il Presidente Carlo Smuraglia conclude con una considerazione personale che non verrà esaudita al XVI Congresso Nazionale Anpi! “Ritengo doveroso lasciare il posto che ho occupato in questi cinque anni – dichiara Carlo Smuraglia – anche se mi dispiace farlo in una fase così delicata e complessa, perché stiamo parlando di rinnovamento, pur nella continuità e stiamo affrontando una dura battaglia in sede referendaria. Lo lascio con rammarico e dolore, perché questi anni sono stati intensissimi, ma ricchi, con momenti di delusioni, dispiaceri e “grane” e momenti di grande soddisfazione. Ho dato tutto me stesso all’Anpi, perché pensavo che la presenza attiva del Presidente, anche sul territorio, fosse una necessità e perché ero convinto che l’Anpi avesse bisogno di un punto di riferimento, vorrei dire, quasi quotidiano. Da ciò i 201, faticosi, numeri delle Newsletter. Ho sentito vicinanza e partecipazione; ho trovato, in moti casi, anche sincera amicizia. Ve ne sono grato. Getterò via le lettere, anche cattive, che talvolt
ho ricevuto da dissidenti più o meno anonimi o comunque non conosciuti; e conserverò, soprattutto nel ricordo, gli attestati di stima, di rispetto e soprattutto di amichevole collaborazione. Io spero che di me ricorderete almeno la disponibilità e la capacità di assumermi tutte le responsabilità necessarie, anche quando ciò era sgradevole. Io ricorderò gli aspetti migliori di questi anni e questo mi terrà compagnia, parafrasando il titolo di un bel libro “Per quel che resta del giorno”. Grazie”. La Suprema Carta si difende, infatti, salvaguardandone i princìpi fondamentali scolpiti nella prima parte del testo che, prima o poi, se la controriforma di Renzusconi ottenesse malauguratamente il plebiscito sperato e finanziato dal massonico trasversale “partito dei bancari sofferenti”, il futuro meticcio “partito della nazione”, sarebbe intaccata anche nella sua vitalità come Legge bisognosa, come ogni prodotto umano, di eventuali modifiche e aggiornamenti. Offenderla, umiliarla, stracciarla e trasformarla in un “testo sacro” solo per una parte politica minoritaria del Paese, dunque intangibile per l’altra, significherebbe fossilizzarla, elevarla al livello di una sacra reliquia, tanto venerabile quanto inutile! L’abolizione del Senato della Repubblica è inaccettabile. È ovvio che, sulla bontà della controriforma approvata dal Parlamento eletto nel 2013 da una legge elettorale parzialmente incostituzionale, i giudizi possono essere diversi, e che il voto per il NO è perfettamente legittimo. Ma considerare “illegittimo” e “anticostituzionale” quello per la Difesa patriottica della Carta Fondamentale degli italiani appare una grave forzatura. Quanto ai paventati “non rischi di derive autoritarie” che potrebbero scaturire dall’approvazione della controriforma, personalmente li vediamo: tali rischi esistono già oggi con le missioni militari “umanitarie” all’Estero, con il riarmo nucleare americano delle basi Nato in Italia, a suon di bombe H, e gli amici Ebrei dovrebbero ricordarlo molto bene, richiamando alla memoria l’operato di Mussolini appena conquistato il potere. Perché esistono sempre rischi nella Storia, eliminando una camera elettiva e dando tutto il potere a un solo uomo al comando su tutto e su tutti! Magari esistono dietro l’angolo e la faccina bonaria di un giovane premier mai eletto in Parlamento (capo di un partito di “sinistra” che è e resta un’associazione privata, compresi i suoi metodi elettivi assai discutibili spacciati per “Primarie”, quasi fossero quelle americane presidenziali!) e sussisterebbero anche, a nostro umile avviso, dopo la bocciatura plebiscitaria della controriforma di Renzusconi. Giacché la Storia insegna che tali derive vengono sempre favorite da situazioni di stallo e di crisi permanente, magari dirette da potenze estere, da “impasse”, nodi gordiani e inefficienza di un immaturo sistema politico italiano in 23 anni incapace, dopo la vittoria del Maggioritario “pannelliano”, di sbarazzarsi delle mafie, della corruzione e dei fascismi di maniera che, tra l’altro, hanno impedito e impediscono la fondazione di un autentico Partito Conservatore costituzionale antifascista! È inaccettabile che l’Italia non sia in grado di esprimere una classe dirigente degna di questo nome a livello internazionale. Il parere contrario alla controriforma è stato espresso da molti raffinati giuristi. Il fatto che per il “Sì” siano schierati, senza alcuna defezione, tutti i populisti d’Italia, amici dei banchieri “sofferenti” di destra, centro e sinistra transfughi dal centrodestra e dal centrosinistra, in vista del gran “mucchio selvaggio” auspicato dai tecnocrati di Bruxelles, è anche un dato di fatto. Ma esso non delegittima certamente il voto contrario di chi (la maggioranza degli italiani dotati della libera capacità di intendere e di volere, come buoni padri di famiglia) ritenga di esprimersi con un forte e chiaro “No” per il più sincero amore della Democrazia. Dopo il Referendum, qualunque ne sia l’esito, la Costituzione della Repubblica italiana continuerà ad essere il Patto Fondamentale che legherà tutti gli italiani, al di là di ogni differenza di orientamento politico? Ma come potrà continuare ad esserlo, in caso di approvazione della controriforma, se essa dovesse essere considerata, da una cospicua maggioranza di italiani, un testo contrario ai valori della Resistenza, della Democrazia e della Libertà? E non ci sarebbe il rischio che anche quelli che abbiano votato “Sì” siano portati a considerare la nuova Costituzione più come “cosa propria”, anziché di tutti gli italiani? In tal caso, ognuno per sé? Il Patto del 25 Aprile 1945 cesserebbe di esistere con tutte le sue amare conseguenze, assai piacevoli solo ai Warlords che pianificano una nuova guerra mondiale civile in Europa, magari contro la Santa Russia, ai danni dell’Italia. Invitare tutti a comprendere bene il pericolosissimo meccanismo della controriforma messo in moto dal regime autoritario Renzusconi, approfittare dell’occasione per studiare il testo della Costituzione vigente, che molti non conoscono affatto, farsi un giudizio libero, personale e ponderato, non sottovalutare la scadenza elettorale, andare tutti a votare, votare responsabilmente e, qualunque sia l’esito del Referendum, amare e rispettare la Costituzione, sempre e comunque. Per custodire sempre i supremi valori delle regole del gioco, per la libertà e la democrazia, che non devono mai essere oggetto di divisioni e contrapposizioni di parte. A costo di riscrivere daccapo la Costituzione Italiana con una nuova Assemblea Costituente. Banchetti per la raccolta delle firme sono organizzati dall’Anpi in tutta l’Italia fedele alla Costituzione della Repubblica. E, la sera, feste da ballo in tante città per raggiungere le 500.000 necessarie per i due Referendum. Sabato 11 e Domenica 12 Giugno 2016, i Comitati referendari nazionali impegnati nella campagna per il NO alla “riforma” costituzionale e per il SI alle modifiche della legge elettorale Italicum danno vita a centinaia di banchetti, come si vede dalla cartina animata (www.anpi.it/articoli/1546/referendum-su-riforme-costituzionali-e-italicum). È una occasione straordinaria per parlare con un rilevantissimo numero di persone del merito delle controriforme in oggetto, di cui le mille polemiche ed esternazioni delle ultime settimane hanno accuratamente evitato di parlare. Ma si tratta anche di una necessità, perché per poter intervenire nella campagna referendaria in tutti i modi previsti dalla legge (spazi autogestiti, manifesti e quant’altro) occorre aver raccolto le firme necessarie che sono tante: 500mila per ciascun Referendum. E, anche considerando che la raccolta delle firme è già iniziata, i tempi sono stretti. Allora, “Firma, dai!”, firma perché anche questa è partecipazione democratica patriottica consapevole alla vita repubblicana del Belpaese. Dunque i banchetti. Ma non solo. Le sere di Sabato 11 e Domenica 12, su iniziativa dell’Anpi e dell’Arci, si svolgono in tante città patriottiche d’Italia numerosi eventi per stare assieme, letteralmente “ballando sotto le firme”, con feste da ballo nei locali e in piazza, precedute da un’accurata richiesta a tutti i partecipanti di firmare per i Referendum. In sostanza, un’occasione gradevole di socialità che di questi tempi è senza dubbio positiva, anche per sdrammatizzare gli scenari apocalittici mondiali. Più firmiamo, più contiamo. Allora, firma per l’Italia libera, indipendente e sovrana. Firma per la Costituzione della Repubblica. Fai il Patriota! Firma Day l’11 e il 12 Giugno 2016 nei Comuni e nelle piazze d’Italia. Firma! Perchè la Storia non dimentica! “Make Italy Great Again”. Dio benedica l’Italia! Viva le Forze Armate fedeli alla Costituzione, viva la Repubblica, viva l’Italia!
© Nicola Facciolini
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