Nell’ambito delle nuove procedure di “vigilanza documentale” messe in atto da Inps, particolare attenzione è stata dedicata al rispetto della L.190/2014, normativa che ha introdotto l’esonero triennale dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro che hanno effettuato nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato nel corso del 2015.
Come noto, attraverso l’incrocio fra banche dati INPS e del Ministero del lavoro sono state identificate circa 65.000 aziende che sembrerebbero aver usufruito indebitamente dello sgravio per un totale di circa 113.000 lavoratori.
Nello specifico, circa 53.000 aziende hanno usufruito della decontribuzione nonostante il lavoratore avesse avuto un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti con un altro datore di lavoro. Le restanti 12.000, invece, hanno chiesto, e inizialmente ottenuto, lo sgravio nonostante il lavoratore avesse già avuto un contratto a tempo indeterminato con loro nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore della norma.
Mentre nel primo caso l’erronea fruizione può essere determinata dal fatto che il lavoratore assunto non ha comunicato all’azienda la circostanza (violazione lieve), nel secondo caso è indubbia la consapevolezza dell’azienda e la natura fraudolenta della fruizione dello sgravio (violazione grave).
L’Inps ha condotto un’analisi preliminare per meglio analizzare il fenomeno e il ruolo dei professionisti, dal momento che tra le imprese che hanno commesso violazioni sono sovra-rappresentate quelle assistite da consulenti del lavoro o commercialisti. In particolare, solo l’8% delle imprese che ha commesso violazioni gravi non risulta assistita da alcun intermediario (la percentuale di imprese non assistite è doppia, attorno al 16%, fra le imprese che non hanno commesso violazioni).
I risultati di un’analisi multivariata1 – effettuata su un campione casuale di 148.385 aziende, di cui 54.050 hanno usufruito della decontribuzione e 6026 hanno effettuato dichiarazioni anomale – mostrano una correlazione positiva tra percentuale di anomalie registrate e il numero di intermediari (consulenti del lavoro o commercialisti) che lavorano presso ciascuna azienda. Questa correlazione è attribuibile ad un numero ristretto di professionisti, recidivi nell’effettuare false dichiarazioni per lavoratori diversi nella stessa impresa e per imprese diverse da loro assistite.
Sulla base di questi riscontri l’Inps ha convocato una riunione con i Consigli nazionali dei commercialisti e dei consulenti del lavoro. Il Consiglio nazionale dei commercialisti si è impegnato a lavorare assieme all’Istituto per continuare ad analizzare questo fenomeno.
Questa collaborazione è volta ad assicurare alle imprese un’assistenza all’insegna del rispetto della legalità e all’identificazione e isolamento di quella minoranza che inquina il lavoro della grande maggioranza dei professionisti che svolge correttamente e onestamente il proprio lavoro.
“Il rispetto delle regole – afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Gerardo Longobardi – deve far sempre parte del Dna dei professionisti. Su questo fronte siamo da tempo impegnati in una battaglia che consideriamo vincente per i commercialisti. Collaboreremo attivamente con l’Inps nell’azione di monitoraggio di questo fenomeno con lo spirito di interlocuzione costruttiva che il nostro Consiglio nazionale ha attivato con le Istituzioni. Nel caso in cui dovessero emergere comprovate responsabilità di nostri iscritti, assumeremo rigorosi provvedimenti disciplinari”.
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