Un gruppo di giovani del Cilento ha deciso di far ritorno nella propria terra con l’obiettivo di unire la cultura alla coltura, la cura dei terreni al turismo, il passato e il futuro. È così che nel 2012 è nata la cooperativa sociale Terra di Resilienza che ha al centro delle sue attività l’agricoltura sociale e l’ecoturismo.
“L’Italia riparte solamente nel momento in cui sono gli italiani a prendere in mano il proprio destino e il proprio futuro, e a volerlo cambiare: secondo me il destino in Italia parla un’unica lingua. Quella dell’Appennino, che è la lingua della spina dorsale, dell’osso, delle montagne”.
Molte storie si raccontano meglio partendo dalla fine piuttosto che dall’inizio: questa è l’ultima frase della nostra intervista ad Antonio Pellegrino, uno dei tre soci fondatori della Cooperativa Sociale Terra di Resilienza , che in un tratto della spina dorsale dell’Appenino ha il suo cuore pulsante: nel Cilento. Che non è il Salento, sia chiaro: non siamo al mare (anche se parte del Cilento, territorio molto esteso, si affaccia sul Mar Tirreno) e tanto meno in Puglia, ma nel cuore profondo dell’Appenino, a Caselle in Pittari in provincia di Salerno, ai piedi del monte Cervati che è il più alto della Campania.
Uno dei proverbi di questo territorio recita che “Chi sape fila’ fila lo spruocco”: chi conosce bene il mestiere può lavorare anche con mezzi inadeguati. Non è il caso di questi ragazzi, che sulla loro esperienza e sulle loro storie personali hanno saputo costruire un’esperienza ricca di mezzi adeguati a fornire l’idea di un Mezzogiorno che sa valorizzare il passato per proiettarlo nel presente e nel futuro.
Antonio Pellegrino, nato in una famiglia contadina, immigrò in Toscana dove divenne amministratore in una società che commerciava apparecchiature elettriche, con un importante riscontro economico.
Dario Marino, altro socio fondatore della Cooperativa Sociale, in Toscana ci ha studiato. Claudia Mitidieri, socia fondatrice della Cooperativa, lucana di origine ma con il cuore in Cilento per via della mamma originaria del posto, sognava invece di attraversalo il Mediterraneo, mare di fascino e sventura: ha studiato studi arabo-islamici a Napoli, e il suo sogno era di lavorare in una ONG in Medio Oriente. E questo sogno lo aveva anche realizzato, lei che ha un “bisogno viscerale di concretezza”: durante il percorso universitario ha fatto delle esperienze concrete in Turchia.
Tutti e tre, che della loro diversità caratteriale ne hanno fatto una ricchezza, hanno un tratto distintivo comune: sono tutti tornati “nel sud dei Paesi”, frase di Dario che ci è piaciuta molto.
Terra di Resilienza: cultura e coltura
La Cooperativa Sociale Terra di Resilienza nasce nel giugno 2012 con l’obiettivo di unire la cultura alla coltura, la cura dei terreni al turismo, il passato e il futuro.
“Ho sempre avuto, data la mia formazione, un’attitudine per il sociale” ci racconta Claudia. “Allo stesso tempo era forte in me il desiderio di mettere le mani nella terra e di realizzare qualcosa che fosse concreto e non solo nozionistico. Nel post-laurea ho avuto un periodo di disorientamento molto forte ed è li che ho avuto la fortuna di avere accanto Dario: stava vivendo un periodo simile al mio, dopo la sua esperienza di studi in Toscana. Lui è molto appassionato di storia, specialmente di storia del Meridione, ed è stato in questo periodo che mi sono avvicinata alle radici culturali e storiche del nostro territorio. Poi tramite esperienze associative comuni abbiamo conosciuto Antonio, e da lì è partito il progetto embrionale di Terra di Resilienza”.
E perché questo nome?: “Il Nome Terra di Resilienza è nato dalla ricerca di un identità, di un qualcosa che ci riconducesse all’idea di terra.” spiega Antonio Pellegrino “La Resilienza ci è sembrata la parola più idonea da affiancare alla terra: stare qua in Cilento, al Sud, non significa stare in una prigione o vivere nel rimpianto di non essere andati via. Anzi stare qua significa vivere in un contesto ambientale, culturale, sociale e storico che ha valore. Da tutti quello che viene percepito come uno svantaggio, per noi è un vantaggio. È il luogo dal quale ripartire, e l’agricoltura ci è sembrata lo scenario ideale per cominciare a intraprendere questo percorso di recupero dove il passato non è solo idealizzato: noi come generazione alfabetizzata, con preparazione universitaria al contrario dei nostri genitori, piuttosto che ingrossare le fila dei professionisti abbiamo pensato di guardarci attorno nei luoghi e nei contesti di prossimità e intraprendere azioni che creino valore, sia umani che imprenditoriali. Un’idea di impresa che crea risorse economiche ma che crea anche risorse sociali, culturali e ambientali.”
L’agricoltura sociale: un percorso tra pari
La Cooperativa Sociale Terra di Resilienza nasce con uno scopo primario: quello di fare agricoltura sociale. “C’è una forte consapevolezza che il Sud ha delle potenzialità, e che queste potenzialità invece spesso ritenute dei limiti del Mezzogiorno ci potessero aiutare a creare un modello di economia che è quello di prossimità e di agricoltura civile.” racconta Dario Marino. “Con questa forte tensione etica abbiamo creato la Cooperativa. Facciamo agricoltura sociale principalmente, è un attività di produzione sia di prodotti agroalimentari che di beni relazionali. E’ finalizzata all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale di persone cosiddette svantaggiate.”
Ed il motivo per cui, su queste terre, l’agricoltura possa divenire possibilità di riscatto è presto detto da Claudia: “Mentre ottenevamo le prime terre in concessione o in affitto per la nostra attività, ci siamo avvicinati al mondo delle dipendenze. C’era un’emergenza sociale stringente sul territorio: i dati erano allarmanti, c’erano stati in successione una serie di decessi per overdose a Sapri (comune del Cilento, il maggiore del Golfo di Policastro ndr) riguardanti ragazzi davvero giovanissimi. Abbiamo bussato le porte delle istituzioni per far emergere questo disagio e abbiamo allestito una serie di tavoli sul territorio per discutere di questo problema.
Abbiamo così fatto la nostra proposta: poter iniziare, anche da inesperti, a lavorare con persone motivate dalla volontà di lavorare la terra. Abbiamo sviluppato un rapporto con il Servizio con le dipendenze di Sapri, a cui abbiamo chiesto un aiuto nell’individuare quali potevano essere le persone bisognose e che allo stesso tempo potevano entrare in questo progetto non da lavoratori, ma da soci!. Abbiamo cominciato progetti di inserimento su varie produzioni: grano, ovicoltura e ortive. Volevamo e vogliamo offrire a loro un contenitore dove esprimere dei progetti.”
Oggi la Cooperativa Sociale Terra di Resilienza conta 19 soci, sette dei quali sono soci “svantaggiati”: “Ci occupiamo dell’ambito delle dipendenze patologiche, in particolare alcolismo e tossicodipendenze.” ci racconta Dario. “C’è da dire che noi non avevamo una formazione specifica, l’agricoltura sociale in Italia si è sviluppata solamente negli ultimi dieci anni e soltanto questo anno c’è stata una legge che specifica ruoli e funzioni dell’addetto nell’agricoltura sociale. Ogni esperienza fatta è stata fatta sulla nostra pelle e di chi ci ha seguito, è stato un continuo correggere gli errori e creare il percorso strada facendo, esplorando una professione che non esisteva. Ci è costato di più però quelle poche certezze che abbiamo sono state costruite nella consapevolezza”.
Chi comincia un percorso di questo tipo ha già chiara la volontà di abbandonare la dipendenza patologica. Per questo il percorso proposto dalla Cooperativa non ha nulla a che vedere con un discorso di tipo terapeutico, bensì l’idea di sostituire un’esperienza totalizzante come la dipendenza con un’altra di riscatto attraverso la terra. Un percorso tra pari. Qui sta uno dei tanti punti di forza dell’esperienza della Cooperativa: il riscatto del ritorno dei soci fondatori si fonde con l’esperienza che vorrebbero trasmettere. E ciò che è ritenuto una sfortuna diventa una risorsa, come il loro ritorno nel Sud dei Paesi. Un altro importante punto di forza è l’attenzione al suolo.
L’attenzione al suolo: una fertilità da curare
Girando per il Cilento a volte si ha la sensazione che il tempo si sia fermato, che ci si trovi di fronte ad un immenso museo naturale dove i molti, piccoli insediamenti umani, ognuno con la sua identità e il suo dialetto, sono l’unica “rottura” di un paesaggio che è viscerale e lieve allo stesso tempo. Ma la modernità è arrivata anche qua, invadendo l’autoproduzione imbastardita che si pratica da queste parti con la chimica industriale. Antonio Pellegrino ci spiega che “In questo noi stiamo rappresentando un innovazione: teniamo una superficie di undici ettari di grano coltivati senza l’ausilio di concimi chimici, ma con ammendanti e concimi che ci autoproduciamo.
Il nostro tipo di produzione vuole fuggire dall’idea di marchio, desideriamo uscire dalla retorica ma amiamo dire che ciò che produciamo deve essere garantito dalle nostre storie personali, dalle nostre facce e soprattutto dal nostro profilo etico, che si sposa con il valore assoluto della fertilità dei suoli. Noi coltiviamo quattro varietà di grano e una varietà di farro che provengono da semi antichi, che a noi piace chiamare piuttosto semi del futuro. Non crediamo che la Ianculidda, la Russulidda, la Carusedda o la Saragolla siano delle priorità assolute perché noi le seminiamo: la priorità assoluta è il suolo dove quel tipo di seme è coltivato.
Lavorare sulla fertilità dei suoli e intervenire razionalmente sui processi e sulle dinamiche che succedono in un suolo quando lo vogliamo coltivare è un meccanismo fondamentale di innovazione che possiamo mettere in campo in quanto abbiamo la cultura, le conoscenze e gli scambi necessari che non avevano i nostri padri. Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio dove non c’è stata pressione industriale ne demografica, un territorio che già di suo ha un’ altissima biodiversità (Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano sono stimate più di 2500 specie vegetali, su un totale di 5500 in tutto il territorio italiano). Abbiamo un luogo straordinario sul quale bisogna rideterminare un’azione che ne contestualizzi il valore.”
La diversità come valore aggiunto
La lingua dell’Appenino, della spina dorsale, delle montagne parla molti dialetti ma ha una lingua comune. E’ per questo che il Cilento rappresenta un piccolo spaccato d’Italia. Un luogo dove, nonostante le difficoltà, i limiti possano divenire delle potenzialità, proprio come i principi della Resilienza insegnano. In Italia, così come nel Cilento, la diversità (biologiche e umane) è la più grande ricchezza che possiamo avere, basta non costruire sulla diversità le differenze, e in base a queste sviluppare valutazioni, che sono l’apripista per il pregiudizio, barriera insormontabile per qualsiasi tentativo di cambiamento. Sulla diversità dobbiamo sviluppare l’incontro, che scaturisce da sempre l’accettazione.
Come hanno fatto i tre ragazzi di Terra di Resilienza che, per spirito e concretezza, fondono la loro esperienza con le caratteristiche della terra che hanno deciso di abitare, donandoci una nuova idea di convivenza. Le parole di Claudia, con cui chiudiamo la nostra prima parte dedicata alla loro esperienza, sintetizzano bene tutto ciò: “La mia più grande soddisfazione è quello di aver, insieme ad Antonio e Dario, trovato la capacità di lavorare insieme. Non è scontato, nonostante siamo davvero persone totalmente diverse abbiamo trovato una sintonia che ci ha permesso di andare avanti. Ci sono confronti anche accesi, ma sempre basati su una stima reciproca che non è in discussione. La forza della Cooperativa è la nostra relazione, così come lo è la motivazione perché da soli ognuno di noi forse sarebbe oggi da altre parti: l’intesa è stata fondamentale per superare tante difficoltà e farci rimanere.”
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