Come scrive Daniela Gaudenzi su La Stampa, non soltanto i numeri, di per sé già impressionanti (oltre 8700 dipendenti del ministero degli Interni rimossi; 2745 magistrati fermati, sospesi e poi arrestati) e non solo le immagini raggelanti di prigionieri seminudi, ammassati con le mani legate dietro la schiena, riversi al suolo in spazi asfissianti, che rimandano a situazioni tristemente note; ma anche e soprattutto la singolare prontezza nella redazione delle liste di proscrizione, compilate evidentemente per tempo, il tenore delle accuse che descrivono i magistrati “infedeli” come esecutori delle trame perpetrate dagli Usa dall’ex-sodale di Erdoğan ora paladino dei diritti civili e autoesiliato Fethullah Gülem e, per finire, l’uso deformato e micidiale che il presidente-sultano sta facendo indisturbato dell’investitura popolare, impugnata come una clava contro i più elementari principi dello stato di diritto e delle democrazie liberali, con tanto di “mobilitazione del popolo” che si è precipitato ad invadere le strade e le piazze al suo richiamo e quello dei muezzin suoi provvidenziali megafoni, dicono che Erdoğan è uscito rafforzato dal golpe fallito e può, incotrastato, fare ciò che vuole nel suo Paese, in barba al giudizio internazionale
I provvedimenti repressivi riguarderebbero oltre 3 milioni di persone ed il clima, in Turchia, è già sfociato in atti di violenza armata incontrollata e molti attacchi violenti si segnalano in tutto il Paese contro le minoranze religiose durante le invasioni serali delle folle islamiche nazionaliste, a cui Erdoğan ha chiesto di non abbandonare le piazze.
Altri attacchi sarebbero avvenuti anche contro giornalisti, mentre una ventina di siti web di opposizione sono stati oscurati dalla censura.
In questo clima di tensione alle stelle, Ue e Usa chiedono che la Turchia “rispetti la democrazia, le libertà fondamentali e lo stato di diritto” nella risposta al tentativo di golpe.
Il premier Yildirim (sostenitore devoto di Erdoğan), ha promesso di farlo, ma Erdoğan stesso, incurante dei moniti di USA e Bruxelles, sembra sempre più incline ad un ritorno alla pena di morte.
D’altra parte il sessantenne Binali Yıldırım è ministro di basso profilo, da sempre prono ai voleri di Erdoğan, nominato premier solo per guidare la transizione da un sistema di governo parlamentare a uno presidenziale, in grado di accentrare il potere nelle mani del suo leader.
Oggi, durante la cerimonia del Ventaglio, il Presidente della Camera Laura Boldrini ha detto: “La comunita’ internazionale ha fatto bene a condannare il tentativo di golpe, ma quello che sta accadendo adesso in Turchia ci deve veramente preoccupare: e’ inaccettabile questo giro di vite che sta accadendo, migliaia di persone arrestate arbitrariamente. Non e’ piu’ un modo di fare giustizia e chiarezza, questo e’ repressione ed e’ qualcosa di intollerabile per un paese che dice di voler entrare nell’Unione europea. Bisogna fare pressione sulla Turchia perche’ la giustizia sia fatta secondo il diritto”.
Secondo Angela Mauro con la sua feroce repressione, Erdoğan ha dato scacco sia agli USA che all’Europa, dimostrando di essere di fatto un sultano incontrato nel suo Paese, guida indiscussa di una Nazione, membro della Nato, che è riuscita nel miracolo di chiudere la rotta balcanica di immigrazione da est verso l’Unione Europea, in particolare verso la Germania e per questo tutti lo ringraziano e lo temono.
A sgombrare il campo da ogni possibile equivoco le dichiarazioni della Nato e della Casa Bianca; la prima che recita: “La Turchia è un alleato valido” e la seconda che ribadisce: “Appoggiamo il governo eletto”.
Con questo ennesimo trionfo, Erdoğan sta cogliendo l’occasione per considerare la possibilità di assumere il controllo di tutte le maggiori istituzioni statali e dei mezzi di informazione e questa è la vera tragedia, perché cinque o dieci anni fa il paese sembrava sulla buona strada per diventare una sorta di democrazia, dove l’informazione è libera e regna la legalità.
Quando nel 2002 Erdoğan vinse le elezioni promettendo di eliminare tutte le limitazioni imposte ai musulmani più religiosi da una costituzione rigorosamente laica, sembrava un passo avanti nel processo di democratizzazione.
Erdoğan ha mantenuto quelle promesse, ma gradualmente è andato oltre e ha cercato di islamizzare il paese contro la volontà di metà della popolazione che preferirebbe uno stato laico.
Per sua fortuna, in quel momento l’economia turca era in pieno boom, e quindi ha continuato a vincere le elezioni e a concentrare tutto il potere che poteva sulla sua carica.
Ha estromesso tutti i funzionari che non erano suoi convinti sostenitori, attaccato la libertà di informazione e impegnato il paese a dare il suo appoggio incondizionato ai ribelli islamisti della vicina Siria.
Gli ufficiali dell’esercito che si sono ribellati forse volevano fermare tutto questo, ma hanno commesso un terribile errore, lo stesso che fecero i liberali egiziani quando chiesero all’esercito di rovesciare il regime del presidente eletto Morsi nel 2013.
Il paese aveva un presidente che temeva e odiava, ma aveva anche una democrazia che forniva mezzi legali e pacifici per mandarlo via. L’errore dei golpisti è stato quello di non avere la pazienza di lasciare agire quegli strumenti.
Carlo Di Stanialao
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