Il terrorismo è dilagante e sembra aver vinto la sua battaglia.
Dopo Nizza e Monaco, è di almeno 18 morti e 23 feriti il bilancio di un attentato dinamitardo che ha colpito stamane una cittadina a nord-est di Bagdad, in Iraq.
Alle 22 di questa notte poi, uno scoppio improvviso, dinanzi a un ristorante nel centro di Ansbach, in prossimità di un festival musicale, ha causato 18 feriti e generato nuovo terrore in Germania, colpita da tre attentati in 48 ore.
Davanti a noi c’è un terrorismo “diffuso” che colpisce l’Europa e non solo, accompagnato da episodi di violenza senza matrice politica, ma che alla fine incidono sull’opinione pubblica e la sicurezza di ogni paese. E’ evidente che le reclute non mancano e l’Isis sa come pescarle.
Ed anche se non dovesse esserci un rapporto con il Califfato è evidente che si può “copiare” la tattica e usare il movente: quello della non integrazione.
Dinnanzi a questo quadro deprimente ed allarmante, noi cittadini europei restiamo inermi, timorosi di affermare che esiste una problematica di terrorismo legata ai nuovi giunti in Europa, che hanno la non celata intenzione di modificare la nostra società, per renderla ogni giorno più simile a quella da dove essi originano e che, secondo loro, rimane non solo il migliore, ma l’unico modello di società possibile.
A tutte queste persone la nostra laicità, la libertà delle nostre donne, la parità tra uomo e donna, la legge dettata dal diritto e non dalla religione, il cibo espressione di piacere, così come la musica, le feste, le serate in discoteca e il nostro sistema di istruzione, appaiono come espressioni, non della libertà, ma dello stesso demonio e per queste vanno combattute.
Forse, in effetti, il problema odierno dell’immigrazione e dell’integrazione degli immigrati, non è tanto il fatto che essi rifiutino di far parte della nostra società e della nostra cultura, ma l’evidenza che essi non riescono o non vogliono lasciare la loro cultura di origine.
Molti possono ricordare che però sono cittadini europei, seppur di argine araba, spesso di seconda o terza generazione, gli autori di molti di questi attentati e che quindi il problema non è l’immigrazione.
Tuttavia va sostento che proprio perché abbiamo attentatori di seconda e di terza generazione il nostro allarme deve essere massimo, in quanto non sono bastate due o tre generazioni per integrare nella nostra società questi frammenti di mondo arabo che oggi cercano di farci la guerra dall’interno, ed è questo a nostro avviso il dato più inquietate.
Il tempo non lavora a nostro vantaggio, o al posto nostro, ma abbiamo il dovere di agire oggi per evitare enormi problemi domani. Dobbiamo accogliere chi arrivando in Europa, manifesta il fatto di sentirsi europeo, dobbiamo respingere chi arrivando in Europa manifesta odio contro.
Ieri, il celebre sociologo Zygmund Bauman, in un’intervista al Corriere della Sera, ha cercato di spiegare come combattere il terrorismo, ma soprattutto la paura.
Il coraggio di vivere passa per le scelte dei cittadini e secondo Bauman è l’integrazione e l’inclusione sociale che sono fondamentali per combattere l’Isis.
Ha detto Bauman in questa intervista: “Identificare il problema dell’immigrazione con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi. Prima di tutto, secondo la logica della profezia che si auto-avvera, infiammare sentimenti anti-islamici in Europa, facendo sì che siano gli stessi europei a convincere i giovani musulmani dell’esistenza di una distanza insormontabile tra loro”.
Ed ha continuato: “Dal punto di vista dei terroristi, quanto peggiori sono le condizioni dei giovani musulmani nelle nostre società, tanto più forti sono le possibilità di reclutamento. A questo si aggiunge la stigmatizzazione di interi gruppi in base a caratteristiche ritenute non sradicabili che li rendono diversi da noi, i normali. I governi non hanno interesse a placare le paure dei cittadini, piuttosto alimentano l’ansia che deriva dall’incertezza del futuro spostando la fonte d’angoscia dai problemi che non sanno risolvere a quelli con soluzioni più “mediatiche”. Nel primo genere rientrano elementi cruciali della condizione umana come lavoro dignitoso e stabilità della posizione sociale. Nel secondo, la lotta al terrore.
La pensa così anche Gunther Warlaff, giornalista tedesco spesso al lavoro sotto mentite spoglie, che della Germania ha raccontato i pregiudizi e gli abusi, fino a conquistarsi la fama di “coscienza” della Repubblica Federale.
In una intervista di oggi su La Repubblica parla di paura generata da una isteria collettiva, una isteria che incrementa il razzismo e l’isolamento, che sono elementi che fanno comodo al Califfato.
Egli ci ricorda che il vero problema è che, in Europa, oggi, vi sono ancora troppe persone che si sentono escluse e non solo fra gli immigrati.
Pertanto, solo attraverso l’integrazione sarà possibile bloccare il terrorismo che continua invece a compiere il suo giro, indisturbato.
E va anche ricordato che siamo noi occidentali che abbiamo inventato la democrazia, la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza.
Non esportiamo terrore, esportiamo democrazia e civiltà.
Esattamente in questa maniera sono nati gli Stati Uniti d’America: un gruppo di coloni sbarcò nelle “Indie occidentali” nel corso del XVI secolo avviando un processo di civilizzazione della “nuova terra”, ma come rendere civile una società “primitiva” come quella dei nativi americani? Ovviamente sterminando tutti ed esportando democrazia.
Ne siamo certi, l’obiettivo era civilizzare gli indigeni, non di certo prendere il possesso delle riserve auree e delle miniere di diamanti a loro in uso.
Ciò tuttavia i nostri nipoti, gli Americani, dopo la seconda guerra mondiale hanno probabilmente superato la loro nonna Europa e continuato il virtuoso meccanismo di esportazione della democrazia nel mondo.
Come notava già un anno fa Beniamino Piciullo, i terroristi sono tutt’altro che religiosi, non sono islamici, sono “poveri disperati”, distrutti dalla guerra, distrutti dal dolore di non avere più una terra dove vivere, una famiglia da amare, un lavoro dignitoso ed un dignitoso riconoscimento sociale. Che non si fraintenda, non si vuole generalizzare, non sarà così per tutti, ma probabilmente il “primo terrorista” è venuto fuori proprio da questo mix di frustrazione ed odio verso l’Occidente ed Allah faceva parte solo di un background di marginale rilevanza.
Carlo Di Stanislao
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