“ciao…l’hai sentito?”
“si” rispondo con la voce rotta dall’emozione… “si”.
Non aggiungo altro, non riesco ad aggiungere altro, ho gli occhi umidi e una sensazione di impotenza mi invade. Piango, senza indugio, senza pudore, volutamente per liberare la tensione e l’angoscia intrappolata dentro di me che da alcuni mesi, quasi ogni giorno, si ripresenta.
“Non ti preoccupare, stai tranquilla, cerca di dormire! Speriamo non ce ne siano altre questa notte!”.
Rimango scettica, confusa, sento una sensazione di disagio. Sono a casa, nel luogo che dovrebbe farmi sentire protetta, dove la paura dovrebbe attenuarsi e lasciare spazio alla tranquillità, alla sicurezza, ma neanche la rassicurazione della mia amica Rosanna riesce a sedare la mia ansia, a farmi stare tranquilla! Mi guardo intorno, seduta nella mia bergère che mi fa stare comoda. Osservo attentamente la mia bella casa con le luci soffuse, in penombra, accarezzo con sguardo malinconico ogni oggetto. Che belle le mie lampade di cristallo così raffinate e leggere con la loro luce! Le guardo ogni sera e sempre le ammiro felice per averle poggiate proprio li, sul mobile verde, vicino al vassoio d’argento regalatoci quando io e Claudio ci siamo sposati! E le potiches blu cobalto mi riportano indietro negli anni.
“Ti piacciono cara? prendile sono tue”. Che felicità e che onore!.
Era la baronessa Vanna Santucci in persona a regalarmele!
“Grazie ma non posso accettare” dissi con voce timida.
“Sono tue, ti prego di prenderle, sono felice di donarle a una giovane sposa e poi Libera e Piero sarebbero molto felici di sapere che le ho donate a te!”.
Vanna era una donna alta, magra, con bellissime mani che muoveva con molta eleganza. I suoi bracciali d’oro creavano un tintinnio che non disturbava mai nonostante si sentisse continuamente, al contrario, rendevano l’atmosfera leggera, festosa! Era elegante, il naso incipriato, un sorriso accattivante e una vocina infantile nonostante i suoi ottanta anni! Veniva a farci visita a L’Aquila quando si recava alla sua villa di Navelli dopo che suo fratello, il barone Piero Santucci e sua moglie Libera riposavano nel piccolo cimitero del paesino.
Zio Italo la invitava a casa Gasbarri e lei accettava sempre volentieri felice di trascorrere una giornata nella nostra casa dove l’ospitalità era una vera e propria priorità. Ogni volta si presentava con un dono per mio figlio Franco, un pacco gigantesco che incuriosiva anche noi adulti. Quando con eleganza lo scartava, l’attesa, il desiderio e l’immediata felicità creavano ogni volta una magia! Si divertiva lei stessa a vedere Franco agguantare con le manine i peluches e rincorrerli nella grande sala da pranzo. Che allegria quel giorno con i due coccodrilli rosso e verde che correvano in direzioni diverse!
“Grazie Vanna così lo vizi” le dicevo.
Mi rispondeva ridendo con la sua vocina incantevole “io cara sono stata molto viziata da bambina dai miei genitori e sono stata sempre felice! Perché privarci di ciò che ci rende felici quando possiamo averlo?”
Ormai Franco si aspettava sempre un regalo e le correva incontro ogni volta che veniva a farci visita e lei non lo deludeva mai. Arrivava sempre con entusiasmo, col suo dono fatto col cuore!
Eccoli, li sto osservando, eleganti, belli, ognuno di loro suona uno strumento e sono sul comò davanti a me! Li guardo con tenerezza come fossero animati, li accarezzo con lo sguardo, con affetto. Ho rispettato e mantenuto la loro posizione, tutti uniti su un comò del settecento nella mia casa di via Rustici a L’Aquila, come una piccola orchestra che suona idealmente sempre per me, per loro!
Quando andai per la prima volta nella villa di Navelli dei Baroni Santucci mi sembrò di essere sul set di un film dove la scenografia trionfa superba. Piero mi descriveva con dovizia di particolari tutte le stanze, dalle antiche scuderie, alle cucine piene zeppe di pentole di rame sulle antiche mattonelle, le tante e tutte diverse camere da letto con tendaggi pregiati, letti in ferro battuto e madreperla, baldacchini di legno e stoffe di seta, saloni maestosi con tavoli, argenteria pregiatissima e posate d’argento con lo stemma di famiglia! Ogni oggetto ricco di storia. A pranzo un’atmosfera che mi sbalordiva e meravigliava con Armandino che ci serviva a tavola in maniera impeccabile! Osservavo attentamente ogni cosa con stupore, tutto per me era nuovo e ne subivo il fascino; ascoltavo e sorridevo timidamente e mi guardavo bene dal proferire parola, avevo paura di sbagliare, di dire cose banali e superficiali data la mia giovane età, mi limitavo soltanto ad ascoltare e fare qualche domanda. La signora Libera aveva per me una simpatia particolare “è una bella e brava ragazza la fidanzata di Claudio ed è anche intelligente” disse un giorno ad Anita!
“Che bello quest’orologio” le dissi.
Qualche mese più tardi, prima del mio matrimonio con Claudio, Libera e Piero, che sarebbero stati i nostri testimoni di nozze, vennero a farci visita con un grande pacco!
Era il loro regalo per noi!
Accarezzo con lo sguardo l’orologio francese nel mio salone sul comò del settecento! Non posso fare a meno di osservarlo a lungo, fissarlo con amore, con gli occhi lucidi! Penso a Libera e Piero. Tutto è dentro di noi, nulla muore veramente, anche i puttini di Vanna sono li, vicini, suonano per me, per loro.
Mi commuovo.
Quando vidi la prima volta la casa di via Rustici a L’Aquila, rimasi colpita dalla bellezza della facciata del cinquecento e anche se la casa all’interno era un disastro dissi a Claudio che mi sarebbe piaciuto ristrutturarla. Vivevamo in quel periodo in casa Cagnoli, eravamo sposati da qualche anno e sentivamo il bisogno di andare a vivere in una casa tutta nostra.
“Carissima, dovete farvi una casa tutta per voi” mi consigliava la signora Libera.
Mi innamorai della casa di via Rustici al centro della città. Mio suocero ce la donò.
“Mamma, io e Stefano usciamo”, mio figlio Franco mi riporta alla realtà.
“Dove andate?”
“facciamo un giro”
“torna presto mi raccomando, state attenti”
“vai a letto mamma…buonanotte”
Franco esce con Stefano il suo amico bassista con il quale ogni domenica fa le prove, è un musicista. Ha una passione per la scrittura e la musica fin da piccolo e la casa custodisce insieme a noi i nostri interessi artistici, e rende tutto più bello e affascinante! Le tantissime serate di Franco con gli amici, il camino acceso, creano ogni volta un’atmosfera magica, irripetibile. Adoro la sua passione e la sua creatività. Le note della sua musica accompagnano ogni istante della mia giornata da anni, salgono nei piani più alti della casa e spesso rimango ad ascoltare sognante le sue note senza che lui se ne accorga!
Gli oggetti immersi in questa dimensione magica sembrano ringraziare!
Non vado a letto, ho troppa paura. Prendo immediatamente una decisione, rimango sveglia tutta la notte! Guardo distrattamente la televisione, non ho sonno, sono irrequieta, in ansia. Eccolo di nuovo, la paura mi paralizza, tutto intorno a me trema, non riesco a muovermi! Squilla il telefono “ho paura…ho paura” rispondo piangendo. “Sei sola” mi chiede la mia amica “si Franco è uscito” “allora vieni subito qui ti aspetto”. Scendo di corsa le scale, vado verso piazza San Silvestro dove da mesi parcheggio la mia macchina e vado verso l’Istituto ex Onpi, c’è la mia amica Brunella, mi viene incontro in silenzio, abbiamo tutto stampato sui volti che si interrogano.
Piango.
Arriva Fabrizio, il dirigente dell’istituto, sono preoccupati per gli ospiti che sono li, tante persone anziane sedute nella reception.
Vado verso di loro e mi metto a parlare. Sono tutte li, in silenzio. Parlare con loro mi da coraggio, hanno un atteggiamento composto e dignitoso, i loro volti rugosi, le loro solitudini mi fanno pensare alla loro vita, immagino i loro volti giovani, mi piacerebbe conoscere le loro storie, il loro vissuto! Provo nei loro confronti rispetto e tenerezza. Parlare con loro mi tranquillizza, sono li, sembra non abbiano più nulla da temere. Hanno affrontato tutta una vita e ora attendono.
Prendo coraggio da loro. Rimango lì fino alle due e trenta circa.
“torniamo nelle nostre case, forse per questa notte non ce ne saranno altre”
“Ciao”, ”ciao”, non aggiungiamo nulla, prendiamo le macchine e percorriamo un pezzo di strada insieme, fino all’incrocio, poi il saluto al semaforo con un cenno della mano e gli occhi lucidi, non sappiamo cosa ci attende.
Sono di nuovo sola, mi chiedo se troverò a casa Franco, mi sentirei più tranquilla.
Parcheggio la macchina come faccio prudentemente da mesi su un lato della chiesa di San Silvestro, verso il viale, e con passi insicuri e frettolosi corro verso casa.
“Franco ci sei?” non ottengo risposta!
La paura dentro casa non mi abbandona un istante, mi siedo, accendo il televisore, ma non riesco a vedere e sentire nulla, sono troppo tesa. E’ molto tardi.
Tengo la borsa molto vicina e poggio il telefonino sull’altra poltrona pronto se dovesse squillare.
Accarezzo con lo sguardo la mia casa, gli oggetti che tanto amo con un senso di frustrazione e angoscia. Inizio a provare per loro una tenerezza e ho la sensazione di un amore che ci fa soffrire, che non si vorrebbe mai lasciare.
Tutto tace.
Passa quasi un’ora, sento dei passi e la porta di casa aprirsi! Finalmente Franco, sta entrando.
“Dove sei stato?, l’hai sentito?, con chi eri?, che avete fatto?, hai avuto paura?”
“Mamma, sono le tre e venti sei ancora sveglia? Perché non vai a dormire? Si l’abbiamo sentito, non ti preoccupare, stai tranquilla, sei sempre più ansiosa, vai a dormire! Io rimango ancora un po’ allo studio”.
“No, non vado a letto, rimango qui tutta la notte, se mi addormento non ti preoccupare!
“Va bene ”.
Eccolo, di nuovo, il mostro arriva, scuote la casa, le pareti si muovono tutte, non si fermano! “Dio mio, Dio mio”.
Scatto in piedi ma non posso muovermi, oscillo, urlo con tutto il fiato che ho in gola “Franco, presto, ci crolla la casa addosso, scappiamo nella scala tonda!”.
Il pavimento si muove, le pareti del salone si spostano verso di me, mi vengono addosso, rimango impietrita, il boato mi terrorizza.
E’ la fine.
Afferro la borsa, non c’è tempo, gli oggetti cadono, il rumore si unisce al boato, non riesco nemmeno a stare in piedi, le pareti si spaccano sento che la casa sta per crollare!
“Corriamo presto, mettiamoci li, al riparo!” Un vortice, un mostro che si sprigiona dalle viscere della terra mi annienta, ho le ginocchia fragili, sento il cuore impazzire, forse non ce la faccio.
E’ finita!
Corro, urlo, inciampo, mi rialzo, scendo le scale, trovo Franco.
Scioccato, bianco come un panno lavato, non dice nulla. La scala tonda ci protegge, il mostro si placa.
Apriamo immediatamente la porta di casa e usciamo impauriti!
Un mare di polvere, massi di pietra, detriti, ragazzi e ragazze universitari sconvolti, in pigiama, scalzi, infreddoliti con volti polverosi e figure che non riusciamo nemmeno a distinguere, tutti con lo stesso terrore.
Si abbracciano con Franco, si fanno coraggio ma io urlo “scappiamo giù, qui è pericoloso, ci sono i crolli, potremmo essere colpiti” Corriamo tutti terrorizzati e arriviamo allo slargo di viale Don Bosco piangendo, molti ragazzi cercano di telefonare ai genitori ma la linea telefonica non funziona, solo alcuni fortunati ci riescono!
La città è al buio completo, immersa nella polvere e nel terrore. Tremo tutta, non riesco a fermarmi.
Iniziano ad arrivare altre persone dalle case vicine, tutte scioccate, incredule! Franco sempre più bianco e indifeso. Parla con i ragazzi, si interrogano con gli occhi! Abbraccio una studentessa di Teramo che abita nella casa accanto alla mia, sta cercando di mettersi in contatto con i genitori.
Rimaniamo lì, al freddo, immersi nella polvere, intirizziti e tremanti! Non riusciamo a capire nulla, non arriva nessuno a soccorrerci, a dirci qualcosa!
Non passa nessuno, siamo in balia della notte, dei pianti e lamenti.
Franco inizia a urlare “Dio non esiste, Dio non esiste!”, “Ragazzi, Dio non esiste!”.
Mi commuovo, è scioccato, ora comincia la sua reazione! Lo abbraccio, gli dico di stare tranquillo, ma all’improvviso mi dice “torno a casa, a prendere le mie chitarre!”, “ti prego” gli urlo “non andare, è pericolosissimo, lasciale li!”. “No” mi grida “se muoiono le mie chitarre vorrà dire che morirò con loro” e si allontana verso casa.
Piango, mi dispero, sono consapevole del pericolo che corre, la terra continua a tremare temo per la sua vita. Mi sento chiamare da una macchina. E’ Maria Laura con Ennio, “andiamo a vedere se Giuliano sta bene, a piazza San Silvestro c’è Daniela”.
Mi faccio coraggio, percorro di tutta fretta via dei Porcinari, arrivo alla piazza, vedo moltissime persone infreddolite e sconvolte, tanti amici terrorizzati.
Dei ragazzi universitari stanno cercando di salvare un signora da una casa, si arrampicano su una scala e la chiamano dalla finestra ma non si ode risposta.
Passano dei minuti terribili per me perché il pericolo che corre Franco è altissimo, la terra continua a tremare, ci sono case crollate, cornicioni pendenti dai tetti, mucchi di pietre a terra.
Eccolo, lo vedo spuntare con due chitarre nelle custodie. Mi precipito verso di lui e decidiamo di metterle in macchina al sicuro. In quel momento passa Maria Grazia, abita anche lei nella mia zona e insieme al compagno sta andando a Caporciano. Ci salutiamo con grande affetto contente di essere vive! I nostri occhi rimangono lucidi!
Cerco in tutti i modi di mettermi in contatto con Paganica e con Claudio che è a casa di Anita ma su questo fronte nulla da fare, le linee sono interrotte!
Continuo a tremare, senza sosta, allora Franco mi abbraccia e mi urla “mamma, smettila di tremare! Fermati!”. “Non posso “ rispondo “tremo e basta non dipende da me!”
“Oh Dio mio, è crollato l’Hotel Duca degli Abruzzi!”
Avevamo salutato, io e Claudio, parenti ed amici la sera del mio matrimonio, proprio nella bellissima sala di questo albergo! Una cena con una visione notturna sulla città che mozzava il fiato tanto lo scenario era bello, faceva sognare! Come ero felice, stavo vivendo il mio sogno d’amore!
L’albergo è accasciato, distrutto e il freddo rende questa scena irreale. Guardo tutto sempre correndo senza fermarmi, con dolore rivivo la sera del mio matrimonio e mi rivedo dentro l’albergo nella stanza dove io e Claudio trascorremmo la prima notte di nozze.
Torno subito alla realtà.
Senza rallentare, arriviamo trafelati al ponte “attenti ragazzi” urlo, “corri corri Franco” lo precedo tanta è la paura. Mi sembra che correre davanti a lui possa proteggerlo!
Il ponte è tutto spaccato, rotto, non so se si può attraversare! A metà ponte continuo a gridare “Presto, presto, qui è pericolosissimo potrebbe crollare”. Arrivare dall’altra parte è un’impresa che mi spossa. La paura e la tensione lo fa sembrare ancora più lungo!
Siamo dall’altra parte.
La situazione è desolante! Palazzi spaccati, tetti crollati, gente che si dispera e piange. Ci imbattiamo in un gruppo di persone tutte infreddolite, spaventate e tremanti. Scambiamo qualche parola in maniera concitata e corriamo verso casa di Anita. Viale Niccolò Persichetti è completamente al buio, i grandi palazzi sono tutti lesionati, rotti, anche qui solo desolazione. Tutti tremano dal freddo. Franco fa uscire Claudio e Anita dallo studio e ci mettiamo insieme a tante altre persone allo slargo che si crea all’incrocio con via XX Settembre.
“E’ crollata la casa dello studente” urlo di nuovo.
Si vede l’interno delle stanze, si odono pianti, grida soffocate. Iniziano ad arrivare i soccorsi, iniziano a sentirsi le sirene delle ambulanze, i fotografi. Vediamo tirare fuori ragazzi feriti, una realtà che mi strazia il cuore e mi rende impotente. La tensione è fortissima, anche la commozione, non ce la faccio è veramente troppo da sopportare, vite e famiglie distrutte per sempre!
Dal terrazzo della casa di Anita, quando abitavo in casa Cagnoli, vedevo la Casa dello studente e tantissimi ragazzi e ragazze alternarsi in quella casa! La sera le loro stanze erano sempre illuminate fino a tarda notte, a volte fino alle prime luci dell’alba!
In alcune finestre non c’erano le tende e potevo osservare la vita che si svolgeva all’interno. Vite dinamiche, serate con amici, serate di baldoria e giornate di studio intenso in piena solitudine. Non ne conoscevo nessuno personalmente ma conoscevo i loro ritmi, le loro abitudini e la loro gioia di vivere, quella di quando si è giovani, lontano dalle famiglie quando tutto è permesso, percepivo la gioia della condivisione della libertà ritrovata.
E poi l’ora della mensa e il chiasso, il vociare.
A volte il mio sguardo si incrociava con quello di un ragazzo o ragazza che era nella stanza e percepivo che anche loro conoscevano le mie abitudini.
C’è Stefania che mi grida “Bruna Dante è morto!”. Cerco di farle coraggio, le dico che sicuramente si sta sbagliando che non le risponde a telefono perché le linee sono interrotte, ma di fronte abbiamo tutta la parte di casa dove abita crollata! Sembra bombardata! Sarà riuscito a scappare oppure è stato travolto dal crollo? Non riusciamo a capire nulla. Dico a Stefania che forse Dante è scappato e non ha il telefonino. Ma lei ha un brutto presentimento e tutte le mie rassicurazioni non calmano la sua angoscia che diventa sempre più grande man mano che passa il tempo e non lo vede arrivare! I Vigili del Fuoco iniziano a controllare, a scavare le macerie, tutti siamo in apprensione! Tirano fuori delle persone, dei giovani, non sappiamo se sono feriti o morti e ci disperiamo, ci commuoviamo! Verso le cinque del mattino arriva Roberto Gasbarri che ci invita ad andare nella sua casa di legno a Sassa. Decido di rimanere lì, l’angoscia per le mie nipotine mi rende impotente, voglio cercare di mettermi in contatto con loro a tutti i costi.
L’alba è vicina, le luci rendono lo scenario spettrale! C’è un’atmosfera fredda, impregnata di desolazione, tutto sembra fermo, immobile, i crolli delle case e dei palazzi mi inducono ad andare avanti, a cercare con la mente Greta, Angelica e Vittoria.
Vago, penso a loro e ai miei fratelli e sorelle dei quali non so ancora nulla. Mi incammino verso via XX Settembre, passo davanti ai negozi con le saracinesche abbassate e le pareti tutte spaccate. Ecco la casa di Annarita.
“Bruna, siete invitati a cena per il ventisei dicembre a casa dei miei genitori. Seguirà una tombolata con i premi della casa!” Era Paola Bellisari al telefono a invitarmi.
Ci eravamo conosciute da poco su un set cinematografico dove dovevamo interpretare delle dame ottocentesche con bellissimi costumi d’epoca per il film “D’Annunzio”, la regia di Sergio Nasca interpretato da Robert Powell, Stefania Sandrelli e altri attori bravissimi.
Un film sulla figura giovanile di Gabriele D’Annunzio e la sua relazione con Elvira Fraternali Leoni, detta Barbara.
Molte scene girate nei bellissimi palazzi Aquilani con l’arredo ottocentesco.
Da allora gli inviti a cena erano frequenti, eravamo diventate amiche.
Ogni volta rimanevo stupita dalla cura con la quale Paola, Annarita e i genitori ricevevano gli ospiti, sempre attenti ad ogni particolare,
un’ ospitalità davvero straordinaria.
Mi commuovo! Provo malinconia e dolore!
La strada è completamente deserta, sono sola.
Mi chiedo dove siano, se stanno bene, lo scenario è tristissimo, la polvere avvolge le case e sembra non volerle lasciare, il chiarore dell’alba crea un grigiore di morte e desolazione. Arrivo all’incrocio.
al Grande Albergo incontro Francesco Carli, lo saluto con affetto, gli dico che sono preoccupata per le mie nipotine e lui con le lacrime agli occhi mi dice “io ho perso una sorella, Annamaria”, lo guardo annientata, la realtà inizia a manifestarsi nella sua crudeltà più terribile, la morte degli affetti più cari, dove il mostro lascia la sua traccia più forte e terribile.
Saluto Francesco. Sono commossa, scioccata dalla notizia.
A piazza Duomo ci sono molte persone, parlo con alcune di loro. Incontro di nuovo Daniela, mi dice che Gianni Properzi è rimasto intrappolato in casa ed è sceso dalla finestra calandosi con un lenzuolo. L’immagine della bellissima chiesa delle Anime Sante completamente sventrata mi costringe a sedermi e fermarmi, Dio mio che disastro! Sono stanca, tutte queste emozioni mi indeboliscono mentalmente e fisicamente. Credo di aver bisogno di aiuto, sto male, non ce la faccio, mi sento svenire. Mi faccio forza, attraverso il corso cercando di passare al centro per evitare i crolli e le pietre che lo hanno invaso. Il centro città è completamente disastrato, noto pareti completamente sventrate, cornicioni venuti giù. Penso a mio figlio che tornava sempre a casa a piedi la sera e al pericolo corso.
Alzo gli occhi verso il palazzo dove vivono Giansaverio e Annarita Cappa, mi chiedo dove siano, se stanno bene. Arrivo alla fine del corso grande e devo stare attenta, l’angolo ha il cornicione del palazzo completamente rotto alcuni pezzi molto grandi sono già a terra!
Arrivo a Piazza Palazzo passando su un cumulo di macerie lungo tutta la strada.
C’è Eva, Giulia, ci salutiamo, tutte abbiamo gli occhi lucidi. Più giù incontro Paola e Carlo, ci abbracciamo, la loro bellissima casa non ha più il tetto, è crollato. Carlo è ferito ai polsi, sanguina, è stato graffiato dal suo cane, impaurito, nel tentativo di salvarlo.
Penso alle tantissime volte che ho accompagnato la mia amica Paola a Roma per scegliere con cura e attenzione tutto ciò che serviva per l’arredo del suo appartamento in uno dei palazzi più grandi e belli della città, ai consigli scambiati con lei per il timore di sbagliare nelle scelte. Conoscevo tutto nei dettagli, la bellezza della casa, i mobili, quasi tutti di famiglia, gli oggetti, i tessuti, mi torna alla niente l’impegno costante di Paola durante la ristrutturazione! Il piacere di essere invitata costantemente insieme a tanti amici, la gentilezza e la generosità dei padroni di casa. Il privilegio di essere affacciati dalle finestre che davano su piazza Palazzo durante l’apertura della Perdonanza Celestiniana, guardare dall’alto l’arrivo della fiaccola partita dall’Eremo del Morrone portata dal tedoforo e l’accensione del Tripode posto sulla torre civica di Palazzo Margherita.
Il mostro avvolge tutto nella distruzione! Paola mi dice che andrà da Franca a Santa Maria.
Incontro Nicola, un amico al quale chiedo se mi fa telefonare a Paganica per cercare di contattare i miei cari ma nulla, non ci riusciamo. “Nicola ti prego, accompagnami a casa, devo riprendere il mio cellulare per sapere cosa è successo alle mie nipotine!”, “si andiamo di corsa, ma stiamo attenti è molto pericoloso” mi risponde. Corriamo come pazzi cercando di non inciampare alle pietre gigantesche che sono sul percorso saliamo su via Accursio arriviamo a piazza Santa Maria Paganica e lo scenario che vediamo è da brividi. La Chiesa è completamente sventrata, crollata, il tetto non c’è più sembra bombardata! Li, seduta ai bordi della fontana c’è Emanuelita come uno zombi, l’abbraccio, non sa cosa dire, non sa cosa fare, è scioccata e mi preoccupo per lei, per fortuna c’è Giorgio. Li saluto e continuo insieme a Nicola la corsa verso casa passando per via Garibaldi. Quasi tutte le case hanno i tetti e i cornicioni crollati, la strada non è percorribile, sentiamo ancora la terra tremare diverse volte e siamo veramente in pericolo. Attraversiamo la strettissima via delle Streghe di tutta fretta e finalmente a via Rustici apro la porta di casa con la mano che trema, dico a Nicola di far squillare il mio cellulare. Salgo velocemente in camera a prendere il mio computer portatile, un paio di scarpe e i pantaloni per Franco.
La casa ha tutti i mobili rotti, gli armadi aperti hanno fatto riversare sul pavimento piatti vestiti e tutto ciò che contenevano all’interno, vetri rotti, pareti spaccate ma non ho tempo per guardare tutto, Nicola mi urla che ha recuperato il telefono di scendere di corsa perché non c’è più tempo.
Siamo al sicuro! Saluto Nicola, che amico, non dimenticherò mai il suo gesto di generosità! Gli sarò sempre grata. Scorro velocemente le chiamate sul mio cellulare con grande ansia e leggo il messaggio “Siamo a Paganica al campo sportivo, stiamo tutti bene, ti aspettiamo”.
Piango.
Sono sfinita ma finalmente l’ansia che dalle tre e trentadue mi accompagna si placa.
Vado a Paganica, il mio unico pensiero e di abbracciare tutti e stringerli forte a me!
Finalmente vedo le mie amatissime nipotine, sono in macchina insieme ai genitori, le abbraccio commossa, piangendo, le stringo forte, non mi stanco di baciarle e sentire le loro vocine che ripetono in continuazione sempre le stesse cose, all’infinito.
Greta la più grande ha otto anni mi racconta tutta concitata “zia, abbiamo sentito il terremoto, mamma ha abbracciato me, papà Angelica e Vittoria, siamo scappati ma quando siamo usciti il cancello di casa non si apriva, per fortuna è arrivato Andrea, ci ha abbracciate e fatto scavalcare il cancello!”; Angelica cinque anni con la sua vocina tranquilla che la caratterizza “il terremoto zia, c’è il terremoto! Zia Lovorca diceva oh Signore mio, questo non doveva succedere”, continua a congiungere le manine e ripetere “questo non doveva succedere”; Vittoria la più piccola, di soli due anni, mi guarda con i suoi bellissimi occhi azzurri impauriti, preoccupati, sembra non voglia dire nulla e invece senza staccare gli occhi dai miei dice in continuazione “moto, moto”.
Lascia un commento