“Sei grande come la causa che promuovi, diventi piccolo se promuovi te stesso” (Shimon Peres). “Che bello sarebbe lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato!”(Papa Francesco). È ciò che ha fatto il Presidente Shimon Peres, premio Nobel per la Pace per essere stato uno degli artefici degli Accordi di Oslo nel 1993. L’uomo che ha fatto avanzare il progetto della bomba nucleare israeliana. L’ultimo dei padri fondatori e patrioti di Israele, Shimon Peres, 93 anni, è tornato nella Casa del Padre dopo due settimane di ricovero in seguito ad un ictus.
A Gerusalemme, Peres riposa tra i Grandi della Nazione nel cimitero del Monte Herzl. “Guardate al domani – insegnava Shimon Peres ai suoi figli – e battetevi sempre per la pace”. Shimon Peres, mancato Mercoledì mattina 28 Settembre 2016, è stato uno statista israeliano di levatura internazionale. Ha servito alla Knesset, il Parlamento Israeliano, per oltre 50 anni, e durante la sua lunga carriera ha ricoperto molti incarichi ministeriali, tra cui quelli di Primo Ministro e Ministro degli Esteri, ed è stato il nono Presidente dello Stato di Israele. “La cosa più importante nella vita è osare. La più complicata del mondo è avere paura. La più intelligente è provare a vivere secondo la morale”.
È seguendo questi princìpi che ha vissuto Shimon Peres (1923-2016) venuto a mancare al Tel HaShomer Medical Center di Gerusalemme. Peres, l’ultimo esponente della generazione dei padri dello Stato ebraico, è stato parlamentare per 48 anni consecutivi, ministro in 12 gabinetti di cui due da capo del governo, per poi essere eletto nel 2007 come capo dello Stato. Colonna del partito laburista da lui fondato, eterno avversario nella sua leadership di Ytzhak Rabin, con cui alla fine ha vinto il premio Nobel per la Pace, da anni promotore di iniziative in favore del dialogo e dello sviluppo delle relazioni, ma soprattutto volto storico di Israele, uno di quelli che lavorò alla sua fondazione dagli albori. “Il contributo più grande degli ebrei alla storia è l’insoddisfazione – diceva Shimon Peres – siamo una nazione nata per essere insoddisfatta. Qualunque cosa esista crediamo possa essere resa migliore”. Cordoglio alla famiglia e agli amici di Shimon Peres, al Governo e al Popolo di Israele, dal Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin che scrive: “Shimon Peres won broad respect in Israel and internationally for his many years of hard work as president and prime minister of Israel. I was extremely lucky to have met this extraordinary man many times. And every time I admired his courage, patriotism, wisdom, vision and ability to get down to the essence of the most difficult issues. Shimon Peres will be remembered in Russia as a consistent advocate of friendly relations between Russia and Israel and a man who greatly contributed to the strengthening of bilateral cooperation”. Il Presidente Reuven Rivlin ha espresso la sua profonda tristezza per la scomparsa dell’ex Presidente di Israele ed ex Primo Ministro Shimon Peres. Il Presidente Rivlin dichiara: “A poca distanza dal luogo in cui mi trovo in Ucraina, nella città di Višneva, Bielorussia, è nato Szymon Perski, che crescendo divenne un giovane con grandi sogni. Da qui, dall’Europa orientale, emigrò in Terra di Israele, e da allora non ha mai cessato di lavorare per il bene del movimento sionista, per il bene dello Stato di Israele e del popolo di Israele. Non vi è un capitolo, nella storia dello Stato di Israele, in cui Shimon non abbia scritto o svolto un ruolo. Da solo egli ha mosso un’intera nazione sulle ali della immaginazione, sulle ali della visione. Un uomo che è stato un simbolo per il grande spirito di questo popolo. Shimon ci ha fatto guardare lontano al futuro, e noi lo amavamo. Lo amavamo perché ci ha fatto osare immaginare non ciò che una volta c’era qui, né ciò che c’è oggi, ma ciò che potrebbe esserci. Questo è un giorno triste per il popolo israeliano e lo Stato di Israele. Tutti noi chiniamo il capo alla notizia della sua dipartita. Serberò con me il suo ricordo, la sua stretta di mano, i suoi consigli che ha sempre dispensato con amore, e in particolare il suo spirito di speranza che ha infuso in questo popolo. Lo spirito di speranza e di pace, che è stato il suo percorso e il suo desiderio. Oggi chiniamo il capo per la scomparsa del Presidente Shimon Peres”.
La vita di Peres è inscindibilmente intrecciata con la storia del Paese ebraico, sin dal lavoro svolto assieme a David Ben Gurion, il primo Capo di Governo, fino al suo mandato da Presidente dello Stato. “Incommensurabile è stato il contributo del Presidente Peres alla costruzione del nostro Stato, e il suo ricordo resterà con noi per sempre”, scrive Ofer Sachs, Ambasciatore d’Israele in Italia.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu rilascia la seguente dichiarazione: “Siamo addolorati oggi per la scomparsa del nostro caro e amato Shimon Peres. Shimon ha dedicato la sua vita alla nostra nazione e alla ricerca della pace. Ha rivolto il suo sguardo al futuro. Ha fatto molto per proteggere il nostro popolo. Ha lavorato fino ai suoi ultimi giorni per la pace e per un futuro migliore per tutti. Come Presidente di Israele, Shimon ha fatto tanto per unire la nazione. E la nazione lo amava per questo. Poche persone hanno dato un contributo simile al nostro popolo e al nostro Stato. Ho incontrato Shimon 40 anni fa sulla tomba di mio fratello Yoni, che cadde guidando i suoi uomini per salvare i nostri ostaggi a Entebbe in Uganda. Non dimenticherò mai il calore che Shimon mostrò a me, a mio fratello e ai miei genitori in quel nostro momento di grande dolore. Solo pochi giorni fa, alle Nazioni Unite, ho augurato a Shimon una pronta guarigione dal cuore di tutti gli israeliani e di tante persone in tutto il mondo. Noi tutti abbiamo pregato che Shimon, con la sua forza unica, il suo vigore unico, potesse in qualche modo venirne fuori, potesse in qualche modo tornare con noi. Con mio grande dispiacere, questa preghiera non è stata ascoltata. Ora Shimon Peres ci ha lasciati. Ma non lascerà mai i nostri cuori e la nostra memoria. Il suo nome sarà per sempre inciso nella storia della rinascita del popolo ebraico, come uno dei nostri grandi leader, come uno dei padri fondatori dello Stato di Israele”.
L’uomo della pace, protagonista in politica dalla nascita di Israele nel 1948, ministro, premier e presidente, esponente del Partito laburista, Peres passò da “falco” a “colomba” a partire dal 1977. Nato in Polonia ed emigrato da ragazzo in Palestina, entrò in politica dopo aver conosciuto per caso Ben Gurion facendo l’autostop! Spirito indomito, nonostante le diverse sconfitte elettorali si rialzava ogni volta. Centrale il suo impegno negli accordi di Oslo e il conseguente premio Nobel per la Pace del 1994, ricevuto assieme a Rabin e Arafat. Lui, che in precedenza aveva rifiutato qualsiasi compromesso con i Paesi arabi ostili ad Israele e autorizzato le prime colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata, aveva poi compreso che l’obiettivo doveva essere chiaro: due Stati, Israele e Palestina, che convivono in amicizia e cooperazione. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, era proseguito il suo impegno per il dialogo con la sua fondazione. Forti i contrasti con Netanyahu, negli anni crebbe sempre più la sua fama di uomo della riconciliazione. Shimon Peres era nato a Višneva, un paesino bielorusso che all’epoca apparteneva ancora alla Polonia, con il nome di Shimon Perski. Suo padre Yitzhak era un ricco commerciante di legname mentre sua madre Sara era una libraia. Il padre emigrò nel 1932 nell’allora Palestina mandataria e la sua famiglia lo seguì nel 1934, insediandosi a Tel Aviv cinque anni prima dell’occupazione della Polonia da parte dei nazisti, mentre i suoi parenti che vi rimasero morirono tutti nelle persecuzioni della Shoah. In un’intervista del 2003, Peres parla della sua infanzia: “Da bambino, sono cresciuto nella casa di mio nonno e sono stato istruito da lui. Mi insegnò il Talmud, e non era così facile come sembra. Casa mia non era osservante, i miei genitori non erano ortodossi, ma io ero haredi”. Nel 1947 Shimon fu arruolato nell’Haganah, il nucleo delle future Forze di Difesa Israeliane, scelto da Ben Gurion insieme ad altri giovani. Fu proprio Ben Gurion a nominarlo responsabile per il personale e l’acquisto delle armi. Nel 1948, Peres servì poi come capo della Marina durante la guerra di indipendenza del nuovo Stato israeliano, in seguito alla quale diventò direttore della delegazione del Ministero della Difesa negli Stati Uniti d’America, incarico grazie al quale ebbe occasione di studiare alla New York School for Social Research e ad Harvard. Nel 1953, a 29 anni, fu nominato anche direttore generale del Ministro della Difesa, il più giovane ad aver mai ottenuto questa carica. Il suo compito era ancora quello di acquistare armi per il giovane Stato di Israele, ottenendo diversi successi militari tra cui la Campagna del Sinai. Nel 1945 Shimon si sposò con Sonia Gellman, la sua fidanzata fin dal liceo, con cui costruì una casa nel kibbutz Alonot, di cui i due furono tra i fondatori. Insieme, negli anni che seguirono, ebbero tre figli: Tzvia, oggi filologa, Yoni, veterinario, e Nehemiah, ingegnere e fondatore di una società di “venture capital”, che a loro volta hanno dato loro otto nipoti e tre bisnipoti. Nel 1959 fu eletto alla Knesset per la prima volta, come membro del Partito Mapai, e per vario tempo lavorò al ministero della Difesa con Moshe Dayan, per poi confluire nel 1968 nel partito laburista. La prima possibilità di diventare premier arrivò quando Golda Meir diede le dimissioni dall’incarico nel 1974 a causa delle conseguenze della Guerra del Kippur. Ma si trovò di fronte come rivale il collega di partito Yitzhak Rabin, che tale rimase per tutta la sua carriera. Perciò, Shimon dovette aspettare il 1977 per ottenere per la prima volta la carica di primo ministro ad interim, mantenendola per un breve periodo a causa delle dimissioni di Rabin. Tuttavia, non riuscì a mantenere l’incarico a causa di alcune sconfitte elettorali dei laburisti. Ritornò premier con le elezioni del 1984, ma anche quelli furono anni difficili per una grave crisi dovuta a un’altissima inflazione che lo costrinse alle dimissioni dopo due anni. Continuò poi l’alternanza con Rabin. Quando quest’ultimo fu eletto primo ministro nel 1992, Peres venne nominato ministro degli Esteri, e insieme a lui e al leader palestinese Yasser Arafat vinse nel 1994 il premio Nobel per la pace, grazie alla stipula degli Accordi di Oslo che sembravano portare verso una risoluzione definitiva del conflitto mediorientale. Ma tutto cambiò con l’assassinio di Rabin nel 1995. Peres fu nuovamente nominato primo ministro ad interim. Nel 1996 fu Benjamin Netanyahu a batterlo alle elezioni, in seguito alle quali decise di lasciare la leadership del partito a Ehud Barak. Nel 2000 si candidò per la prima volta alla presidenza di Israele, ma fu battuto da Moshe Katzav. Dopo la sconfitta del partito laburista di Barak da parte del conservatore Ariel Sharon nelle elezioni del 2001, Peres decise quindi di tornare di nuovo sulla scena politica sostituendo Barak alla leadership di partito e guidandolo nel governo di Unità Nazionale con il Likud di Sharon, assicurandosi la carica di Ministro degli Esteri. Fu con lui che guidò poi un’altra coalizione alla fine del 2004 quando si stava programmando il “disimpegno” israeliano dalla Striscia di Gaza. Il 13 Giugno 2007 Peres viene infine eletto Presidente dello Stato di Israele, carica che mantenie fino al 2014, lasciandola con un buffo video in cui finge di mettersi in cerca di un nuovo impiego. E un nuovo lavoro lo trova davvero, diventando uno dei punti di riferimento di Israele e ambasciatore dei valori della pace in Medio Oriente, anche grazie al suo “Peres Center for Peace”.
Quella voglia di fare e cambiare Israele e, quindi, il mondo di cui parlava non l’ha mai persa, tanto che qualche mese fa ha scherzato sulla sua età avanzata con la regina Elisabetta II, in occasione del suo novantesimo compleanno: “Per esperienza – rivela Shimon Peres – posso dire che secondo me la vita inizia a novant’anni, e migliora di anno in anno”. E con la stessa vena ironica diceva: “Gli ottimisti e i pessimisti muoiono nello stesso modo, ma vivono diversamente. Ecco, io preferisco vivere da ottimista”. Indimenticabile è l’incontro di preghiera per la pace in Vaticano con Papa Francesco, a cui Shimon Peres partecipa nel 2014 assieme al Presidente palestinese Mahmoud Abbas. Sono queste le testuali parole di Shimon: “Due popoli, gli israeliani e i palestinesi, desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”. Peres incontrato anche i papi Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. La sua morte conquista l’attenzione dell’informazione così come dei leader mondiali che inviano messaggi di cordoglio. Il figlio, Chemi, ricorda il suo: “’Ci ha ordinato di edificare il futuro di Israele con coraggio e saggezza e di spianare sempre strade per un futuro di pace’. Al mondo aveva insegnato infatti che non c’è alternativa alla pace”. Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, che nel corso degli anni lo incontra più volte, rivela: “Ho incontrato la prima volta Shimon Peres quando ho accompagnato Giorgio Napolitano nel suo primo viaggio in Israele, che io avevo organizzato. L’incontro avvenne in un clima un po’ particolare: pochi giorni prima c’era stato l’attentato terroristico alla stazione dei bus e quindi noi ci aspettavamo di trovare un po’ di tensione. E invece, ci stupì il fatto che in qualche modo lui la considerava come una cosa che rientrava nella normalità: “Sì, loro hanno fatto l’attentato, noi abbiamo bombardato di là e quindi questa è la situazione che c’è”. Lui invece concentrò la sua attenzione sull’interesse che Israele aveva a riprendere i rapporti con l’Unione Sovietica, che erano stati congelati dopo la guerra del 1967. Napolitano, a quell’epoca, era responsabile internazionale del partito comunista italiano. Tornato in Italia, poco dopo ebbe una missione a Mosca, pose la questione ai dirigenti di allora e, poco dopo, l’Unione Sovietica aprì i canali diplomatici con Israele”. Shimon Peres lo “stratega” e il “pragmatico”, l’anziano “padre” di ogni israeliano. “Lui era un uomo di visione, aveva la visione dell’Isfalur (da Israel, Falestin e Urdùn) cioè Israele, Palestina e Giordania, un po’ come Benelux, nel Medio Oriente, un’area più vasta, tipo Unione Europea, anche elaborando progetti complessi, come quello del canale che unisce il Mar Morto al Mar Rosso, che dovrebbe unire, che è un’opera su cui lui ha centrato molto della sua attività e immaginazione, partendo dal Centro Peres per la Pace che lui aveva fondato a Jaffa, il quartiere arabo di Tel Aviv. Lui è l’uomo dell’immaginario che rappresenta questa aspirazione complessiva del popolo israeliano per la pace. Direi che la sua popolarità dentro Israele, quando lui era in competizione elettorale, non è stata pari alla sua fama e alla sua levatura. Lui ha perso tutte le elezioni. Tra Rabin e Peres, Rabin era l’uomo che era in contatto con il popolo, Peres era quello che parlava, volava alto, ma forse il suo rapporto con la popolazione era meno forte. Lui non era semplicemente l’uomo che faceva i discorsi di pace, è l’uomo che ha fatto avanzare il progetto della bomba nucleare, il fatto che Israele si munisse di armamento nucleare. Quindi, lui era un uomo di pace, ma voleva che Israele avesse tutti i mezzi per difendersi. Da quando è stato eletto presidente, ovviamente, ha svolto una funzione importante: mantenere aperti i canali diplomatici anche quando il governo di Netanyahu li teneva chiusi. È stato quindi un simbolo di continuità e di apertura, però Israele oggi sta andando in una direzione diversa e in cui il conflitto israelo-palestinese ha iniziato a diventare più marginale nell’attenzione delle opinioni pubbliche internazionali e dei governi e questo ovviamente lascia aperto un problema che oramai la comunità internazionale tende più a maneggiare che risolvere”.
In relazione alla Questione Palestinese, per molte persone è stato difficile negli anni accostare la parola “pace” proprio a Peres. “Lui è stato l’uomo che, insieme a Rabin, ha gestito i colloqui di Oslo, che hanno condotto all’Accordo di Washington. Il Nobel per la Pace è stato dato a Rabin e a lui non casualmente. Direi che lui era quello che elaborava e che portava avanti l’idea di pace, ma quello che avrebbe potuto realizzarla sul terreno era Rabin e non per caso l’hanno ucciso. Era un binomio anche pieno di rivalità, tuttavia era un binomio che funzionava finché i due c’erano. Quando la parte forte nel rapporto con il popolo, e anche con l’esercito, è venuta a mancare, l’altro è rimasto un po’ disancorato”.
Tra le ultime immagini di Peres, si ricordano quelle che lo ritraggono nei Giardini Vaticani, con Papa Francesco e Abu Mazen, mentre viene piantato un albero di ulivo. “È stato un atto estremo, e credo che sia stato un miracolo quello che ha compiuto Papa Francesco. Perché Abu Mazen si rifiutava di incontrare qualsiasi dirigente israeliano, anche se i suoi rapporti con Peres storicamente sono stati sempre forti. Il fatto di averli lì riuniti, testimonia questa tensione verso la pace. Direi che è stato un ultimo contributo a mantenere viva questa aspirazione verso due Stati che vivano affianco uno all’altro. Tuttavia, è un’aspirazione che forse il governo israeliano e, per certi versi, anche l’Autorità Palestinese, con l’ondata di violenza che si è sviluppata negli ultimi mesi, non hanno raccolto a sufficienza”.
Secondo il Vescovo William Shomali, Vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina del Patriarcato latino di Gerusalemme, “abbiamo perso un grande uomo. Uomo del dialogo interreligioso e interculturale. Un uomo di pace. Preghiamo perchè in Israele sorgano uomini come lui, perchè abbiamo tanto bisogno di uomini così, in questi tempi”.
Qualche giorno fa l’anziano leader era stato ricoverato all’ospedale Sheba di Tel Aviv in seguito a una ischemia cerebrale.
Nella sua lunga carriera politica, Shimon Peres ha incontrato tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. L’ultimo suo incontro con l’attuale Vescovo di Roma era avvenuto in Vaticano il 20 Giugno 2016. Nell’Ottobre 2010, interpellato dalla rivista “30 Giorni” circa le relazioni tra Israele e la Santa Sede, l’allora Presidente israeliano rispose: “I rapporti sono i migliori possibili da duemila anni a questa parte. Dai tempi di Gesù a oggi non abbiamo mai mantenuto relazioni migliori”.
Peres è amato e rispettato da tutte le forze politiche. Si è spento serenamente, circondato dall’affetto dei familiari e dall’amore del suo popolo. Con lui se ne va una figura di primo piano nella storia del Novecento. Tutti i leader del mondo piangono la perdita di Shimon Peres. Difficile parlare della vita di Peres senza il continuo riferimento alla storia dello Stato di Israele. Peres vVive nei Kibbutz, assimilandone la cultura e la tradizione, e gioca un ruolo di spicco nella nascita del movimento giovanile laburista, venendo a contatto con la personalità di Levi Eshkol. Ma è l’incontro nel 1946 con David Ben Gurion, futuro fondatore, a cambiargli la vita. Da quel momento, inizia per lui una straordinaria carriera politica e militare. Entra nelle prime Forze Armate israeliane nel 1947. Partecipa come capo della Marina alla guerra d’indipendenza nel 1948. Arriva alla Knesset nel 1959 come membro del partito Mapai, la formazione di Ben Gurion. Dopo pochi anni lascia il Mapai per fondare insieme a Moshe Dayan un nuovo partito, il Rafi, che in seguito si riunirà al Mapai confluendo, nel 1968, nel partito laburista israeliano. All’inizio degli anni Settanta risalgono i primi incarichi di governo. È inizialmente chiamato da Golda Meir ai trasporti (1970-1974), poi alle finanze (1988-1990) durante il secondo governo Shamir, ma a caratterizzare la sua carriera politica sono soprattutto i tre mandati di ministro degli esteri (1986-1988, 1992-1995, 2001-2002). Come capo della diplomazia, Peres gioca le sue carte migliori, dando un impulso fondamentale al dialogo internazionale, come dimostra la partecipazione agli accordi di Camp David con l’Egitto nel 1978. Diventa quindi premier nel 1984, succedendo a Shamir. Ma il suo capolavoro politico arriva circa dieci anni più tardi, con l’avvio dei primi negoziati con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat, grazie alla mediazione di Stati Uniti d’America, Urss e Norvegia, fino alla firma degli Accordi di Oslo nel Settembre 1993. Accordi che, oltre a sancire il reciproco riconoscimento delle parti, istituivano l’Autorità palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, tracciando così la base di un futuro stato palestinese autonomo, e aprivano per la prima volta la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto.
Dopo il brutale assassinio di Rabin nel 1995 e le difficoltà incontrate nell’attuazione degli Accordi, con il riesplodere degli attacchi terroristici e dei bombardamenti israeliani, l’azione politica di Peres attraversa una fase molto difficile. È premier dal 1995 al 1996, per poi essere sconfitto alle elezioni da Benjamin Netanyahu, leader del Likud, e lasciare la guida del suo partito. Nel 2005 lascia a sorpresa il partito laburista per aderire al partito centrista Kadima fondato da Ariel Sharon. Ed è quest’ultimo a conferirgli di nuovo per poco più di un anno (2001-2002) la carica di ministro degli esteri. Nel Giugno 2007 viene eletto nono Presidente dello stato di Israele. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, Peres è rimasto molto attivo sulla scena politica, in particolare attraverso la sua fondazione, il Centro Peres per la pace di Jaffa che promuove il dialogo fra Ebrei e Arabi. Tracciare un bilancio complessivo di questa lunga parabola politica di Shimon Peres, è impresa complessa e prematura. Nonostante un passato da “falco” (appoggiò i primi insediamenti ebraici in Cisgiordania negli anni Settanta) Peres ha in seguito cercato e sostenuto una soluzione diplomatica, equa e duratura del conflitto Mediorientale. Come osserva nell’ultima intervista rilasciata a L’Osservatore Romano (Maggio 2013) “siamo arrivati nella terra promessa e desideriamo farne una terra di promessa; comportarci conformemente ai Dieci Comandamenti e costruire la nostra vita sulla scienza e sulla pace”. Chiara è la visione del contributo di Israele alla stabilità del Medio Oriente: “Dovremmo completare il processo di pace tra noi e i palestinesi. Di fatto, la soluzione è già evidente: due Stati per due popoli; uno Stato ebraico, Israele, e uno Stato arabo, la Palestina. Siamo partiti dagli Accordi di Oslo, e ora dobbiamo superare il divario che ancora rimane. Ciò è possibile, e il modo per farlo è attraverso il dialogo”.
Profondo è il legame con Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Nel Giugno del 2014, Peres incontra nei Giardini Vaticani il Presidente palestinese Mahmoud Abbas per invocare, insieme a Francesco, il dono della pace per la Terra Santa e piantare un ulivo. “La pace non arriva facilmente – dichiara Shimon Peres in quell’occasione – dobbiamo indirizzare tutti i nostri sforzi verso la sua realizzazione. Esige sacrifici e compromessi. I palestinesi sono nostri vicini. Preghiamo che sia ormai prossimo il giorno in cui inizieremo a vivere in coesistenza, rispetto reciproco e come buoni vicini”. Papa Francesco si è detto “profondamente rattristato” per la morte dell’ex Presidente israeliano Shimon Peres. In un telegramma indirizzato all’attuale capo di Stato di Israele, Reuven Rivlin, Francesco rivolge le sue “sentite condoglianze a tutto il popolo israeliano”, ricordando con affetto il tempo passato con Peres in Vaticano e rinnovando il suo “grande apprezzamento per i suoi sforzi instancabili a favore della pace”. Il Vescovo di Roma auspica che la memoria di Shimon Peres ispiri tutti “a lavorare con sempre maggiore urgenza per la pace e la riconciliazione tra i popoli. In questo modo, la sua eredità sarà veramente onorata e il bene comune per il quale ha lavorato così diligentemente troverà nuove espressioni”, mentre “l’umanità si sforza di avanzare sul cammino verso una pace duratura. Con l’assicurazione delle mie preghiere per quanti sono in lutto, soprattutto per la famiglia Peres, invoco le benedizioni divine di consolazione e forza sulla nazione” (His Excellency Reuven Rivlin President of the State of Israel, I was deeply saddened to learn of the death of His Excellency Shimon Peres, and I wish to convey to you and to all the people of Israel my heartfelt condolences. I fondly recall my time with Mr Peres at the Vatican and renew my great appreciation for the late President’s tireless efforts in favour of peace. As the State of Israel mourns Mr Peres, I hope that his memory and many years of service will inspire us all to work with ever greater urgency for peace and reconciliation between peoples. In this way, his legacy will truly be honoured and the common good for which he so diligently laboured will find new expressions, as humanity strives to advance on the path towards enduring peace. With the assurance of my prayers for all who grieve, especially for the Peres family, I invoke the divine blessings of consolation and strength upon the nation. FRANCISCUS PP.”.
Scrive la giornalista Fiamma Nirenstein: “Ancora un giorno, un minuto prego, non aveva ancora concluso, non aveva ancora finito. E così la morte ha aspettato un poco, come a intendere che il suo lavoro è rimasto incompiuto, ma i miracoli non sono di questo mondo, anche se, dopo l’esplosione dello stroke del 13 Settembre è un po’ tornata indietro, la famiglia ha smesso per qualche giorno di piangere, la stampa ha lasciato il corridoio dell’ospedale di Sharee Tzedek, i commentatori che già avevano fatto tutti il coccodrillo hanno smesso di incensarlo o di vituperarlo. Shimon poi però se n’è andato, che peccato; in questo intervallo avevo pensato che fosse eterno davvero, coi suoi 93 anni così ben portati. Ancora nel giorno dello stroke, Shimon Peres aveva postato un video in cui invitava con entusiasmo a comprare prodotti israeliani, specie la frutta: “Tutti vogliono un vassoio di frutta israeliana!”.
Molti pensano che ne ha sbagliate troppe, a volte creando per Israele situazioni pericolose, che il suo sostenere la causa della pace era un marchingegno troppo politicamente corretto per essere sincero fino in fondo. Può darsi: non ha aiutato nessun processo di pace la sua insistenza sulla speranza di una pace con i palestinesi anche nei momenti della Seconda Intifada dei terroristi suicidi, la sua inutile speranza che Arafat, da lui riabilitato, potesse improvvisamente mostrargli, invece che la ghigna dell’odio, una faccia sorridente come quella che aveva esibito quando insieme a Rabin e a lui aveva preso il premio Nobel per la pace nel 1994, all’indomani dell’inutile eppure tanto lodato Accordo di Oslo. Ma il suo stile, la sua passione indomita per lo Stato Ebraico fatta di grande determinazione a conservarne la sicurezza mentre portava la bandiera israeliana in giro per il mondo come un vessillo di pace, hanno invece fatto gran bene al Paese. La sua figura ha nobilitato la considerazione di Israele nel mondo. Per lui pace e sionismo non sono mai stati disgiunti, e addirittura non sono stati mai disgiunti pace e bomba nucleare: fu, lui, su incarico di Ben Gurion ad esserne il principale fautore. Probabilmente senza la sua capacità di trattare con i francesi e ottenerne il necessario, Israele non avrebbe mai potuto avere la sua arma di difesa definitiva. Il libro intero di interviste che ho fatto negli anni a Shimon Peres allaga la mia scrivania. Una delle prime è dell’87, mentre stava per andare da Amsterdam a Londra: là in mezzo alla notte lo aspettai seduta, mezza addormentata, a un tavolo ai piedi di un letto nella stanza degli ospiti della casa reale. Era esausto, ma accettò di parlare: come sempre invece di enunciare mormorava, era come se trattenesse almeno una parte del suo sogno dentro il suo cuore anche mentre te lo comunicava. Era un momento straordinario, stava per incontrare, in segreto, re Hussein per tessere la trama di quello che da là a qualche anno sarebbero diventati gli Accordi di Oslo. Gli incontri diretti con i palestinesi e col mondo arabo in generale erano tabù a quel tempo, e lo restarono per un bel po’. Nei miei ricordi personali c’è ne sono alcuni molto importanti: una volta Uri Savir, il suo braccio destro, mi telefonò per chiedere se avevo modo di trovargli in Italia un luogo tranquillo. Una intelligente nobildonna fiorentina, Bona Frescobaldi (ne ricordo il nome a suo onore) si dette subito molto da fare per ospitare in una sua casa in campagna due delegazioni che arrivarono nel cuore della notte. Credo che ne facesse parte anche Abu Mazen. Peres ha tessuto in silenzio e gridando, alla luce del sole e nelle stanze del potere quella pace che non è mai venuta, quel nuovo Medio Oriente che si è scontornato nel caos odierno. Ha preso una strada certamente molto accidentata e destinata a scontrarsi con ostacoli insormontabili. Non ha mai voluto considerare la terribile determinazione islamica a eliminare lo Stato Ebraico. Perchè era un ragazzo socialista polacco, un sionista pieno di ardore sociale e internazionalista. Si chiamava, quando è nato in Polonia, Shimon Perski, è l’unico israeliano che sia stato sia presidente (dal 2007 al 2014) sia Primo Ministro (dal 1984 al 1986 e poi dopo la morte di Rabin, di cui era il conflittuale gemello politico, dal novembre ‘95 al giugno del ‘96). Gioie e dolori sono parte della storia di queste altissime cariche, come di tutte le innumerevoli altre che ha ricoperto: tre volte Ministro degli Esteri, due Ministro della Difesa, una Ministro delle Finanze e dei Trasporti. I suoi risultati sempre straordinari sono stati però punteggiati sovente da critiche tremende e da sconfitte politiche: le più cocenti sono forse state quelle del ‘77 perchè era la prima volta che il partito laburista, in un paese semisocialista come Israele, perdeva il potere; e poi certo quella del ‘96, quando il potere passò a Netanyahu. La guerra che ha subìto all’interno del suo partito, come quella che gli fece Ehud Barak per impedirgli di diventare presidente del partito nel ‘99, è paragonabile solo alla sua sconfitta, disgraziatissima, per la carica di Presidente di Israele quando fu invece eletto Moshe Katzav nel 2000, una carica che poi però si è ripreso nel 2007. In compenso ha vinto tante di quelle battaglie politiche, fra cui soprattutto quella degli Accordi Oslo con tutti i suoi annessi e connessi, che è difficile persino enumerarli. Oltre alla sua magnifica ispirazione culturale e ideale praticava parecchio anche il suo mestiere di politico. Col suo ritorno nel 2001 sostituì con gusto Ehud Barak alla leadership del partito; gli toccò il ruolo difficile e straordinario di ministro degli esteri del governo Sharon, in un equilibrio funambolico con quello che avrebbe potuto essere il suo peggior nemico. Si preparava, a costo di pesantissime critiche da ogni parte, a quello sgombero di Gaza che voluto da Sharon ha avuto in lui un grande sostenitore.
La Seconda Intifada lo ha visto disperato nel tentativo di non lasciare il suo sogno infrangersi sulle esplosioni, ma anche nel tentativo spesso inutile di risvegliare il mondo alle ragioni di Israele, che non ha mai abbandonato. Ce n’è traccia in tutte le sue interviste, in tutti i suoi discorsi: odiava la colpevolizzazione insensata del suo Paese, sapeva benissimo che nel mondo il suo volto veniva continuamente sfregiato dalla diffamazione e dall’incitamento, e credo che per questo siamo rimasti amici anche quando per me è stato davvero impossibile condividere la sua speranza di pace basata su Oslo. Peres era di sicuro geniale: la sua passione per l’alta tecnologia, la sua curiosità cocente per la nanotecnologia, la sua ammirazione per Zuckerberg che chiamava “quel ragazzino ebreo di 27 anni” erano tutte legate alla sua idea di fondo. Nel senso che vedeva in Facebook e simili la rivoluzione vera, quella del suo cuore, quella che da giovane kibbutznik socialista israeliano della prima ora intendeva come il superamento di ogni confine, di ogni barriera. Questo non entrava mai e per nessuna ragione in contrasto con l’idea che l’autodifesa, da soli, da coraggiosi, è l’unica scelta possibile di Israele. I buoni rapporti con gli Usa o con l’Europa, cui peraltro teneva, non cancellavano mai la sua dichiarata determinazione a combattere il terrorismo, a costruire recinti di difesa, a combattere i terroristi in ogni modo e anche a essere molto cauti nel pensare di cedere territori. Ma la sua capacità di irraggiare intelligenza e speranza era quella di un papà, di un attore cinematografico, di un’icona accettabile, adorabile per tutti. In un certo senso, uomo di parte com’era, rappresentava tutta Israele: aveva nel volto tutta la sofferenza per le persecuzioni e poi tutta la gioia del Popolo Ebraico che è tornato a casa. Ha vissuto minuto per minuto la fatica e la vittoria della costruzione di Israele. Non c’è più nessuno come lui”. Renzo Gattegna, l’ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ricorda: “Ho avuto il privilegio di incontrarlo varie volte nella mia vita, sia in Italia che in Israele. Conservo di quegli incontri e di quelle molte conversazioni un ricordo indelebile, che porterò sempre con me. Con Shimon Peres scompare un gigante. L’ultimo, il più longevo dei fondatori dello Stato Ebraico. Un uomo che come pochi altri ha saputo impersonare la fedeltà ai principi fondanti della democrazia israeliana, l’amore per la vita, la difesa del futuro, il rispetto dei diritti umani e di tutte le minoranze.
Il suo legame con l’Italia è sempre stato fortissimo: in particolare voglio ricordare l’amicizia fraterna con Giorgio Napolitano, con cui ebbe a condividere tanti importanti iniziative e riconoscimenti. E voglio anche ricordare le attività del Centro Peres per la Pace fondato a Tel Aviv, che costituisce un punto di riferimento per lo studio e l’approfondimento delle sfide della mediazione. Una mediazione in cui entrano in gioco non solo parole ma soprattutto i fatti, convinto com’era che un progresso economico condiviso avrebbe portato benefici a tutti i Paesi della regione. Il Centro a lui intitolato, ma anche la sua abitazione privata, sono stati fino all’ultimo meta incessante di tutti i governanti, i capi di Stato, i rappresentanti diplomatici in visita in Israele che nel grande statista hanno visto e continueranno a vedere un punto di riferimento imprescindibile. Sia per la sua visione di largo respiro, sia per l’incrollabile ottimismo che ha sempre animato ogni suo gesto e ogni sua parola”. L’ultimo saluto al cimitero del Monte Herzl, dove sono seppelliti i Grandi di Israele. “Non c’è un capitolo nella storia di questo Paese in cui Shimon non abbia avuto un ruolo – rimarca Reuven Rivlin – ci ha fatto guardare al futuro, e lo abbiamo amato tutti per questo. Per averci fatto immaginare la strada giusta per questo Paese”. Si sono incontrati molte volte. Di fronte sempre lo stesso uomo ma con incarichi diversi: ministro della Difesa, delle Finanze, degli Esteri, Primo ministro, Presidente d’Israele. “Per un giornalista come me, anche volendo, sarebbe stato impossibile non entrare in contatto con Shimon Peres. Con lui ho coltivato negli anni un rapporto speciale ma i ricordi personali li tengo per me”. A parlare è Nahum Barnea, decano del giornalismo israeliano, che a Pagine Ebraiche offre una sua valutazione del ruolo del grande statista israeliano scomparso nella notte. Per Barnea, “Peres è riuscito con il tempo, nel corso di una lunga carriera, a entrare a far parte dell’élite politica mondiale. In pochissimi possono iscriversi a questo club speciale, direi che ne fanno parte solo una trentina di persone. E lui, assieme a David Ben Gurion e Yitzhak Rabin, è una delle tre figure israeliane ad esserci riuscite”. E questo nonostante in patria a lungo non sia stato così popolare. “Il suo difetto – rivela il giornalista – è sempre stato questo desiderio di piacere alla gente e al contempo essere un leader ma le due cose non vanno di pari passo. Ricordiamo bene quando accadde nel 1992 quando a Tel Aviv chiese pubblicamente al suo partito se fosse un perdente, e l’ala legata a Yitzhak Rabin, con cui si scontrò a lungo, gli rispose ‘sì, sei un perdente’. È chiaro – osserva Barnea – che un uomo rimasto ai vertici della politica israeliana per 70 anni non è un perdente”. La firma di Yedioth Ahronot, il più popolare giornale israeliano, spiega poi che la carriera di Peres può essere divisa in due segmenti che non sono in contraddizione fra loro: “nel primo è stato l’uomo al servizio della sicurezza del Paese: in questo quadro si inserisce il suo impegno per l’accordo con la Francia per rifornire il neonato Stato di Israele con armi così come la costruzione negli anni ‘50 e ‘60 del centro nucleare di Dimona”. Il secondo, quello “culminato con i negoziati di pace degli anni Novanta” che permisero a Israele “di consolidarsi a livello internazionale”. Secondo Barnea i due spaccati della vita dello statista convergono nell’impegno per garantire la sicurezza di Israele: “Peres non è e non è mai stato Gandhi. Il suo è sempre stato un approccio pragmatico alla pace. Pensava che un’intesa con i palestinesi e con Arafat potesse essere una garanzia per Israele. Solo dopo si è aggiunto quel manto di romanticismo”. Parlando delle sue posizioni politiche, Barnea spiega come il leader laburista a lungo sia stato “un falco all’interno del suo partito”. Più vicino alla destra. E con un certo sostegno all’inizio anche tra chi viveva nei primi insediamenti. “Il suo essere di sinistra non è come lo intendete voi in Italia, non è ideologico”, sostiene Barnea, secondo cui la linea tra le due fazioni politiche è tracciata proprio dalla differenza di visione sugli insediamenti. E “quella di Peres è cambiata con il tempo, proprio – prosegue il giornalista – in virtù del suo pragmatismo. D’altra parte è vero quanto si dice su di lui: era un politico per cui l’unico limite era il cielo. Aveva una convinzione e la perseguiva. Ed è questo ad averlo fatto un uomo della Storia”. Per la serie: le grandi azioni che si compiono in vita, risuonano nell’eternità. “Con Shimon Peres scompare uno degli uomini che più ha segnato la storia del Ventesimo e del Ventunesimo Secolo – dichiara Noemi Di Segni, la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – del moderno Stato di Israele è stato uno dei padri fondatori, una delle figure che maggiormente ne ha plasmato la storia, l’identità e la visione. Ma globali, nel solco di quell’impegno, sono stati il suo coraggio e il suo messaggio di fratellanza e amicizia tra i popoli. Un messaggio veicolato universalmente grazie a qualità e sensibilità fuori dal comune. La testimonianza tangibile dell’incisività del suo lavoro nelle parole e nelle testimonianze di cordoglio che stanno arrivando da tutto il mondo e che descrivono l’intero arco di una vita straordinaria, segnata da grandi incontri ma anche da grandi complessità, e giustamente premiata con il Nobel per la Pace. Nel giorno in cui molti fanno necessariamente riferimento alla sua figura di leader mondiale e al suo impegno per la pace fra i popoli, è giusto ricordare anche la sua maniera di intendere l’alto incarico di Presidente dello Stato di Israele. Essere Presidente, disse già al momento del suo insediamento nel più alto incarico dello Stato, significa essere il riferimento di un’intera società e impegnarsi nel difficile compito di ascoltare tutti, di rappresentare tutti, nessuno escluso.
Un impegno sempre difficile, ma ancora più arduo se si tratta di rappresentare una società tanto complessa e ricca di idee e di umanità com’è la società di Israele. Gli ebrei italiani e l’umanità intera piangono Shimon Peres: uomo di cultura, dialogo, coraggio, larga visione. Sia il suo insegnamento tramandato di generazione in generazione e il suo ricordo di benedizione per noi tutti”. Numerose le testimonianze e le parole di cordoglio nell’Italia ebraica. “Si è spento questa notte Shimon Peres, nono presidente dello Stato di Israele e già premio Nobel per la pace. Un uomo coraggioso – scrive Ruth Dureghello, la Presidente della Comunità Ebraica Romana – che ha contributo con il suo impegno politico, e non solo, a rendere Israele una democrazia forte e matura. Ha sempre inseguito la pace, con tenacia e determinazione, consapevole che nessun compromesso dovesse mettere a rischio la sicurezza e l’integrità dello Stato Ebraico. Amico della Comunità ebraica di Roma, alle nuove generazione di lui resterà l’insegnamento di un uomo la cui azione politica era sempre rivolta al futuro. Sia il suo ricordo benedizione ed esempio per tutti noi”. L’Unione giovani ebrei d’Italia dichiara: “Ci ha lasciato Shimon Peres, l’ultimo dei fondatori dello Stato di Israele. Per una vita intera ha servito Israele e il popolo ebraico, lottando sempre per la pace, anche quando sembrava obiettivo irraggiungibile. Il suo esempio continuerà a essere un modello per noi tutti. Che il suo ricordo sia in benedizione”. Ronald Lauder, Presidente del World Jewish Congress, osserva: “Uno dei più grandi esseri viventi che abbia mai conosciuto: un astuto statista, un grande intellettuale e stratega, un saggio diplomatico e peace-maker. Ha reso fiero Israele e fieri gli israeliani in ogni angolo della Terra”. Il rabbino Jonathan Sacks, precisa: “Anche se ha ricevuto il premio Nobel per il suo impegno nel processo di pace di Oslo, i più grandi successi di Shimon Peres sono arrivati verso la fine della sua lunga carriera nella vita pubblica, in qualità di Presidente dello Stato di Israele. È in questa veste che è diventato uno dei più grandi statisti del nostro tempo, l’incarnazione vivente delle parole del profeta Gioele secondo cui “I vostri anziani sogneranno sogni”, aiutando i giovani a “vedere la visione”. Peres, infatti, ha costruito una visione convincente di speranza”. Sono stati i figli Zvia, Chemi e Yoni, ai quali va il nostro abbraccio e il sostegno, ad annunciare al popolo di Israele e al mondo che Shimon Peres ci ha lasciati. “La grande perdita tocca tutti – rivela Chemi – perché lui ha dedicato la vita intera a Israele”.
Scorrono dentro i ricordi di un “uomo speciale che ha accompagnato anche la nostra vita per oltre trent’anni. Mentre la sua voce inconfondibile ci parla ancora da Kol Israel, la radio israeliana – scrive Simonetta Della Seta, direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – decido di rendergli omaggio condividendo su Pagine Ebraiche alcuni momenti in cui il nono Presidente dello Stato d’Israele ha lanciato dei messaggi sull’Italia e sull’ebraismo italiano. Gli incontri con lui sono stati tanti, come giornalista, come direttore dell’Istituto italiano di Cultura, come Consigliere dell’Ambasciatore d’Italia, ma anche sul piano semplicemente personale. Voglio partire proprio da uno di questi, in cui mi rivelò quanto fosse fiero del nome Shimon, che ci accomunava. Mi spiegò: “Le lettere SHIN MEM e AY’IN sono la radice del verbo LISHMO’A, ascoltare: siamo nati per ascoltare. Sono le lettere di SHEMÀ ISRAEL: dunque il nostro destino è ascoltare la voce di Israele. La SHIN è un sibilo che esce da noi: significa che siamo in grado di comunicare. Per pronunciare la MEM, dobbiamo invece serrare le labbra e saper tacere. La lettera AY’IN ha infine la forma di un abbraccio: sappiamo abbracciare e dobbiamo abbracciare”. Shimon Peres era un lettore accanito. E amava citare i testi ebraici, e ovviamente quelli legati all’epopea della costruzione di Israele. Quando si parlava dell’Italia, amava cantare le prime strofe di una bellissima poesia di Nathan Alterman, messa in musica da Yair Rosenblum, dedicata a un capitano italiano che dopo la guerra aveva portato sulla sua nave fino alla Terra di Israele un gruppo di ebrei sopravvissuti alla Shoah. Ricordando quanto l’Italia avesse aiutato gli ebrei a tornare alla propria patria, Peres cantava: “Nubi sopra di noi, forte il vento. L’impresa è stata compiuta. Grazie al cielo. Alziamo il calice, Capitano, per esprimere la nostra gratitudine. Torneremo a incontrarci sul mare”.
Sempre parlando di Italia, raccontava spesso un altro aneddoto, che cito come lo ritrovo sui miei appunti di un incontro. “Nel 1926 Chaim Arlosoroff, uno dei leader del partito sionista socialista, viaggiava dalla Palestina, attraverso l’Italia, per partecipare a una conferenza a Varsavia del movimento sionista HeChalutz (Il Pioniere). Durante il viaggio, trascorse un giorno a Napoli e da qui scrisse alla sua futura moglie: ‘Ho girato per cinque ore tra le vie e i vicoli di Napoli. Qui si sente fortemente di essere in uno di quei luoghi in cui il movimento (risorgimentale) italiano ha combattuto, solo poche decine di anni or sono, per la libertà. La città è piena di questi ricordi: Silvio Pellico, Confalonieri, ed ovviamente Mazzini, Garibaldi. Il nostro Risorgimento è molto più difficile, tuttavia, forse, e nonostante tutto, anche noi otterremo la nostra patria’. Queste osservazioni ci suggeriscono quanto l’immagine del Risorgimento fosse presente nella coscienza dei pensatori sionisti. Effettivamente – rivela Peres – è una ispirazione che viene da lontano ed è illustrata al meglio in uno dei primi testi del sionismo moderno, quello scritto da Moses Hess nel 1862 e titolato Roma e Gerusalemme. L’Idea di Hess – la nazionalità è l’individualità dei popoli – era vicinissima al principio di Mazzini che solo diventando un cittadino della propria nazione si può diventare un cittadino del mondo”. Shimon Peres è stato cittadino del mondo perché era fino in fondo padre, costruttore, amante e cittadino del suo Paese. A Israele ha dedicato la vita, il pensiero e l’azione. A Israele lascia un dono indelebile: la speranza. “La speranza non si cancella – amava ripetere – la speranza è una visione della vita che andrebbe insegnata assieme all’alfabeto e alla matematica”. E ancora: “ricorda che la verità è una parola al singolare, ne esiste una sola, ma ha tante voci e dobbiamo sempre tendere l’orecchio per cercare di sentirle tutte, anche quelle più deboli”. Shimon Peres amava il nostro Paese che ha visitato per l’ultima volta solo qualche settimana fa. In Italia aveva molti amici. Dell’Italia amava anche la bellezza, il carattere, l’accoglienza e la generosità. Aveva letto Alberto Moravia, Natalia Ginzburg e Giorgio Bassani, delle cui origini ebraiche era fiero. Cantava le arie del Nabucco di Verdi e dell’Aida. Sognava e insegnava di portare altrettanta fioritura culturale in Israele. Lo ha fatto. Il sogno sarà coronato un giorno anche dalla pace. Nel ricordare a pochi mesi dalla sua scomparsa una sua grande amica italiana, Rita Levi Montalcini, Peres disse: “Sapete quando la civiltà è veramente nata? Quando è stato introdotto uno strumento molto primitivo: lo specchio. Prima dello specchio non si pettinavano i capelli e non si tagliavano le unghie. Da quando esiste lo specchio, ognuno si lava ogni mattina senza che ci sia alcuna imposizione da parte del governo. Se riuscissimo a dare uno specchio al nostro cervello, sono sicuro che il mondo diventerebbe un posto migliore. Vedo Rita non attraverso quello che ha conseguito nel passato ma attraverso lo specchio della sua visione per il futuro. Mi riporta al suo appello agli italiani, affinché non si perdano mai, soprattutto come persone e come individui. Il mondo è globale ma noi siamo individui. Più cresce la globalità, più dobbiamo rafforzare la nostra individualità. Questa è per me filosofia, amore, esperienza, da tutti gli angoli. E in tale visione, non posso vedere un partner migliore per il nostro futuro dell’Italia, con la vostra terra, il vostro popolo, la vostra storia e la vostra visione del futuro”. Grazie a Shimon Peres, anche per questa ispirazione e questo appello. Che il suo ricordo sia di benedizione”. Scrive Amit Zarouk, portavoce e consigliere politico all’Ambasciata di Israele: “Sei grande come la causa che promuovi, diventi piccolo se promuovi te stesso. Piangiamo oggi la morte di un grande uomo, eccelso uomo delle istituzioni e magnifico sognatore, una luce che per anni ha camminato tra di noi, Shimon Peres. Per noi 40enni israeliani, Shimon Peres ha sempre fatto parte della nostra vita. Seppure non tutti possono vantare di averlo conosciuto personalmente, di certo siamo tutti cresciuti con la sua figura, sempre presente. Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto, era il 1988, piena campagna elettorale in una piccola città a sud di Ashkelon, in piedi su un piccolo palco al centro della piazza, il timbro di voce inconfondibile cercava di convincere i più della sua visione politica, piuttosto che spiegare minuziosamente il suo programma elettorale. Quella non fu la prima né l’ultima volta, infatti nel corso dei 3 anni in cui ho lavorato alla Knesset, il Parlamento Israeliano, ho avuto la possibilità di assistere con i miei occhi al suo infaticabile contributo alla crescita e alla prosperità della democrazia israeliana. Ma senza alcun dubbio, l’incontro più emozionante fu ad Ankara, nel 2007, durante il servizio all’ambasciata d’Israele in Turchia. Shimon Peres, in una delle sue prime visite come Presidente dello Stato d’Israele fu invitato a tenere un discorso di fronte al parlamento turco, la prima volta in assoluto che un leader israeliano si rivolgeva a dei parlamentari in un Paese mussulmano. Fu eccezionale. Peres come al suo solito seppe toccare le corde della sua audience e costruire la storia con le sue mani. Lo scorso febbraio ho avuto l’onore di incontrarlo per un’ultima volta insieme a una delegazione di giornalisti italiani all’interno del Peres Center For Peace, un’organizzazione no profit che si impegna a promuovere il dialogo e la coesistenza tra israeliani e palestinesi, sicuramente una delle sue creature più riuscite. Come spesso accadeva ad un leader che amava stare tra i giovani, Peres era il più anziano nella stanza, ma non certo per i discorsi e l’ottimismo che traspariva dai suoi occhi sognatori. Peres amava parlare di futuro, delle sue visioni, della tecnologia israeliana e di quanto questa sia in grado di migliorare la vita di tutti i giorni. Al termine dell’incontro ci siamo soffermati nella libreria dove sono esposte le sue biografie e photogallery. La sua vita, la nostra storia. Peres non fu soltanto uno straordinario uomo di pace, ma anche un abile oratore, tra le sue citazioni quella che più amo è “sei grande come la causa che promuovi, diventi piccolo se promuovi te stesso”. Shimon Peres rappresenta la roccia solida per la mia generazione, la memoria vivente dei padri fondatori, servitore del popolo e dello Stato d’Israele. Ci mancherà molto. Shalom Shimon”. Non mancano le critiche al suo operato. “La distruzione della Siria è al centro dei piani di Tel Aviv – avverte Mann Bashur – quello palestinese è un problema ormai storico, cominciato con il progetto che ha portato in Palestina ebrei da tutto il mondo per dare forma all’occupazione sionista: naturalmente non ho nulla contro gli ebrei, ma sono contro l’occupazione. La lotta del popolo palestinese è cominciata all’inizio del XX Secolo ed è tutt’ora molto forte: molti giovani palestinesi provano a resistere all’occupazione, specialmente a Gerusalemme e nella West Bank. A Gaza la situazione è diversa: Gaza è stata liberata dalla resistenza, ma il milione e trecentomila palestinesi che vivono lì dopo essere stati messi alla prova da tre guerre continuano a dover fare i conti con l’assedio militare ed economico di Israele e di altri stati, anche arabi. Sfortunatamente, molti dei governi del Medio Oriente anziché sostenere la resistenza palestinese sostengono il governo israeliano in varie forme: in special modo normalizzando le relazioni con questo, benché naturalmente le forze popolari del Medio Oriente vi si oppongano. Il progetto sionista deve fare i conti con non pochi problemi: ad esempio, quello del rifiuto della normalizzazione dei rapporti da parte di vari stati e quello delle continue difficoltà a cui è messo di fronte dalla resistenza. Al confine settentrionale dei Territori Occupati della Palestina c’è la resistenza libanese che ha inflitto gravi sconfitte al progetto sionista: un progetto che peraltro rivendicherebbe come propri tutti i territori compresi tra il Nilo e l’Eufrate. Le persone che abbandonano l’entità sionista sono più delle persone che vi si stabiliscono. L’occupazione sionista sta facendo i conti con un empasse strategico, andando a perdere progressivamente i propri elementi di forza: il trascinarsi del conflitto, seppur a bassa intensità, segna la sconfitta dell’ideologia sionista. Shimon Peres, ad esempio – ricorda Mann Bashur – parlava di un “mercato aperto” tra Israele e gli arabi e contemporaneamente diceva di voler fare di Israele un fortino inespugnabile. È evidente come i due scenari siano incompatibili tra loro. Per tutte queste ragioni il futuro dell’entità sionista è assolutamente dubbio. L’opinione pubblica internazionale in passato ha dato sostegno al progetto di Israele, sia sul piano finanziario che ideologico e militare. Ma questo supporto è diminuito e va assottigliandosi sempre di più giorno dopo giorno. Israele teme per il proprio futuro. Quello che sta succedendo in Siria è strettamente collegato alla strategia sionista: una strategia che si sviluppa attraverso la destabilizzazione dell’intero Medio Oriente, e sopratutto della Siria, che è sempre stata un bastione della resistenza contro il progetto sionista. Per questo Israele vuole distruggerla. Il piano israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti, da alcuni stati europei, ed anche alcuni leader arabi, è quello di distruggere i campi palestinesi intorno all’entità sionista provocando un’ennesima diaspora che allontani ulteriormente i palestinesi dai territori occupati. All’inizio della guerra le forze che hanno cercato di destabilizzare la Siria hanno utilizzato i campi palestinesi in Siria, dopo averli infiltrati, per isolare il governo siriano, con l’accusa di uccidere i palestinesi, soprattutto nel caso del campo di Yarmouk. Quello che è successo in Libano nel 2007 a Nar El-Bared, quello che è successo in Siria, e quello che si vorrebbe far succedere in altri campi in Libano, è assolutamente indicativo della volontà di distruggere i campi per rendere in questo modo meno vulnerabile l’occupazione sionista. Non è certo un caso che ai palestinesi che vivono o vivevano in Siria sia accaduto quello che è accaduto negli anni ai palestinesi che vivevano in Libano, come a Sabra e Shatila, o nelle altre zone oltre i confini della Palestina occupata. Nel 1972 durante la guerra civile mi trovavo nel campo di Nabatieh con Yasser Arafat: arrivarono alcuni aerei israeliani e bombardarono il campo. Arafat mi disse: “La guerra per la distruzione dei campi è cominciata. Nei campi palestinesi prima dell’inizio della crisi siriana la situazione era già critica, e come si può intuire, l’afflusso di migliaia di palestinesi provenienti dalla Siria l’ha peggiorata notevolmente rendendola drammatica. Ma il problema non riguarda solo i palestinesi, ma anche le migliaia di siriani che hanno lasciato la propria terra a causa della guerra scatenata contro la Siria e che si sono rifugiati in Libano e in altri paesi. È una catastrofe da ogni punto di vista, ed è una responsabilità internazionale quella di farvi fronte. Naturalmente la soluzione è quella di ristabilire la pace in Siria per permettere loro il ritorno alla propria terra, ma fino a quel momento queste persone devono essere aiutate. Nel 2011 si è voluto scatenare la guerra in Siria – rivela Mann Bashur – intendendo punire il popolo siriano per aver sempre dato il proprio sostegno alla resistenza palestinese e per aver sostenuto quella irachena durante l’occupazione americana del 2003. All’inizio della guerra civile la retorica di molti politici occidentali era quella del supporto ai siriani “oppressi dal regime”: una retorica presto smentita dalla mancanza totale di ogni sostegno reale nei loro confronti. “Andate a combattere, siamo con voi, ma se dovete lasciare il paese non venite a cercarci”. Alcuni stati arabi coinvolti in questa crisi non hanno concesso il visto nemmeno ad una famiglia siriana. Questo rivela il vero obiettivo, il vero scopo di questa guerra: non solo la sconfitta del governo siriano, ma la dissoluzione della Siria e del suo popolo, da sempre un bastione ed un baluardo del nazionalismo arabo. Credo che a poco a poco gli arabi stiano comprendendo di nuovo che quella del nazionalismo arabo è l’unica strada che può preservare la sicurezza e lo sviluppo economico del Medio Oriente. Certamente, alcuni esperimenti che andavano in questa direzione non hanno funzionato nel passato, soprattutto per non aver saputo soddisfare le aspettative delle persone che li avevano sostenuti: questo è il motivo per cui altre ideologie hanno trovato terreno fertile in Medio Oriente. Fortunatamente, però, ci sono molti giovani che stanno riscoprendo il significato del nazionalismo arabo”. Nel frattempo il vice premier israeliano Yisrael Katz ha proposto il progetto di pace per creare un’isola artificiale a largo delle coste della Striscia di Gaza, nel Mar Mediterraneo. Vede l’iniziativa come una piattaforma per un’ampia cooperazione internazionale. Tra i Paesi che potrebbero partecipare al progetto, Yisrael Katz considera la Russia e la Cina. Il progetto sull’isola a 4,5 chilometri dalla costa prevede un porto, un aeroporto, un impianto di dissalazione dell’acqua marina, una centrale elettrica e alberghi, tuttavia non sono previsti edifici residenziali. L’isola sarà collegata alla Striscia di Gaza da un ponte con un checkpoint nel mezzo. In ambito di sicurezza, il controllo dell’isola sarà per 100 anni di carattere internazionale, tuttavia le acque resteranno sotto il controllo di Israele. Secondo Yisrael Katz, il progetto è economico anche se ha importanza strategica e politica. Il professor Yan Mian del Centro per lo Studio delle Relazioni Internazionali dell’Istituto cinese dei mezzi di comunicazione di massa, commenta il possibile coinvolgimento della Cina nel progetto: “Se il progetto contribuirà a migliorare la situazione attorno alla Striscia di Gaza, o aiuterà Gaza tramite le forniture di acqua dolce e la costruzione del porto ad alleviare i problemi della vita della popolazione civile, la Cina riterrà di poter partecipare al progetto”. Secondo Ren Yuanzhe, esperto dell’Accademia diplomatica cinese, “la Cina attribuisce grande importanza ai negoziati israelo-palestinesi, la risoluzione pacifica del conflitto e la costruzione dell’isola possono contribuire a calmare la situazione nella regione. La Cina ha avviato la costituzione della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), ha proposto di costruire legami di partnership in ambito logistico e nei trasporti su scala internazionale. Esistono primi progetti tramite la AIIB con il Bangladesh, l’Indonesia, il Pakistan e il Tagikistan, all’elenco si potrebbe aggiungere il progetto israeliano. Tanto più che 2 dei 4 progetti della AIIB sono lanciati insieme alla Banca Mondiale e alla “Asian Development Bank” (Banca Asiatica di Sviluppo). La futura opera in Medio Oriente potrebbe diventare una piattaforma per sforzi internazionali concertati”. La “Russia è una delle potenze in grado di prendere parte al progetto”, dichiara Yisrael Katz che nel consiglio dei ministri dirige il ministero dei Trasporti e di Intelligence israeliano. “La Russia ha l’esperienza necessaria e la conoscenza di quello che sta accadendo in Medio Oriente, nonché buoni legami con i capi di Stato della regione”, ammette il “Washington Post” che scrive: “Lo Stato Ebraico sta attivamente cercando partner finanziari per il progetto da 5 miliardi di dollari”. La “partecipazione della Cina riflettere le aspirazioni geopolitiche della diplomazia economica di Pechino – conferma Rabbi Avraham Shmulevich, il politologo israeliano e presidente dell’Istituto di Partenariato Orientale – l’idea di costruire un’isola artificiale è stata portata avanti da più di un decennio fa da Shimon Peres, quando era primo ministro. È abbastanza chiara l’idea da un punto di vista tecnico-operativo e in termini di convenienza politica ed economica. La Cina amplia la sua presenza nella regione mediorientale attorno ad Israele in modo molto prudente, intelligente e costante. Ora detiene una posizione di leadership nella maggior parte dei Paesi africani, ha grandi progetti di investimento nel mondo arabo, nei Paesi produttori di petrolio del Golfo Persico. La Cina ha sempre investito nel controllo delle infrastrutture di trasporto del mondo. Gli obiettivi strategici ed economici sono chiari: diventare una vera e propria potenza mondiale per controllare il flusso delle merci e smettere di essere un Paese completamente dipendente dalla tecnologia e dagli investimenti occidentali. In particolare la Cina segue il corso per diventare una potenza economica mondiale: l’isola nei pressi della Striscia di Gaza è uno dei progetti in questo senso. I cinesi hanno sempre offerto ottime condizioni di investimento. La loro partecipazione al progetto israeliano ne sarebbe un esempio”. Leonid Belotserkovsky, il capo redattore della casa editrice di Tel Aviv “Notizie della Settimana”, ipotizza che “i cinesi sono entrati attivamente nell’economia israeliana, soprattutto nel campo dell’alta tecnologia, dove Israele è leader mondiale. Però penso sia un po’ rischioso, non si può fare nulla. Ma bisogna dire che Israele fa molto in Cina. Ad esempio il ruolo delle tecnologie israeliane high-tech è abbastanza grande nello sviluppo della Cina. Nell’agricoltura cinese molto è fatto dagli esperti israeliani, ci sono aziende agricole speciali dimostrative. Pertanto la cooperazione è reciprocamente vantaggiosa”. Alla fine di Marzo 2016, la Cina e Israele hanno avviato i negoziati per l’accordo sul meccanismo per l’instaurazione di una zona di libero scambio che raddoppierà il volume di affari tra la Cina e Israele a 16 miliardi di dollari. In Israele, come in tutto il mondo, la Cina sta facendo incetta di marchi nazionali e internazionali. Onori al Presidente Shimon Peres. Al contrario di Obama, merita il Premio Nobel per la Pace, non soltanto grazie agli Accordi di Oslo, ma anche per la lotta contro i Warlords e per le libere iniziative economiche di libero scambio. Accordi e progetti che nonostante tutto rappresentano ancora oggi una speranza di pace per tutti i popoli del Medio Oriente e della Terra. Arrivederci ad un grande uomo che ha fatto della pace la sua missione. Possano i suoi insegnamenti guidare tutti noi e le generazioni future verso il mondo da lui sempre sognato. Che la terra ti sia lieve. Shalom Shimon.
© Nicola Facciolini
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