La riprova che questo referendum costituzionale è divisivo, sta nei ricorsi che alcune associazioni e forze politiche hanno presentato contro il testo del quesito referendario che dovrebbe trovarsi sulle schede elettorali, sostenendo che la formulazione sarebbe uno spot per il Sì.
Se da un lato è vero che il testo è stato approvato dalla Corte di Cassazione e che riproduce esattamente il titolo della legge costituzionale presentata dal Governo e approvata dal Parlamento, d’altra parte bisogna riconoscere che la legge che disciplina il referendum non prescrive la ripetizione del titolo, ma l’elencazione del contenuto. Infatti l’art. 16 delle legge n. 352 del 1970 stabilisce che “Il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente: «Approvate il testo della legge costituzionale … concernente … approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero … del … ?»”. Nella legge è scritto “concernente” e non “dal titolo”: la differenza è significativa. Evidentemente, se a priori valesse il titolo, che di fatto viene scelto e votato dai presentatori della riforma, il rischio di “pubblicità ingannevole” sarebbe molto elevato.
Il titolo della legge di revisione è: “: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione».
Anzitutto va notato che dal titolo mancano alcune importanti materie oggetto della revisione: il cambiamento del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica, le nuove norme sui referendum abrogativi, l’introduzione dei referendum propositivi, l’elezione dei giudici costituzionali separatamente tra i due rami del Parlamento, le modifiche relative alle leggi di iniziativa popolare, l’attribuzione della competenza esclusiva alla Camera per la deliberazione dello stato di guerra, ecc. Quando si nomina soltanto una parte di un elenco, di fatto si mette in secondo piano il resto: eppure anche su queste altre materie si vota, ma ciò non è desumibile da ciò che si può leggere sulla scheda elettorale.
Ovviamente è alquanto improbabile che gli elettori decideranno per il Sì o per il No sulla base di quanto sta scritto sulla scheda elettorale, ma è anche vero che sarebbe giusto che i quesiti fossero comunque il più possibile neutrali. Ad esempio: «Approvate il testo delle modifiche alla Costituzione presenti nella legge n. … pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del…?».
Tornando al titolo occorre notare che il riferimento al “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” è stato giustamente definito “improprio”: si tratta di un obiettivo e non di un fatto, come invece possono essere considerati gli altri argomenti citati nel titolo. Non solo: è un obiettivo il cui raggiungimento è del tutto incerto. Infatti, a priori è praticamente impossibile stabilire se con la riforma costituzionale prevarranno i risparmi o le spese. Da una parte si riducono i costi per le indennità dei senatori e dei consiglieri regionali, per il funzionamento del Cnel e delle Province. Dall’altra si introducono i referendum propositivi. Le stime sui risparmi vanno dai 50 ai 490 milioni di euro annui (a seconda delle diverse opinioni). La realizzazione di un referendum costa 300 milioni di euro (dato relativo allo svolgimento del recente referendum sulle “trivelle”). Pertanto, se ogni anno si tenesse un referendum propositivo, è probabile che si realizzi un aumento della spesa anziché un risparmio. Potrebbero essere soldi ben spesi, per aumentare la partecipazione del cittadino alle scelte politiche con metodo democratico. Resta il fatto che non si può dire che si tratti con certezza di un “contenimento della spesa”. Da questo punto di vista, questa parte di titolo della legge costituzionale e di conseguenza della scheda elettorale, è palesemente ingannevole.
Rocco Artifoni-Pressenza
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