“Vuoi la vita? Vuoi vedere giorni felici?” (San Benedetto, Prologo alla Regola). “Chiediamo l’aiuto dell’Arcangelo San Michele per difenderci dalle insidie e dalle trappole del diavolo” (Papa Francesco). “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli”(Vangelo di Gesù secondo Matteo 5,8-10). Happy Holyween. Happy Hallowmas. Beati tra i Santi, nonostante il Terremoto stia sconquassando l’Italia (Mw 5.5, 6.1, 6.6, del 26 e 30 Ottobre 2016, Marche e Umbria). Omnes Sancti et Sanctae Dei, intercedite pro nobis. Felice Festa di Holyween. È la notte del 31 Ottobre, vigilia della solennità di Tutti i Santi, il 1° Novembre. All Hallows Eve Day! Una notte con Gesù Eucarestia. È il modo giusto di festeggiare la vigilia di Ognissanti. Attenti ad Halloween perché non è una festa in maschera ma si festeggia il compleanno del principe del male. È importante fare chiarezza sui significati dei simboli occultistici e satanici di questo “carnevale dell’horror” che, anche al cinema, non deve essere banalizzato. Coloro che pensano che il fenomeno sia riconducibile soltanto agli aspetti divertenti e modaioli, delle maschere e
ragazzi hanno così la possibilità di entrare in contatto con gli operatori dell’occulto e di farsi leggere i tarocchi. Halloween è diventato un colossale business economico: 120 milioni di euro vengono spesi ogni anno in Italia per organizzare eventi pubblici e privati legati ad Halloween, con un investimento di 150 milioni di euro per maschere e abbigliamento. Un business da 260 milioni di euro. Se una volta le feste pagane venivano sostituite da feste cristiane, oggi si assiste al fenomeno inverso e maligno: in coincidenza con le feste cristiane, si cerca di diffondere, nella cultura e nei costumi, un’obsoleta sub-cultura neopagana Gender, estranea al clima di preghiera e di fede della gioia cristiana nella Famiglia Naturale fondata sul Matrimonio di un uomo e di una donna. Esistono ancora docenti e dirigenti scolastici con l’onestà intellettuale di far capire ai loro alunni che la “festa” di Halloween non ha niente a che vedere con le nostre tradizioni cattoliche italiane europee? Per noi cristiani in questa magica notte di Holyween c’è un solo pensiero ed una sola gioia: i nostri Santi in Cristo. Dunque, non più “dolcetto o scherzetto”. Ma “Beati tra i Santi”, è il motto di Ognissanti. È la notte del 31 Ottobre, vigilia della solennità di Tutti i Santi. Una notte con Gesù Eucarestia. Nelle cattolicissime Filippine, da anni opera un’Associazione cristiana che promuove soprattutto un apostolato di preghiera legato alla salvezza delle anime del Pu
poltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, «come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone». Il giusto Tobia viene lodato per i meriti acquisiti davanti a Dio per aver seppellito i morti, e la Chiesa considera la sepoltura dei morti come un’opera di misericordia corporale. Infine, la sepoltura dei corpi dei fedeli defunti nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi. Mediante la sepoltura dei corpi nei cimiteri, nelle chiese o nelle aree ad esse adibite, la tradizione cristiana ha custodito la comunione tra i vivi e i defunti e si è opposta alla tendenza a occultare o privatizzare l’evento della morte e il significato che esso ha per i cristiani. 4. Laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi. La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia la cremazione non è vietata, «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana». In assenza di motivazioni contrarie alla dottrina cristiana, la Chiesa, dopo la celebrazione delle esequie, accompagna la scelta della cremazione con apposite indicazioni liturgiche e pastorali, avendo particolare cura di evitare ogni forma di scandalo o di indifferentismo religioso. 5. Qualora per motivazioni legittime venga fatta la scelta della cremazione del cadavere, le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica. Sin dall’inizio i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana. Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. I fedeli defunti fanno parte della Chiesa, che crede alla comunione «di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa». La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana. In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto, che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione, nonché pratiche sconvenienti o superstiziose. 6. Per i motivi sopra elencati, la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita. Soltanto in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza Episcopale o il Sinodo dei Vescovi delle Chiese Orientali, può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica. Le ceneri, tuttavia, non possono essere divise tra i vari nuclei familiari e vanno sempre assicurati il rispetto e le adeguate condizioni di conservazione. 7. Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione. 8. Nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto”. Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al Cardinale Prefetto, in data 18 Marzo 2016, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione in data 2 Marzo 2016, e ne ha ordinato la pubblicazione in Roma, il 15 Agosto 2016, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Come ci ricorda Dom Guéranger nella sua opera “L’Anno Liturgico”, la Festa di tutti i Santi è la Festa della Chiesa trionfante. “Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio” (Apocalisse 7,9-10). Il tempo è cessato e l’umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giobbe 7,1) un giorno terminerà e l’umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell’Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apocalisse 7,11-14). E sarà la fine, come dice l’Apostolo (1 Cor. 15,24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l’eterno nemico, respinto nell’abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell’uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l’impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28). Molto prima di San Giovanni, Isaia aveva cantato: “Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del Suo vestito scendevano sotto di Lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l’uno all’altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della Tua gloria” (Is. 6,1-3). Le frange del vestimento divino sono quaggiù con gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. 1,3) perché, capo della nostra umanità, il Verbo l’ha sposata e la sposa è la Sua gloria, come Egli è la gloria di Dio (I Cor. 11,7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apocalisse 19,8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell’eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apocalisse 19,7). Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello! (ibid. 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel Battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all’ineffabile destino che ci riserba l’amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono! (Mt. 5,5). Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal. 125) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l’orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Apocalisse 19,5) questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondo all’esodo verso la patria che non avrà fine. Cantiamo anche noi con il Salmista: “Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell’amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. L’ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l’abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio” (Sal. 121). Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e San Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV Secolo, mentre nel secolo precedente San Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 Maggio, si fa la “memoria dei martiri di tutta la terra”. In Occidente i Sacramentari del V e del VI Secolo contengono varie messe in onore dei Santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 Maggio dell’Anno Domini 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L’anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri; Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio “al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero”. Nell’anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 Maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un Editto dell’imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1° Novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e, nel Secolo XV, Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l’Ottava, sono soppresse. L’Uomo-Dio alla Sua venuta sulla terra fece, per mezzo di Cesare Augusto, una prima volta il censimento della terra (Lc. 2,1). Era opportuno che all’inizio della Redenzione fosse rilevato ufficialmente lo stato del mondo. Ora è il momento di farne un secondo, che affiderà al Libro della Vita i risultati delle operazioni di salvezza. “Perché questo censimento del mondo al momento della nascita del Signore, dice San Gregorio in una delle omelie di Natale, se non per farci comprendere che nella carne appariva Colui che doveva poi registrare gli eletti nella eternità?” (Lezione VII dell’Ufficio di Natale). Molti però, a causa dei peccati, si erano sottratti al beneficio del primo censimento, che comprendeva tutti gli uomini nel riscatto di Dio Salvatore, e ne era necessario un secondo che fosse definitivo affinché eliminasse dall’universalità del primo i colpevoli. “Siano cancellati dal Libro dei Vivi; il loro posto non è con i giusti” (Sal. 68,29). Le parole sono del re Profeta e il santo Papa qui le ricorda. Nonostante questo, la Chiesa, tutta gioiosa, non pensa oggi che agli eletti, come se di essi soli si trattasse nel solenne censimento in cui abbiamo veduto terminare la vita dell’umanità. Infatti essi soli contano davanti a Dio, i reprobi non sono che lo scarto di un mondo in cui solo la santità risponde alla generosità del Creatore e all’offerta di un amore infinito. Prestiamo le anime nostre all’impronta che le deve “conformare all’immagine del Figlio unico” (Rom. 8,29) segnandoci come tesoro di Dio. Chi si sottrae all’impronta sacra non eviterà l’impronta della bestia (Apocalisse 13,16) e, nel giorno in cui gli Angeli chiuderanno il conto eterno, ogni moneta, che non potrà essere portata all’attivo di Dio, se ne andrà da sé alla fornace in cui bruceranno le scorie. La Terra è oggi così vicina al Cielo che uno stesso pensiero di felicità riempie i cuori. L’Amico, lo Sposo ritorna in mezzo ai suoi e parla di felicità. “Venite a me voi tutti che avete tribolazioni e sofferenze”. Il versetto dell’Alleluia era con queste parole l’eco della patria e tuttavia ci ricordava l’esilio, ma tosto nel Vangelo è apparsa la grazia e la benignità del nostro Dio Salvatore (Tit. 2,11; 3,4). AscoltiamoLo, perché ci insegna le vie della beata speranza (ibid. 2,12-13), le delizie sante, che sono ad un tempo garanzia ed anticipo della perfetta felicità del cielo. Sul Sinai, Dio teneva l’Ebreo a distanza e dava soltanto precetti e minacce di morte, ma sulla vetta di quest’altra Montagna che non trema, sulla quale è assiso il Figlio di Dio, in modo ben diverso si promulga la Legge dell’Amore! Le otto Beatitudini all’inizio del Nuovo Testamento hanno preso il posto tenuto nell’Antico dal Decalogo inciso sulla pietra. Esse non sopprimono i Comandamenti, ma la loro giustizia sovrabbondante va oltre tutte le prescrizioni e Gesù le trae dal suo Cuore per imprimerle, meglio che sulla pietra, nel cuore del Suo popolo. Sono il ritratto perfetto del Figlio dell’uomo e riassunto della Sua vita redentrice. Guardate dunque e agite secondo il modello che si rivela a voi sulla Montagna (Es. 25,40; Ebr. 8,5) di Dio. La povertà fu il primo contrassegno del Dio di Betlemme e chi mai apparve più dolce del figlio di Maria? Chi pianse per causa più nobile, se Egli già nella greppia espiava le nostre colpe e pacificava il Padre? Gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i pacifici dove troveranno fuori di Lui il modello insuperato, mai raggiunto e sempre imitabile? E la Sua morte lo fa condottiero dei perseguitati per la giustizia! Suprema beatitudine questa della quale più che di tutte le altre, la Sapienza incarnata si compiace e vi ritorna sopra e la precisa e oggi con essa termina, come in un canto d’estasi. La Chiesa non ebbe mai altro ideale. Sulla scia dello Sposo, la sua storia nelle varie epoche fu eco prolungata delle Beatitudini. Cerchiamo di comprendere anche noi e, per la felicità della nostra vita in terra, in attesa dell’eterna, seguiamo il Signore e la Chiesa. Le Beatitudini evangeliche sollevano l’Uomo oltre i tormenti, oltre la morte, che non scuote la pace dei giusti, anzi la perfeziona. La Chiesa dopo averci mostrato la bellezza e la gioia del cielo, dopo la seducente esposizione sulla eternità, avrebbe potuto presentarci la questione che San Benedetto pose al postulante che bussava alla porta del monastero: “Vuoi la vita? Vuoi vedere giorni felici?” (Prologo alla Regola). Avremmo anche noi prontamente risposto: sì. E pare che davvero la questione ce l’abbia silenziosamente posta e che abbia udito il nostro sì, perché prosegue adesso esponendoci le condizioni necessarie per entrare nel Regno dei Cieli. “La speranza di giungere alla ricompensa della salvezza ci alletti, ci attiri, lottiamo volentieri e con tutto l’impegno nello stadio della santità; mentre Dio e Cristo ci guardano. Dato che già abbiamo cominciato ad elevarci sopra il mondo ed il secolo, stiamo attenti, perché nessun desiderio terreno ci attardi. Se l’ultimo giorno ci trova svincolati da ogni cosa, se ci trova in agile corsa nel cammino delle buone opere, il Signore non potrà fare a meno di ricompensare i nostri meriti. Colui che dà, come prezzo della sofferenza, a quelli che hanno saputo vincere nella persecuzione, una corona imporporata, darà pure, come prezzo delle opere di santità, una corona bianca a coloro che avranno saputo vincere nella pace. Abramo, Isacco, Giacobbe non furono messi a morte, ma sono stati tuttavia ritenuti degni dei primi posti fra i Patriarchi, perché tale onore meritarono con la fede e le opere di giustizia, e coloro che saranno trovati fedeli, giusti e degni di lode siederanno al banchetto con questi grandi giusti. Bisogna ricordare però che dobbiamo compiere la volontà di Dio e non la nostra, perché “chi fa la volontà di Dio vive eternamente” (Gv. 2,17) come vive eternamente Dio stesso. “Bisogna dunque che con spirito puro, fede ferma, virtù robusta, carità perfetta, siamo preparati a compiere tutta la volontà di Dio, osservando con coraggiosa fedeltà i Comandamenti del Signore, l’innocenza nella semplicità, l’unione nella carità, la modestia nell’umiltà, l’esattezza nell’impiego, la diligenza nell’assistenza degli afflitti, la misericordia nel sollevare i poveri, la costanza nella difesa della verità, la discrezione nella severità della disciplina e infine bisogna che non lasciamo di seguire o dare l’esempio delle buone opere. Ecco la traccia che tutti i Santi, tornando alla patria, ci hanno lasciata, perché, camminando sulle loro orme, possiamo giungere alle gioie che essi hanno raggiunto” (Beda, 18.mo Discorso sui Santi). È utile lodare i Santi. Una esortazione per i suoi figli la Chiesa la chiede a San Bernardo, e ci parla con la sua voce. “Dato che celebriamo con una festa solenne il ricordo di tutti i Santi, diceva ai suoi monaci l’abate di Chiaravalle, credo utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati, bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri l’elogio. A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi non hanno alcun desiderio di tutto questo. I Santi non hanno bisogno delle nostre cose e la nostra devozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa assolutamente vera. Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio ardente, di un triplice desiderio. Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po’ vederli, e, ciò facendo, abbiamo già “una parte di noi stessi nella terra dei viventi” (Sal. 141,6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che “la nostra vita è nei cieli” (Fil. 3,20). Tuttavia la nostra vita non è in cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro pensiero”. Quindi, occorre desiderare l’aiuto dei Santi. “Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l’aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione. Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione. Io spero inoltre che gli Angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: “visitando la tua specie non peccherai” (Giob. 5,24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l’umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne”. Bisogna avere confidenza nella loro intercessione. “Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell’ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l’uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la Sua discendenza. Così sia” (Discorso sui Santi, passim). Troviamo in San Giovanni Crisostomo la dottrina già esposta: è cosa buona lodare i Santi, ma alla lode bisogna unire l’imitazione delle loro virtù. “Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità. È necessario infatti che chi esalta con gioia i meriti di qualche santo abbia a cuore di essere come lui fedelmente impegnato nel servizio di Dio. O si loda e si imita, o ci si astiene anche dal lodare. Sicché, dando lode ad un altro, ci si rende degni di lode e, ammirando i meriti dei Santi, si diventa ammirabili per una vita santa. Se amiamo le anime giuste e fedeli, perché apprezziamo la loro giustizia e la loro fede, possiamo anche essere quello che sono, facendo quello che fanno”. Ecco spiegata allora la necessità del combattimento. “Tu, o cristiano, sei soldato ben meschino, se credi di vincere senza combattere e di raggiungere il trionfo senza sforzo! Spiega le tue forze, lotta con coraggio, combatti, senza debolezze, nella mischia. Mantieni il patto, rimetti sulle condizioni, renditi conto di che cosa sia l’essere soldato, il patto che hai concluso, le condizioni che hai accettate, la milizia nella quale ti sei arruolato” (Giovanni Crisostomo, Discorso sulla imitazione dei Martiri). Ci giova oggi ricordare la dottrina sulla Risurrezione dei morti, che San Paolo esponeva un giorno ai fedeli di Corinto, sulla grandiosa cerimonia liturgica che la seguirà, e sulla visione beatifica che avremo in premio nell’eternità. Noi risusciteremo, perché Cristo è risuscitato. Questa dottrina riassume in certo modo tutto il Cristianesimo. Il Battesimo è inserzione di ciascuno di noi in Cristo e dal momento che noi siamo entrati nell’unità della Sua vita e formiamo con Lui un solo Corpo mistico e reale insieme, l’interesse è comune, la condizione nostra è legata alla Sua, quello che è avvenuto in Lui deve avvenire in noi: la morte, il seppellimento, la risurrezione, l’ascensione, la vita eterna in Dio. Le membra avranno la sorte del Capo e potremmo dire, propriamente parlando, di essere già risuscitati in Gesù Cristo, perché la sua Risurrezione è causa, motivo, esempio, sicura garanzia della nostra. Cristo non è risuscitato per Sé solo, per conto Suo, ma per noi tutti. Nella Legge antica erano offerte a Dio le spighe mature, in nome di tutta la messe. Il Signore, se è un Essere individuale, è pure il secondo Adamo, essere vivente, che comprende in Sé la moltitudine di quelli che da Lui son nati e perciò, se Egli è risuscitato, tutti sono risuscitati, ma ciascuno a suo tempo; Cristo per primo, poi tutti quelli che sono di Cristo risusciteranno alla Sua venuta. Dopo sarà la fine. Cioè l’inizio della vita eterna. “Sarà la fine. La fine del periodo laborioso nel corso del quale il Signore raccoglie il numero dei Suoi eletti, stabilisce il Suo Regno e annienta i Suoi nemici. Si potrebbe dire altrettanto bene inizio della vita nuova, compimento del disegno di Dio con il ritorno a Lui di tutto quanto avrà acconsentito ad appartenere a Cristo Nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver trionfato su tutte le potenze nemiche, debellata ogni autorità e scardinato ogni potere ostile al Suo, porterà a Dio, suo Padre, tutte le nature umane delle quali è Re e, avendo qual Figlio operato solo per il Padre, Gli riconsegnerà il comando su tutta la Sua conquista. Sì, noi lo sappiamo, tutto si piegherà davanti a Dio in cielo, sulla terra e nell’inferno; tutto sarà sottomesso, fuorché Colui che ha sottomesso a Sé tutte le cose. L’eternità comincerà con una cerimonia liturgica di infinita grandezza. Il Verbo Incarnato, nostro Signore Gesù Cristo, il Re predestinato, circondato dagli Angeli, dagli uomini nati per la Sua grazia e viventi la Sua vita, si metterà alla testa della falange che il Padre gli ha dato e la guiderà e condurrà verso il santuario eterno. Si presenterà con essi davanti al Padre e presenterà e offrirà a Lui la messe immensa degli eletti germogliati dal Suo sangue e si sottometterà con essi alla paterna dominazione di Colui che tutto Gli donò e sottomise, rimettendoGli lo scettro e la regalità della creazione da Lui conquistata, che con Lui entrerà nel seno della Trinità. La famiglia di Dio sarà allora completa e Dio sarà tutto in tutti”. Allora preghiamo: O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di venerare con una sola solennità i meriti di tutti i Tuoi Santi; ti preghiamo di accordarci, in vista di tanta moltitudine di intercessori, l’abbondanza della Tua Misericordia”. Tutti possiamo essere “esorcisti” con la Preghiera, in quanto battezzati cristiani. Ma occorre sempre, nei casi più gravi, l’intervento del Vescovo. Italia, Europa, ricorda, hai le tue radici! Holywins.
© Nicola Facciolini
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