Quando si parla di violenza sulle donne accade spesso che l’attenzione si concentri su di un abuso, un ricordo o qualcosa che ci ha portati almeno una volta nella nostra vita a sentirci molto vicini a questo argomento. Le guerre che occupano ormai i tg ogni mattina e ogni sera confondono. La violenza fine a se stessa è ormai una bestia slegata e oscura, tanto da immaginarci che sia stata creata per renderci lentamente insensibili.
Come donne europee ci troviamo a osservare situazioni limite che ci portano tra le dune della Nigeria, in Siria tra macerie di polvere e corpi oltraggiati oramai indecifrabili, in Palestina tra i diritti negati e l’occupazione sionista e in India, dove le donne restano ancora oggi sottomesse e spesso costrette a divenire spose bambine. Sottovalutiamo quanto sia ancora potente la violenza sia fisica che psicologica a danno delle donne nel mondo. Secondo alcuni dati forniti dall’Agenzia Europea per i Diritti fondamentali almeno il 33% delle donne europee dai 15 anni in su ha subito violenze fisiche, da atti di bullismo nell’ambito scolastico, sino ad arrivare, nel caso di una donna su venti, a uno stupro almeno una volta nella vita. Da questi dati ne emerge uno ancora più triste: quel 12% che non ha trovato la forza di denunciare la violenza, nonostante le numerose campagne d’informazione a sostegno delle donne abusate e i numeri verdi supportati da psicologi professionisti in caso d’urgenza.
Dovremmo porci dei seri dubbi sull’efficienza della nostra società moderna per comprendere al meglio questo risultato. Dovremmo domandarci noi tutti se davvero la violenza stessa sia il problema da sconfiggere o l’idea malata che questa società ci inculca ogni giorno attraverso messaggi pubblicitari: ci chiedono una bellezza perfetta, ricordano che ottenere ciò che più bramiamo è possibile, a qualsiasi costo. Voglio, quindi posso. Ci troviamo in un epoca in cui il dolore lo culliamo dentro la fragile porta dell’insicurezza. Culliamo quella violenza dentro noi stessi, come fosse una vergogna. Una vittima di violenza è uno scrigno che tratterrà per sempre l’incubo di una donna, una madre, un’amante, una fidanzata o una bambina. Il dramma della violenza tratta di un momento in cui viene violata l’ intimità femminile.
Simona Ponente, laureata in psicologia e operatrice discipline del benessere e bio-naturali ed Evelyn, una donna che ha subito uno stupro 12 anni fa, hanno risposto entrambe a una domanda:
Una donna può superare l’evento tragico dello stupro grazie a un supporto adeguato?
Simona Ponente: Una donna che ha subito una violenza sessuale ha bisogno di un aiuto psicologico concreto e immediato. Tendenzialmente la vittima si sente in colpa, prova vergogna per quello che ha subito, sente a volte di aver sbagliato in qualche modo e di averne così la responsabilità, quasi come se meritasse quello che le è accaduto. La psicoterapia permette di rielaborare i vissuti traumatici con un percorso lungo e delicato e può dirsi conclusa nel momento in cui la mente non è più assillata da ricordi e sensazioni traumatiche. La donna non sentirà più l’esigenza di utilizzare delle strategie comportamentali che invalideranno altre aree della sua vita. Aggiungerei che in questi casi sono fondamentali il supporto psicologico e il sostegno della famiglia e degli amici.
Chi ha subito un abuso di solito utilizza un meccanismo di difesa per rimuovere il ricordo. Tu cosa hai cercato di dimenticare ?
Evelyn: Si, mentirei se dicessi il contrario. A differenza di altre donne che probabilmente hanno avuto più coraggio di me, io non raccontai nulla a nessuno per parecchi anni. Tornai a casa il mattino dopo, dopo una notte intera di abusi, come se niente fosse entrai in bagno e mi feci una doccia calda, bollente. Questo gesto mi convinse per pochi istanti che avrei potuto pulire anima e corpo per poter così dimenticare. Non sono più riuscita a legarmi a nessuno o immaginare di poterlo fare. Credo che la mia mente abbia cercato di rimuovere il buio, la sua risata e le sue mani. Ogni giorno lavoro su me stessa per convivere con questo incubo per cui non servono solo le parole giuste, ma quelle giuste per te. Ti trovi poi un giorno a comprendere che per dimenticare o semplicemente accettare, devi rivivertelo dentro, ma questo richiede molto coraggio e persone straordinarie di supporto. Oggi posso dire che piano piano, un passo alla volta ce la sto facendo anch’io.
Antonietta Chiodo-Pressenza
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