Più di 1500 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, ieri hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato.
Lo scopo di questa clamorosa forma di protesta nonviolenta è quella di richiedere delle condizioni carcerarie migliori e di porre fine alla detenzione amministrativa.
La detenzione amministrativa è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere indefinitamente reclusi prigionieri basandosi su prove segrete, senza incriminarli, né processarli, in pratica tenendoli detenuti senza un termine prestabilito, in attesa di un processo che potrebbe non arrivare mai.
Sebbene tale procedura venga usata quasi esclusivamente per i palestinesi dei Territori Occupati, comprendenti Gerusalemme Est, la West Bank e la Striscia di Gaza, talvolta anche cittadini israeliani o stranieri sono stati detenuti in via amministrativa da Israele a seguito delle proteste a favore della condizione palestinese.
Sorprendente sapere che Israele è l’unico Stato al mondo che ha ben tre differenti leggi per poter incarcerare a tempo indefinito senza un regolare processo.
I palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa, così come molti altri prigionieri palestinesi, vengono sottoposti a maltrattamenti e torture nel corso degli interrogatori e a trattamenti crudeli e degradanti durante il periodo di carcere, talvolta a mo’ di punizione proprio per aver intrapreso scioperi della fame o altre forme di protesta.
Inoltre, sia i palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa che le loro famiglie sono costretti a vivere nell’incertezza di non conoscere per quanto tempo resteranno privati della libertà e nell’ingiustizia di non sapere nemmeno perché sono detenuti. Come altri prigionieri palestinesi, vanno incontro a divieti di visite familiari, trasferimenti forzati, espulsioni e periodi d’isolamento.
Queste pratiche a cui vengono sottoposti i detenuti palestinesi non solo rappresentano una palese violazione dei diritti umani fondamentali e dei principi del diritto internazionale da parte del governo d’Israele, ma violano anche ogni principio di rispetto della dignità umana.
In occasione della Giornata dei prigionieri palestinesi, i prigionieri hanno iniziato lo sciopero della fame sotto il motto “Libertà e Dignità”
I partecipanti allo sciopero della fame come segno distintivo si sono rasati la testa.
Lunedì scorso, poco prima dell’inizio di questa clamorosa protesta, l’ufficio del Primo Ministro palestinese, Mahmoud Abbas, ha rilasciato una dichiarazione contenente l’elenco delle richieste degli scioperanti della fame.
I prigionieri palestinesi, secondo il testo, chiedono attenzione ai loro “bisogni fondamentali, ai loro diritti come prigionieri, chiedono di porre fine alla pratica (israeliana) della detenzione amministrativa, alle torture ai maltrattamenti, alla privazione di ogni forma di dignità”.
La nota specifica inoltre, che questa pratica della detenzione amministrativa, ormai viene applicata da tempo persino a numerosi bambini palestinesi al di sotto dei 12 anni di età. Arrivando a negare loro il diritto alla sanità e all’istruzione, imponendogli l’isolamento come trattamento degradante e impedendo persino le visite dei familiari.
In quasi 50 anni di occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, sono stati arrestati e detenuti più di 800.000 palestinesi, proprio tramite la pratica della detenzione amministrativa.
Attualmente nelle carceri israeliane sono detenuti 6.500 prigionieri politici palestinesi, tra cui 57 donne, 300 bambini, 13 membri istituzionali, 18 giornalisti e oltre 800 prigionieri che hanno bisogno urgente di cure mediche.
Vista l’entità, questa protesta nonviolenta per il rispetto dei diritti e della dignità umana, quanto meno dovrebbe trovare largo spazio nei media, purtroppo invece ne danno nota solo fugacemente e marginalmente, come se il rispetto dei diritti umani del popolo palestinese nemmeno appartenesse più a questo mondo e fossero da considerare diritti umani di serie B.
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