Il 9 maggio è nel calendario europeo la “festa dell’Europa” . Tutte le istituzioni dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa sono in vacanza. Cosa festeggiano i 450 milioni di cittadini europei di cui ora è composta l’UE dopo la secessione del Regno Unito? I negoziati in corso sulla Brexit? Non è certo il caso di rallegrarsi dei processi di dis-integrazione europea che a partire dalla fine degli anni ’80 hanno eroso le fondamenta della Comunità europea e dato la nascita all’Unione europea secondo i vecchi postulati della cooperazione intergovernativa tra Stati sovrani. Il ritorno dei muri e delle frontiere fra gli Europei mira non solo ad impedire l’ingresso degli “extra-comunitari”, in particolare gli immigranti dei popoli mediorientali, nord-centroafricani ed asiatici in fuga dalle guerre, le persecuzioni religiose, l’impoverimento.A questo riguardo ,la politica scoordinata dell’immigrazione dell”UE è considerata uno scandalo sociale ed umano. I muri sono stati ricostruiti anche per ridurre la libera circolazione interna e di residenza fra i cittadini della stessa Unione. Le merci ed i capitali invece sono stati sempre più liberalizzati.
Cosi, il patrimonio integrativo europeo si è sviluppato secondo due linee opposte, contraddittorie: da un lato, le merci e i capitali finanziari s’integrano in maniera inuguale e asimmetrica nel “mercato unico “ e nella “moneta unica”contribuendo alla formazione di potenti oligarchie europee tecno-mercantili e finanziarie; dall’altro, la condizione delle persone, delle categorie sociali, delle comunità locali e nazionali e delle strutture economiche e sociali divergono sempre di più fra loro all’interno dell’Unione. Lungi dal favorire l’integrazione politica e democratica dell’Europa, il mercato unico e la moneta unica hanno favorito l’accentuazione delle divergenze fra i paesi e le ineguaglianze socio-territoriali con la conseguente liquificazione delle politche comuni europee e l’evaporazione della democrazia effettiva a livello europeo.
Rallegrarsi per il futuro?
L’incertezza è elevata. Dalle “cerimonie” ufficiali o spontanee (non massicce e popolari) organizzate il 25 marzo in Italia ( molto meno nel resto dell’Europa) in occasione del 60° anniversario del Trattato di Roma che dette vita alla CEE (Comunità Economica Europea) sono emerse due evidenze piuttosto forti. Primo, nessuno pensa che a corto termine (prossimi cinque anni) sia realisticamente possibile sul piano politico realizzare un cambio radicale delle tendenze oggi dominanti. Tutti sperano che, almeno, l‘Unione europea riesca a sopravvivere alla crisi ( le crisi) attuale. Una svolta decisiva in favore di un’Altra Europa, è fortemente esclusa dai più. E’ considerata politicamente impossibile.Secondo, quel che sembra “politicamente” possibile a medio e lungo termine (una generazione) è lo scenario di un’Europa a velocità variabili con un gruppo di paesi “più integrati” in una prospettiva di transizione verso la de-carbonizzazione dell’economia, la digitalizzazione della società e la militarizzazione europea delle politiche di ‘difesa”.
In verità, c’è poco di cui essere allegri. Chiudere la baracca? Abbandonare la forza utopîca e la volontà di partecipare alla costruzione di un divenire europeo diverso, migliore? Impensabile. La storia dimostra che ci possono essere periodi difficili per progredire sul cammino della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza nei diritti, della pace, della democrazia reale. Ma che i cambiamenti “buoni”, anche radicali, avvengono, ci sono stati e ci saranno anche per l’Europa. La soluzione non sta nell’avere pazienza, ma nell’essere impazienti e praticare l’audacia.
Riccardo Petrella-Pressenza
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