Il 28 giugno 2017, in occasione di un suo intervento a Bruxelles sugli effetti di un’eventuale uscita dell’Italia dall’euro, Alberto Bagnai, docente di Politica Economica presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, decise di inaugurare la sua relazione con queste parole: Visto che io dovrei presentare un documento scientifico, in linea di massima dovrei utilizzare l’inglese, poiché l’inglese è la lingua della comunità scientifica. […] Ho appena avuto un’esperienza interessante all’Hotel Radisson. Tre persone, provenienti da tre continenti diversi, che parlano la lingua di un quarto continente, l’America, non riuscivano a capire chi avrebbe pagato la mia camera, alla fine abbiamo applicato le regole di governo non scritte europee, cioè quando qualcuno fa un errore sono gli italiani che pagano e le cose sono andate per l’appunto così e ne ho tratto una lezione molto interessante: l’inglese, nonostante la sua reputazione mondialmente meritata, non è la mia lingua e per questo continuerò il mio intervento in francese, la lingua di Descartes, la lingua dell’Illuminismo, la lingua del Paese anche di Montesquieu e della separazione dei poteri, un principio democratico che questa istituzione viola in modo evidente […].
Allo stesso modo potremmo affermare che in Italia quando qualcuno fa un errore, sono i meridionali che pagano. Succede così da centocinquantasei anni. Ma mentre nel caso italiano la subalternità del Sud rispetto al Nord fu ottenuta passando attraverso il flagello delle armi, con cui fu combattuta una guerra per altro mai dichiarata, oggi lo stesso tipo di annessione della parte meridionale d’Europa – compreso il Bel Paese – a quella settentrionale si sta progressivamente realizzando, a vantaggio di quest’ultima, tramite l’impiego di un’arma chiamata euro che sposta confini non in maniera direttamente proporzionale alla gittata del colpo sparato da un cannone, ma in relazione alla distanza che è in grado di coprire il capitale, per mezzo del quale il concetto di conquista va sempre più cedendo dolcemente il passo a quello di acquisto. Ciò detto, c’è comunque chi ancora continua a credere non solo nel Sud Europa, ma addirittura nell’inespresso potenziale di uno dei territori più meridionali del nostro continente, ovvero il Sud Italia, scorgendo in quest’ultimo addirittura nuovi modelli e opportunità di sviluppo, come ha ad esempio immaginato l’Ing. Agostino De Luca, ideatore con il Dott. Pino Aprile, del progetto SUD 2.0.
Era il 2013 quando in Italia uscì un film scritto e diretto da Fabio Mollo e interpretato, tra gli altri, da Vinicio Marchioni e Valentina Lodovini, dal titolo Il Sud è niente. Un titolo con cui né De Luca né Aprile saranno sicuramente d’accordo. Il loro intento è, infatti, provare a cambiare le regole del giogo tramite cui il Sud è legato al Nord da più di un secolo e mezzo, tramutandole in quelle di un gioco alla pari, affinché il primo possa finalmente iniziare a camminare liberamente sulle sue gambe, tornando a essere padrone del proprio destino e provando così a disegnare un futuro in aperta rotta di collisione con un presente ancora fatto di emigrazione e abbandono.
Il Sud, infatti, continua a perdere i suoi giovani – non che nel resto d’Italia vada meglio – ma, se vogliamo recuperarlo, dobbiamo recuperare questi ultimi e consentire loro di fare rete. Da qui l’idea di un Sud 2.0, capace cioè di dar vita a una rete al quadrato. Qual è dunque il target verso cui il progetto vuol rivolgere la sua azione? Sono proprio i ragazzi del Meridione. L’obiettivo dichiarato consiste nel riuscire a metterli nella condizione di dar vita a delle start up prendendosi cura della sola idea. Altro obiettivo sono anche le imprese già in attività, ma che soffrono la crisi e che per questo hanno difficoltà a stare sul mercato. Il progetto nella sua interezza si chiama infatti: SUD 2.0 – Start & Restart.
Entrambi i soggetti sono chiamati a sottoscrivere un contratto che li obbliga a fare rete tra di loro e a non delocalizzare l’impresa, dal Sud Italia verso altri lidi, per almeno cinque anni. A tutto il resto penserà SUD 2.0, passando attraverso quattro fondamentali fasi operative: campagna di crowd-funding, prossima a essere avviata, per la raccolta di una cifra complessivamente pari a un milione di euro, tramite cui dar vita a nuove imprese e sostenere quelle già esistenti; avvio del giornale, creazione di sei incubatori e lancio start up con lo stanziamento di diecimila euro come input per le attività e sostegno sul piano legale, commerciale e fiscale; apertura a un azionariato popolare; espansione di SUD 2.0 presso banche, università, supermercati e zone di defiscalizzazione per PMI e start up.
Il progetto punta, dunque, a una rinascita del Sud dal basso, ma puntando in alto. Però, non è tutto oro quel che luccica: come si pensa, ad esempio, di voler coniugare questa innovazione di sistema con istituzioni locali per lo più tese a garantire che nulla cambi? Molti sanno, chi più chi meno, dopo aver avuto la (s)ventura di entrare in contatto con le classi dirigenti meridionali, sia passate che attuali, cosa voglia dire toccare con mano il gattopardismo endemico da cui sono servilmente affette, ancor più oggi, in un’epoca in cui anche le classi dirigenti nazionali hanno assunto un ruolo subalterno alla Vichy nei confronti di un governo le cui leve sono ormai collocate ben al di fuori dei confini italiani.
Non possiamo, inoltre, sicuramente dimenticare come dall’Unità a oggi, continui a essere senza dubbio penalizzante per il Sud la carenza infrastrutturale. Come può decollare, senza un’adeguata rampa di lancio, quell’entità che secondo la teoria delle reti, nonché punto programmatico d’arrivo di SUD 2.0, viene definita Emergenza Gigante? Parliamo di un soggetto economico talmente grande e interconnesso al suo interno e dunque talmente rilevante da essere di per sé attrattivo in funzione della sua massa, una sorta di Legge di attrazione universale dei corpi nello spazio applicata all’economia.
Di avvocati il diavolo ne ha tanti. Aggiungersi a questa lunga lista è solo un espediente per ritagliarsi un momento lungo quanto basta per concludere dicendo che, a onor del vero, qui si parla di un’Emergenza Gigante fondata su logiche di cooperazione, più che di competizione, ma in ogni caso delle due l’una: o si auspica che il Sud Italia si trasformi in una gigantesca Silicon Valley in salsa contadina, senza aver però dietro di sé il sostegno di una macchina da guerra economica – e non solo – come gli USA, oppure, se non diventerà questo, allora per provare a smentire Fabio Mollo – secondo cui il Meridione è niente –, cosa potrà mai diventare il Sud secondo la sua futura, auspicabile versione 2.0? A suo tempo Giuseppe Mazzini affermò: L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà.Forse è giunto il momento di cominciare a dargli seriamente ascolto.
Lino Manella-Pressenza
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