Ad oggi il Seresmi (Servizio Regionale di Sorveglianza Malattie Infettive) ha registrato in totale 92 notifiche di casi di Chikungunya. Dunque 6 casi in piu’ rispetto all’ultima rilevazione effettuata nella giornata di 48 ore fa a mercoledi’. Nonostante i casi stiano aumentando, la diffusione della malattia non ha assunto l’andamento esplosivo osservato in alcune aree tropicali in cui e’ penetrata di recente. “In Italia la zanzara tigre e’ in genere attiva da marzo ad ottobre. In opportune condizioni di temperatura e umidita’- spiega Massimo Galli, professore ordinario di Malattie Infettive all’Universita’ di Milano e vicepresidente Simit- la femmina adulta vive 30-40 giorni. La ‘conquista’ di areali di distribuzione al di fuori delle fasce tropicali le ha comportato per la necessita’ di adattarsi per poter passare l’inverno”. La possibilita’ di contenimento in contesto urbano della attuale epidemia di Chikungunya, secondo gli esperti della Simit, dipende quindi molto “dalle condizioni climatiche delle prossime settimane, dalla capacita’ di ridurre i contesti favorevoli alla deposizione delle uova e alla sopravvivenza delle stesse all’inverno dipendono le sorti sia della diffusione prossima della malattia, sia della consistenza delle popolazioni di zanzare il prossimo anno. Per il momento, i repellenti per insetti (quelli a base di Deet offrono una protezione individuale di circa dodici ore, con possibili variazioni) possono offrire un opzione di difesa individuale, specie nelle aree in cui la zanzara tigre risulta piu’ abbondante”.
Il mantenimento della specie nelle aree con inverni freddi e’ garantita quindi dalla sopravvivenza di uova “che entrano in diapausa- prosegue Galli- bloccando cioe’ la loro maturazione nei mesi invernali per riattivarsi poi in primavera. La distribuzione locale e la dimensione delle popolazioni di albopictus e’ determinata da variabili ambientali quali la temperatura media del mese di gennaio, la temperatura media annua e le precipitazioni annuali. Se la temperatura media in gennaio e’ localmente inferiore allo zero vengono in gran parte compromesse le uova deposte l’anno prima, che sono indispensabili per la ricomparsa di una popolazione attiva di zanzare adulte in primavera. Una temperatura media annua superiore agli 11 gradi e’ invece fattore che favorisce la sopravvivenza delle uova ed il mantenimento nell’area interessata di popolazioni attive di zanzare. Per prosperare, infine, la zanzara tigre necessita di una precipitazione annua maggiore ai 500 mm”. La zanzara tigre (Aedes albopictus), spiegano ancora gli esperti Simit- si e’ meritata un posizione di rilievo tra le cento specie invasive piu’ pericolose al mondo, diffondendosi a partire dall’Asia in tutti i continenti, tranne l’Antartide, in poco piu’ di mezzo secolo. L’Europa e’ stata interessata per ultima. In Italia albopictus compare nel 1990 a Genova, dove sbarca probabilmente con un carico di copertoni usati provenienti dagli Usa. Ma e’ verosimile che le vie e le occasioni di ‘importazione’ siano state piu’ di una, e che piante e fiori trasportati dall’Asia in vaso abbiano contribuito a facilitarne molteplici ingressi nel paese.
“Oltre a Chikungunya, la zanzara tigre puo’ trasmettere il virus Zika, quello della Dengue dell’Encefalite di St Louis- fa sapere il vicepresidente Galli- con moderata efficienza quello della febbre gialla e ha un ruolo potenziale nella trasmissione di varie altre malattie virali umane ed animali trasmesse da insetti in area tropicale. È prevalentemente antropofilica, le femmine della specie preferiscono cioe’ pungere gli umani. Puo’ pero’ avere un ruolo nella trasmissione tra cane e uomo della dirofilariosi”. La zanzara punge inoltre piu’ frequentemente all’aperto, ma puo’ adattarsi anche al chiuso e a differenza di molte altre specie, tra cui la comune Culex pipiens, e’ piu’ attiva nelle ore di luce del mattino e del pomeriggio, meno nelle ore centrali della giornata e di notte. Ad ogni pasto ematico assume meno sangue di quanto le necessita per deporre le uova, e pertanto tende a pungere piu’ volte e persone diverse, aumentando la probabilita’ di trasmissione delle infezioni di cui puo’ essere vettore. “Per deporre le uova- spiega il vicepresidente della Simit Galli- le femmine cercano di trovare un surrogato delle cavita’ naturali degli alberi dove la specie le deponeva nelle sue aree d’origine, possibilmente al buio o in penombra. Questo vuol dire che in ambiente urbano le zanzare sceglieranno per deporre le uova barattoli vuoti, sottovasi, grondaie ed in generale qualsiasi oggetto in cui possa formarsi una raccolta d’acqua. Le uova possono infatti resistere in ambiente secco per oltre sei mesi, ma hanno bisogno di acqua per schiudersi. La zanzara tigre e’ molto stanziale e se non viene trasportata da vento forte, trascorre l’intera sua vita nel raggio di meno di 200 metri dal punto dove e’ stato deposto l’uovo da cui e’ nata”.
Il contenimento di questa specie di zanzara e’ considerato molto difficile. Il controllo e’ principalmente basato sull’uso di larvicidi o sulla dispersione ambientale di insetticidi (piretroidi o organofosforici) per l’eliminazione degli adulti. Questi interventi presentano limiti non solo per il costo elevato, ma anche perche’ la zanzara potrebbe essere resistente o sviluppare successivamente resistenza ad alcuni degli insetticidi utilizzati. Negli Stati Uniti, ad esempio, popolazioni di albopictus raccolte in aree diverse hanno evidenziato resistenza a insetticidi diversi. La resistenza al Ddt, trovata localmente in alcune popolazioni di zanzare, probabilmente era gia’ presente nelle zanzare state importate per prime dall’estero e poi geneticamente trasmessa alle loro discendenti. “Importanza strategica- aggiunge infine Galli- hanno inoltre la scelta dei tempi di disinfestazione e la sincronia degli interventi nella stessa area. L’efficacia e il rapporto costo-efficacia degli interventi tardivi sugli adulti, specie in aree metropolitane, e’ oggetto di discussione. Strategie alternative, come l’infezione con un batterio, Wolbachia pipientis, che induce sterilita’ nella zanzara e l’immissione nell’ambiente di grandi quantita’ di maschi resi sterili per irradiazione, che vadano a competere con i maschi fertili riducendo la percentuale delle uova fertilizzate, sono ancora, anche se promettenti- conclude il vicepresidente della Simit- da considerarsi sperimentali e non applicabili a breve termine”.
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