“Plant revolution” è il libro con cui Stefano Mancuso ci manda un messaggio chiaro: se si cerca un sistema in grado di dare risposte ai molti problemi che affliggono l’umanità, le piante possono dare risposte eccezionali ad iniziare dal fatto che senza di loro, noi non esisteremmo.
Se si cerca un sistema in grado di dare risposte ai molti problemi che affliggono l’umanità, le piante possono dare risposte eccezionali ad iniziare dal fatto che senza di loro, noi non esisteremmo.
Nel suo recente libro Plant revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Stefano Mancuso ci dà una serie di indicazioni preziose sulle piante che sono assai poco conosciute. Vengono analizzate nelle loro varie componenti scoprendo le loro straordinarie capacità di resilienza con esempi eccezionali come la Boquilla in grado di imitare ogni volta le foglie della specie a cui sia vicina e ne consegue che quindi le piante abbiano una sorta di capacità di “vedere”. “Poter regolare con una simile flessibilità i caratteri delle foglie significa modulare l’espressione dei propri geni in un modo finora mai visto” scrive Mancuso.
Mancuso cita il cosiddetto progresso che accentrando qualsiasi cosa per gestirne meglio il potere ha fatto sì che «oggi tre specie vegetali – grano, mais e riso- forniscano da sole circa il 60% delle calorie consumate dall’umanità»; «prima dell’invenzione dell’agricoltura l’uomo consumava centinaia di specie vegetali diverse». Si può ben immaginare il rischio di questa scelta dato che ci rende, così come per i combustibili fossili, dipendenti da poche fonti alimentari in mano ad enormi multinazionali.
Tra i tanti esempi che Mancuso illustra, la cosa più straordinaria di tutte è la capacità delle piante di prendere decisioni e di agire. Le piante si dimostrano quindi di gran lunga la più intelligente forma vivente del pianeta, noi compresi.
«Il modello vegetale non prevede un cervello che svolge il ruolo di comando centrale, né organi singoli o doppi alle sue dipendenze. In un certo senso l’organizzazione delle piante è il segno stesso della loro modernità: hanno una architettura modulare cooperativa, distribuita e senza centri di comando, in grado di sopportare alla perfezione predazioni catastrofiche e ripetute».
Poi Mancuso si sofferma sul fattore velocità aspetto fondamentale per le nostre società moderne: «La velocità è un fattore del tutto marginale nella vita delle piante. Ciò che davvero interessa loro non è tanto rispondere in fretta, ma bene, così da risolvere i problemi». Mentre invece l’umanità prima agisce poi si chiede (o il più delle volte non se lo chiede affatto) se quello che ha fatto risolve effettivamente il problema. Basti pensare ad alcune delle migliaia di decisioni scellerate, dall’energia atomica all’utilizzo dei combustibili fossili, dalla chimica in agricoltura allo sfruttamento indiscriminato di tutte le risorse disponibili. Oggi è sempre più chiaro che queste decisioni niente affatto ponderate, figlie anche del mito della velocità, ci stanno portando ad un punto drammatico di non ritorno.
E ancora sulla velocità
«Per i vegetali la questione della velocità è del tutto irrilevante. Se anche l’ambiente in cui la pianta vive diventa freddo, caldo o pieno di predatori, la celerità della risposta animale non ha comunque per essa alcun significato. Molto più importante è trovare una soluzione efficace al problema; qualcosa che permetta di sopravvivere nonostante il caldo, il freddo o la comparsa di predatori. Per riuscire in questo difficile compito, è di gran lunga preferibile un’organizzazione decentrata. Come vedremo, questa consente risposte più innovative e, essendo letteralmente radicata, permette una conoscenza assai più raffinata dell’ambiente».
Passando quindi alla capacità delle piante di affrontare i problemi Mancuso afferma: «Le piante sono organismi in grado di utilizzare le proprietà emergenti delle interazioni fra gruppi per rispondere ai problemi ed adottare soluzioni anche molto complesse. D’altronde tale capacità dovuta all’organizzazione distribuita e alla mancanza di livelli gerarchici ha un efficacia così alta da essere presente quasi dappertutto in natura, comprese numerose manifestazioni del comportamento umano».
In merito a sistemi di oligarchie e democrazie intese nel senso ateniese del termine, Mancuso ribadisce che: «Non solo le oligarchie (in natura n.d.a.) sono rare, le gerarchie immaginarie e la cosiddetta legge della foresta una banale stupidaggine; quel che è più rilevante è che simili strutture non funzionano bene. Le organizzazioni ampie, distribuite e senza centri di controllo in natura sono sempre le più efficienti. I recenti progressi della biologia nello studio del comportamento dei gruppi indicano, senza ombra di dubbio, che le decisioni prese da un numero elevato di individui sono quasi sempre migliori di quelle adottate da pochi. In alcuni casi la capacità dei gruppi di risolvere problemi complessi è strabiliante. L’idea che la democrazia sia una istituzione contro natura, dunque, resta solo una delle più seducenti menzogne inventate dall’uomo per giustificare la sua, contronaturale, sete di potere individuale».
E per sfatare ulteriormente il mito della legge della giungla e del più forte, Mancuso segnala lo studio di Larissa Condrat e T.J. Roper, in cui i due studiosi ribadiscono che «le decisioni di gruppo sono la norma per il mondo animale, e individuano nel meccanismo “democratico” della partecipazione il metodo di gran lunga più frequente per prenderle. A differenza della via “dispotica”, infatti, esso assicura minori costi per i membri dell’intera comunità; anche quando il “despota” è l’individuo più esperto, se il gruppo è di dimensioni abbastanza grandi la prassi democratica assicura migliori risultati. In breve, la partecipazione alla produzione delle decisioni è il sistema che l’evoluzione premia di più; le scelte di gruppo rispondono meglio ai bisogni della maggior parte dei membri della comunità anche rispetto a quelle di un “capo illuminato”».
E analizzando i fenomeni in natura in merito all’intelligenza collettiva Mancuso ribadisce: «Esistono principi generali che reggono l’organizzazione dei gruppi così da rendere possibile l’emersione di un’intelligenza collettiva superiore a quella dei singoli individui che la compongono. Se doveste sentire ancora il banale luogo comune secondo cui in natura vige la legge del più forte, sappiate che si tratta di sciocchezze; in natura, prendere decisioni condivise è la miglior garanzia di risolvere correttamente problemi complessi».
«Il fatto che laddove ci siano dei gruppi, si sviluppino sistemi simili (democratici n.d.a.), attesta l’esistenza di principi generali di organizzazione che rendono i gruppi più intelligenti del più intelligente dei singoli che li compongono».
«Ogni organizzazione in cui la gerarchia affida a pochi il compito di decidere per molti è inesorabilmente destinato a fallire, specie in un mondo che richiede soluzioni differenti e innovative. Il futuro non potrà che far propria la metafora vegetale. Le società che nel passato si sono sviluppate grazie ad una rigida divisione funzionale del lavoro e ad una ferrea struttura gerarchica dovranno in avvenire essere allo stesso tempo ancorata al territorio e decentrate, dislocando potere decisionale e funzioni di comando alle varie cellulae del proprio corpo, e trasformarsi da piramidi in reti distribuite orizzontalmente».
Non rimane quindi che imparare dalle piante e della natura e la loro capacità di darci soluzioni efficaci nel rispetto di tutti.
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