L’accostamento di Claude Monet con il Gran Sasso, che qualche commentatore ha mostrato di apprezzare, merita un piccolo approfondimento. Esso è stato dovuto al…caso. Avevo appena scritto le parole della piccola poesia, che di seguito riporto, così come mi erano sgorgate dall’anima commossa. Ho creduto poi di trovare un’immagine adatta da accostare alla foto nel dipinto del grande pittore impressionista. Ma il caso, come dice il filosofo Jean Guitton, è soltanto l’illusione della nostra ignoranza. La rassomiglianza tra le due immagini è straordinaria: il dipinto sembra la trasposizione fantastica della fotografia.
A ben vedere, i miei versi sono più appropriati a descrivere il dipinto di Monet che l’immagine della foto del Gran Sasso. In altri termini, ho prestato le parole a Monet. Sono i piccoli miracoli dell’arte, i corto-circuiti della grande anima universale, che agisce al di là dello spazio e del tempo, e quali che siano gli strumenti espressivi che si usano: parole, colori, suoni. Come ho riferito in risposta ad un commento, mi è capitato qualche anno fa di ammirare nel Musée d’Orsay, a Parigi, un quadro di Jean-Francois Millet, il grande paesaggista della Normandia, “Jeune fille gardant ses moutons” (Fanciulla a guardia delle sue pecore), e ho avuto l’impressione di avere di fronte un’immagine della campagna abruzzese di fine Ottocento.
Ho concluso che, al di là della maggiore o minore rassomiglianza dei paesaggi – francesi, europei o di altri luoghi -, nella grande tavolozza dell’anima i colori sono sempre gli stessi: si tratta di saperli usare in maniera da produrre un’opera d’arte, cioè da trasmettere un’emozione riconoscibile. Musica, pittura, scrittura sono timbri di un’unica voce: la poesia. La scrittura poetica, in qualche modo, li può riprodurre e ricomprendere tutti: si possono far vibrare le parole come le corde di un violino e dare alle descrizioni i colori del nostro vissuto. La poesia può diventare la vera lingua comune dell’Europa.
GUARDANDO IL GRAN SASSO UNA MATTINA D’INVERNO
Scivolano sulla neve
i miei pensieri,
s’aggrappano sulla roccia
i miei ricordi.
Squarci d’azzurro
e d’infinito,
spruzzi di luce
e di mistero…
Folate improvvise
di emozioni…
volti a lungo
accarezzati,
voci antiche e
sempre nuove,
sguardi leggeri
e trasognati,
come ali
che volano
verso nidi riscaldati…
Giuseppe Lalli
*Giuseppe Lalli è nato ad Assergi, frazione dell’Aquila, il 5 settembre 1954. Nel piccolo borgo ai piedi del Gran Sasso ha frequentato la scuola elementare, alunno dell’indimenticabile Irma Castri in Vespa, madre di un noto volto televisivo, dalla quale ha appreso, insieme ai primi rudimenti, l’amore per lo studio e l’educazione ai più autentici valori della vita. Ha poi frequentato le scuole medie nel vicino centro di Paganica e si è diplomato all’Aquila presso l’Istituto Tecnico Commerciale “Luigi Rendina”. Ha lavorato in una banca per più di quarant’anni. Mentre lavorava, si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Teramo e in Filosofia presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Ha collaborato per un certo periodo con il prof. Umberto Dante alla cattedra di Storia Moderna e Contemporanea della Facoltà di Scienze della Formazione dell’ateneo aquilano, in qualità di cultore della materia. Vive nel capoluogo abruzzese, è sposato con due figli e nonno di una bambina di due anni. Da quando è libero dagli impegni del lavoro professionale, si dedica allo studio del pensiero cattolico e, obbedendo al piccolo demone della scrittura dal quale si sente posseduto fin da ragazzo, collabora assiduamente con il giornale on line “Assergi racconta”.
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