“La pulizia etnica ai danni della comunita’ dei rohingya in Myanmar continua. Non penso che possiamo dedurre nessun’altra conclusione dopo cio’ che ho visto e sentito in Cox’s Bazar”. Lo ha detto Andrew Gilmour, vice-segretario generale dell’Onu per i diritti umani, di ritorno da un viaggio di quattro giorni nella regione bengalese al confine col Myanmar per monitorare la situazione in cui vivono gli oltre 650mila profughi rohingya. Stando a quanto gli esuli hanno riferito al rappresentante Onu, nel Rakhine non si sarebbero interrotte le “violenze sistematiche” contro questa comunita’ nonostante la vicenda da fine agosto scorso non smetta di suscitare il biasimo di una larga fetta della comunita’ internazionale. E secondo Gilmour la strategia impiegata dall’esercito e’ cambiata: “Dagli attacchi continui e dallo stupro di massa dello scorso anno si e’ passati a una campagna di terrore e di ‘fame forzata’ che sembra puntare a spingere i rohingya rimasti a partire per il Bangladesh. Sebbene il governo birmano sia fortemente impegnato a dire al mondo che e’ pronto a ricevere i rohingya di ritorno dal Bangladesh, al tempo stesso le sue forze continuano a spingerli verso il Bangladesh”.
A queste affermazioni ha risposto James Gomez, direttore di Amnesty International per l’Asia sudorientale e il Pacifico: “Le conclusioni delle Nazioni Unite riecheggiano tristemente le nostre, ossia che e’ fuor di dubbio che la feroce campagna di pulizia etnica contro i rohingya sia ancora in corso. I rohingya in fuga ci hanno detto di essere ancora tenuti in una condizione di fame forzata, nel tentativo di spingerli silenziosamente fuori dal paese. Si tratta di un’ulteriore prova che qualsiasi piano per il rimpatrio organizzato dei rifugiati rohingya dal Bangladesh e’ estremamente prematuro”, ha aggiunto il responsabile, riferendosi all’accordo di rimpatrio stretto a novembre tra i due governi. Il direttore di Amnesty ha chiesto al governo birmano di “porre fine a tutte le operazioni che mirano ad allontanare forzatamente i rohingya dalla loro terra, o con le armi o portandoli alla fame. Per la comunita’ internazionale inoltre non e’ piu’ rimandabile il momento di intervenire in maniera significativa, anche imponendo un embargo sulle armi e sanzioni mirate”.
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