Riapre alle visite, a Roma, il rifugio antiaereo dei Savoia, dopo che e’ stata firmata la convenzione per la gestione congiunta dei bunker di Villa Ada-Savoia e di Villa Torlonia per i prossimi tre anni tra la Sovrintendenza capitolina e l’associazione Roma Sotterranea, aggiudicataria del bando pubblico indetto nell’agosto 2017. Mentre per i bunker di Mussolini a Villa Torlonia sono ancora in atto gli interventi di recupero e riallestimento, il rifugio antiaereo dei Savoia, all’interno di Villa Ada, oggi (25 aprile) torna fruibile al pubblico in tutto il suo fascino storico e riaprira’ con due importanti novita’: il recupero dello scudo antiaereo posizionato al di sopra del bunker che, entrera’ a far parte del circuito di visita e l’esposizione della riproduzione dei documenti inediti che attestano l’esatta data di inizio e di fine lavori, la ditta che costrui’ il bunker ed il costo dell’intero lavoro. Si sta inoltre allestendo un percorso piu’ breve che permettera’ di raggiungere lo scudo con un sentiero che partira’ dall’entrata del bunker. Infine, all’interno del bunker si riproporranno mostre d’arte e spettacoli teatrali di rievocazione storica e collaborazioni con altre associazioni. Le modalita’ di accesso al bunker sono pubblicate sul sito www.bunkervillaada.it.
Il rifugio antiaereo era adibito a uso esclusivo della famiglia Reale. Con una scelta quantomeno singolare, il luogo dove edificare il bunker fu individuato in direzione nord rispetto alla Palazzina Reale, a una distanza in linea d’aria di circa 350 metri. I progettisti poterono sfruttare il cambio di quota dovuto alla presenza di una collinetta, il cosiddetto Colle delle Cavalle Madri. Il bunker fu dunque scavato all’interno del banco tufaceo della collina, forse sfruttando in parte degli ambienti di cava gia’ esistenti. In questo modo l’accesso avveniva a livello, senza dover percorrere scale o rampe. La principale particolarita’ del bunker, grazie a questa caratteristica, era quella di poter accogliere al suo interno delle autovetture. La distanza dalla residenza obbligava infatti a raggiungerlo non certamente a piedi, operazione assai rischiosa durante un allarme aereo. Un breve spostamento in auto, dirigendo prima verso nord, lasciandosi alla destra le scuderie, e scendendo poi in direzione ovest per una stradina a tornanti, permetteva di arrivarvi in non piu’ di 3-4 minuti. La struttura, che si sviluppa totalmente in sotterraneo per piu’ di 200 mq, ha una forma piu’ o meno circolare. L’accesso al rifugio avveniva immettendosi in una corta galleria a doppia curva: ci si trovava quindi di fronte a un massiccio portone a due battenti, l’ingresso carrabile al rifugio. Le due ante, ancora al loro posto, pesano circa 1.200 kg l’una e furono realizzate colando del cemento all’interno della porta in ferro, spessa 20 cm. Sulla sinistra una porta blindata dava accesso a una prima stanza e poi, attraverso una porta antigas, a una seconda stanza, il vero cuore del bunker: si tratta di una camera ad alta pressione sul modello tedesco, dotata di un efficace sistema di filtri per la depurazione e il ricambio dell’aria e di un sistema autonomo che permetteva, anche in assenza di energia elettrica o di malfunzionamento dei motori, di poter garantire il funzionamento dell’impianto di aerazione e filtraggio grazie a un sistema azionato da propulsione umana, tramite energia cinetica creata pedalando su una sorta di ‘bicicletta’. Questi impianti erano identificati come ‘elettroventilatori a pedaliere’. Completano il rifugio 2 bagni, un’anticamera e 2 ambienti di servizio. In tutti gli ambienti stupiscono la cura nella realizzazione e gli evidenti richiami, sia nell’uso dei materiali che in alcuni particolari, all’architettura razionalista tipica dell’epoca. Il bunker era dotato di una via di fuga secondaria: sono 40 i gradini della splendida scala a chiocciola in travertino che si devono salire per raggiungere un piccolo manufatto cilindrico in mattoni con copertura a forma di fungo, posizionato nella parte alta della collina. Al suo fianco si trova una struttura composta da lastroni in cemento; questo e’ un vero e proprio ‘scudo’ a protezione degli ambienti sotterranei, perfettamente mimetizzato grazie alla folta vegetazione circostante composta da alti pini marittimi che, con le loro ampie chiome, contribuivano perfettamente allo scopo. Per un’ulteriore mimetizzazione, lo scudo era stato inoltre ricoperto con del pezzame di tufo, forse estratto proprio durante la realizzazione del rifugio. I lastroni erano sostenuti da esili muretti a mattoni, nei quali si aprono ampi archi; al momento dell’esplosione i muretti avrebbero ceduto ammortizzando l’impatto delle bombe e creando un effetto a cuscinetto. La protezione dai gas era garantita da guarnizioni in gomma di cui erano dotate tutte le porte, compreso il grande portone carrabile. Su alcune porte le guarnizioni sono ancora miracolosamente al loro posto.
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