“A me non piace fare cose eclatanti, farmi crescere la barba, incatenarmi. Mi vergognerei.
Chiedo solo aiuto perche’ credo che ancora esiste un pezzo di Stato che funziona. Vorrei che venga rivisitata tutta la mia posizione giuridica, perche’ per ogni attentato subito, e sono sette, piu’ un tentato omicidio, ho avuto sempre davanti un procuratore nuovo, al quale ho dovuto raccontare le cose, il fascicolo non e’ mai stato raccolto in maniera appropriato. Ho bisogno che qualche procuratore si metta di buona lena a ragionare su tutta la mia storia”. Cosi’ Tiberio Bentivoglio, imprenditore di Reggio Calabria, titolare di una sanitaria, da 26 anni esposto a continue intimidazioni da parte della ‘ndrangheta, incontrando i giornalisti per denunciare le enormi difficolta’ burocratiche alle quali deve fare fronte. Con lui diversi esponenti dell’associazione Libera ed altri imprenditori della rete ‘contro il pizzo’. Per i numerosi attentati subiti il negozio di Bentivoglio e’ presidiato costantemente dall’Esercito. “I ritardi della magistratura, che svolge una grande attivita’ sono dovuti all’enorme lavoro che hanno – ha aggiunto Bentivoglio – le scrivanie dei procuratori sono stracolme di fascicoli. La politica, invece non si e’ mai interessata seriamente a queste vicende, ne’ a quelle di tutte le vittime di mafia. Mi sono sempre dichiarato parte lesa in tutti i procedimenti e le denunce che ho avviato dal 1992 ad oggi – ha affermato – pero’ se la giustizia arriva tardi non e’ giustizia. Mi sento un testimone di verita’ in attesa di giustizia, sfortunato nell’aver incontrato un pezzo di Stato che non ha funzionato. Ad ogni evento doloso abbiamo scelto la strada della denuncia. Sui tavoli della procura abbiamo portato decine e decine di indizi per facilitare il lavoro degli inquirenti e consentire di costruire le prove necessarie per dare vita ai processi. Non denunce generiche e superficiali: abbiamo sempre raccontato ogni cosa nei minimi particolari e fatto i nomi di chi ci ha martoriato pretendendo i frutti dei nostri sacrifici. Inoltre nei procedimenti penali dove siamo stati riconosciuti parte offesa ci siamo sempre costituiti parte civile”. Nel tempo pero’ i debiti, ha ricordato l’imprenditore “aumentano e i risarcimenti non sempre sono sufficienti e tempestivi per far fronte a quanto chiesto dalle banche abbiamo perso molti clienti. Anche poco prima di riaprire l’attivita’ nel marzo del 2016, in un locale commerciale confiscato alla ‘ndrangheta, e sul quale ho un contratto di affitto, ho subito l’incendio di un magazzino con tutta la merce che doveva essere trasferita nel negozio. Devo ringraziare gli amici e i partenti se siamo riusciti ad aprire. Io non mi arrendero’ mai – ha concluso Bentivoglio – se dovro’ chiudere non lo faro’ perche’ vinto dalla ‘ndrangheta ma perche’ non riusciro’ a pagare di debiti che purtroppo si stanno accumulando. La mia casa e’ stata ipotecata ed e’ stato posta all’asta. Se la perdero’ dormiro’ dentro il negozio e mettero’ un cartello con scritto: chiuso per assenza dello Stato”.
Mafie. Imprenditore: “Da testimone verità chiedo aiuto a Stato che funziona”
“A me non piace fare cose eclatanti, farmi crescere la barba, incatenarmi. Mi vergognerei. Chiedo solo aiuto perche’ credo che ancora esiste un pezzo di Stato che funziona. Vorrei che venga rivisitata tutta la mia posizione giuridica, perche’ per ogni attentato subito, e sono sette, piu’ un tentato omicidio, ho avuto sempre davanti un procuratore […]
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