Almeno 49 bambini sono stati uccisi al confine con Gaza e più di 6.000 sono rimasti feriti, di cui quasi la metà in modo grave, a un anno dall’inizio delle proteste per la Marcia del Ritorno. Numeri che Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – porta oggi alla luce per ribadire a tutte le parti coinvolte di agire immediatamente per affrontare le cause alla radice del conflitto e garantire la necessaria protezione a tutti i bambini, in uno scenario caratterizzato dalla recente escalation di violenze nell’area.
Secondo quanto riportato dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, sottolinea Save the Children, i bambini sono stati colpiti dai soldati israeliani con munizioni e proiettili di gomma e hanno subito gravi conseguenze in seguito all’inalazione di gas lacrimogeni lanciati lungo la barriera. Tra coloro che sono sopravvissuti, in tanti hanno subito lesioni gravissime e indelebili e non hanno potuto accedere a cure mediche adeguate di cui avevano urgente bisogno.
La richiesta di assistenza medica specialistica, infatti, ha superato di gran lunga le capacità del sistema sanitario di Gaza, ormai paralizzato da anni a causa del blocco. Secondo i dati dell’OMS, nel corso dell’ultimo anno l’80% dei bambini feriti durante le proteste, che hanno chiesto di poter lasciare Gaza per ricevere cure mediche di emergenza in Israele, si sono visti negare o ritardare i loro permessi.
Save the Children e i suoi partner sul territorio hanno raccolto le testimonianze di migliaia di bambini coinvolti nelle proteste. Molti stanno lottando per superare le gravi ferite subite, tra cui amputazioni, perdita della vista e lesioni alla testa, che in molti casi avranno ripercussioni per il resto della loro vita e che non possono essere curate adeguatamente per via della debolezza del sistema sanitario. Secondo l’OMS, 21 bambini hanno subito l’amputazione degli arti superiori o inferiori a seguito delle ferite riportate durante le proteste.
Faris*, 16 anni, è stato colpito dai proiettili a una gamba mentre partecipava a una manifestazione di protesta nell’ottobre dello scorso anno. I medici gli hanno subito prescritto cure di emergenza in Israele e lui è stato uno dei pochi ai quali è stato concesso il permesso di viaggiare. Tuttavia il suo permesso ha subito un ritardo di cinque giorni e quando è finalmente arrivato in ospedale, a Gerusalemme, non è stato possibile salvargli la gamba e si è resa necessaria l’amputazione sopra il ginocchio.
“Non avevo nessuna arma con me, stavo lì in piedi come tutte le altre persone – ricorda Faris del giorno in cui è stato colpito – Quando sono stato ferito, ho iniziato a urlare chiedendo disperatamente aiuto. Mi hanno portato in ospedale e il dolore era insopportabile. Ricordo ancora che la mia gamba era gelida”.
Oltre 20.000 gli adulti feriti durante le proteste, tra il 30 marzo e il 31 gennaio scorsi, ai quali si aggiungono anche quattro soldati israeliani, mentre un altro militare israeliano è stato ucciso in uno dei giorni delle proteste, ma lontano dal luogo delle manifestazioni.
Save the Children fa proprio l’appello delle Nazioni Unite per porre immediatamente fine all’uso eccessivo della forza da parte di Israele nei confronti dei bambini al confine. L’Organizzazione sostiene inoltre l’appello dell’Onu affinché Israele riveda le regole militari di ingaggio relativamente all’uso di munizioni contro i bambini durante le proteste.
“I nostri team a Gaza ci dicono che le tensioni stanno crescendo e ci sono serie preoccupazioni che le proteste di questo venerdì possano essere ancora peggiori. L’uccisione e la mutilazione dei bambini è semplicemente inaccettabile e, come in tutti i conflitti, i responsabili devono essere ritenuti responsabili. Auspichiamo che tutte le proteste possano svolgersi in modo pacifico. Chiediamo quindi a tutte le parti coinvolte di affrontare le cause alla radice del conflitto, ponendo fine al blocco e garantendo la protezione sia ai palestinesi che agli israeliani”, ha dichiarato Jeremy Stoner, Direttore di Save the Children in Medio Oriente.
Oltre alle ferite fisiche subite, a destare particolare preoccupazione è anche la salute mentale dei bambini a Gaza. Dalle ricerche condotte da Save the Children, infatti, emerge che, anche prima delle proteste, molti bambini a Gaza soffrivano le conseguenze dei traumi subiti, come ansia e depressione a causa di una crisi umanitaria in corso da anni.
“Quando sono per strada, vedo gli altri bambini giocare a calcio, correre e mi arrabbio. Non riesco a sopportare quello che mi è successo. Da quando ho perso la gamba, resto sempre a casa, non esco più e non faccio nulla“, ha raccontato ancora Faris.
Ali*, 16 anni, è stato gravemente ferito da una scheggia alla gamba mentre partecipava a una protesta nel giugno 2018. Quattro mesi più tardi, suo fratello minore Yousef*, 14 anni, è stato colpito al petto da un proiettile durante le proteste ed è morto.
“La nostra casa sembra vuota ora che mio fratello non c’è più, lui la riempiva di vita e gioia. Quando mio padre è andato a cercarlo, prima gli hanno detto che gli avevano sparato, poi siamo andati all’ospedale di Shifaa e ci hanno detto che era morto. È stato uno shock per tutti noi. Non volevo più stare a casa perché era piena di suoi ricordi”, è il racconto di Ali.
“Un anno fa abbiamo chiesto la fine dell’uso di cecchini e munizioni, da parte del governo israeliano, contro i bambini durante le manifestazioni al confine con Gaza. Siamo costretti a rinnovare ancora una volta il nostro appello perché i bambini continuano a essere uccisi o feriti gravemente. Se tutto questo non cesserà, il numero delle vittime continuerà ad aumentare. Chiediamo pertanto a tutte le parti coinvolte di dare la priorità assoluta alla protezione dei bambini – ha proseguito Jeremy Stoner – I bambini vedono i loro amici e i loro genitori che vengono colpiti e sono costretti a convivere con le conseguenze di questa situazione senza poter ricevere il supporto adeguato per recuperare sia dal punto di vista fisico che mentale. Siamo profondamente preoccupati per l’impatto psicologico che l’esposizione prolungata a tali violenze potrà avere sui bambini di Gaza”.
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