Sono i Paesi poveri a pagare le conseguenze della crisi climatica. Le comunita’ piu’ fragili saranno le piu’ duramente colpite dall’impatto del riscaldamento globale, dalla crisi alimentare legata alla siccita’ e ai disastri climatici. Entro il 2030, 100 milioni di persone in piu’ sono destinate a vivere in condizioni di estrema poverta’ proprio a causa dei cambiamenti climatici. Le nazioni in via di sviluppo si faranno carico di almeno il 75% dei costi causati dalla crisi climatica nonostante il fatto che la meta’ piu’ povera della popolazione mondiale generi solo il 10% delle emissioni di CO2 a livello globale. Le disuguaglianze economiche aumentano di pari passo con l’aumentare delle temperature. Se si dovesse superare la soglia di aumento di 2 gradi centigradi, tra i 100 e i 400 milioni di persone in piu’ soffriranno la fame, facendo arrivare a 3 milioni all’anno il numero dei morti per malnutrizione. Nella settimana del Global Climate Strike, alla vigilia del Climate Action Summit delle Nazioni Unite, ActionAid chiede ai governi di agire adesso per realizzare almeno tre obiettivi: 1. Riduzione delle emissioni. Solo se tutti i Paesi contribuiranno equamente si potra’ evitare che la temperatura globale aumenti di piu’ di 1,5 gradi centigradi. Serve un cambiamento radicale che per i Paesi ricchi significa abbandonare la dipendenza dai carburanti fossili e dal modello di agricoltura industriale per una transizione verde. 2. Mettere in atto politiche climatiche che rispettino l’ambiente e i diritti umani, con particolare attenzione alle donne e alle comunita’ rurali e indigene. 3. I Paesi sviluppati devono rispettare l’obiettivo di 100 miliardi di dollari l’anno per la l’adattamento al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo, investendo in modelli di produzione agroecologici, nell’adozione e implementazione dei Piani di adattamento nazionali e attraverso il rafforzamento dei sistemi di allerta precoce e strategie di riduzione dei rischi a livello comunitario. “Il momento per un radicale cambio di rotta e’ adesso. È urgente mobilitarsi perche’ i governi decidano finalmente di intervenire per arrestare la crisi climatica, le cui conseguenze pesano soprattutto sulle spalle dei piu’ poveri. Il diritto al cibo, all’acqua, alla salute, alla casa sono diritti umani basilari, che vanno difesi e sostenuti in ogni parte del mondo”, dichiara Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid.
Le popolazioni piu’ fragili pagano le conseguenze della crisi climatica anche in termini di impatto dei disastri naturali, la cui frequenza e’ aumentata a causa delle temperature piu’ elevate. All’inizio di quest’anno, il passaggio del ciclone tropicale Idai, che ha devastato intere regioni in Mozambico, Malawi e Zimbabwe, ha colpito circa 3 milioni di persone, facendo centinaia di vittime. Tuttora, sono migliaia i contadini in queste zone che stanno combattendo per ricostruire le loro attivita’. In Italia 7 milioni di persone risiedono in territori classificati a maggiore pericolositaÌ per frane e alluvioni. Le comunita’ del Sud est asiatico combattono quotidianamente ormai per sopravvivere alle alluvioni causate dalle piogge monsoniche; in Bangladesh, Senegal e Vietnam interi villaggi sono stati costretti a migrare a causa dei processi di salinizzazione e per l’aumento del livello del mare. Piu’ di 1,3 miliardi di persone, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, vivono coltivando terreni agricoli impoveriti, sempre piu’ esposti a siccita’, desertificazione e insicurezza alimentare. In futuro, fino a 600 milioni di persone in piu’ in Africa potrebbero essere vittime di malnutrizione a causa dell’impatto della crisi climatica sui sistemi agricoli. 1,8 miliardi di persone dovranno affrontare una cronica carenza d’acqua, soprattutto in Asia. La crisi climatica ha effetti evidenti anche sulla migrazione interna ed esterna alle frontiere. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, se non si agira’ per ridurre il riscaldamento globale e per scongiurare le migrazioni con progetti di sviluppo, entro la meta’ del secolo, gli spostamenti interni di popolazioni potrebbero coinvolgere piu’ di 140 milioni di persone nelle tre regioni dell’Africa sub-sahariana, Asia meridionale e America Latina.
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