Laura e’ una giovane trentenne. Dopo mesi di forte stanchezza e difficolta’ a respirare, a fine 2015, scopre di avere un linfoma non Hodgkin in stato avanzato. Ha 28 anni, ma “in quel mese e mezzo di ricerche diagnostiche”, la rx al Pronto soccorso che rileva “una massa mediastinica di 12 cm che occludeva le vie respiratorie”, due biopsie e la Tac, nessuno dei medici incontrati le dice in tempo utile che prima delle terapie potrebbe preservare la propria fertilita’. “Sono qui- chiarisce da subito Laura- per lanciare un appello ai medici: ‘Io avrei avuto tempo, dal 17 novembre quando sono andata al Pronto soccorso al 23 dicembre, quando ho avuto la diagnosi, per crioconservare gli ovociti, se solo qualcuno me lo avesse detto”. Laura prende informazioni in autonomia da un’amica, va in un centro privato e inizia la stimolazione ovarica per crioconservare gli ovociti. “Ma ho dovuto interromperla, appena iniziata, perche’- racconta- l’ematologo del Gemelli mi disse che non c’era tempo, dovevo iniziare subito le chemio, perche’ il linfoma era avanzato”. Solo dopo le cure, “due anni e mezzo in cui ho vissuto in una bolla” grazie all’incontro con la ginecologa Maria Vita Ciccarone e l’associazione Gemme Dormienti con cui oggi e’ impegnata a dare testimonianza, ha fatto la stimolazione a Milano: “Ma avrei avuto- sottolinea- risultati migliori prima delle cure. C’era infatti stata una riduzione degli ovociti. Nessuno pensa al dopo e gli specialisti devono farlo perche’ le pazienti sono concentrate a sopravvivere”. Laura parla di possibilita’ di scegliere, di non sentirsi mutilati nella facolta’ di scelta di avere un figlio o meno. Questa possibilita’ che di fatto le e’ stata negata e’ diventata “una ferita dentro di me”, spiega. E aggiunge: “Se avessi avuto la tranquillita’ di aver conservato i miei ovociti mentre mi curavo sarei stata meglio. Sono stata forte, ma avevo questa morte dentro di me in una parte della mia testa che pensava ‘non potrai avere figli’. Quando avevo iniziato la stimolazione avevo una situazione di una ragazza giovane di quasi 28 anni”, ricorda Laura con commozione, parlando anche della solitudine di quei momenti: “Non ne parlavo con nessuno”. Un appello ai medici piu’ che alle pazienti e’ quello che Laura tiene a diffondere: “E’ il medico – oncologo, ematologo, medico di famiglia – che deve pensare al ‘dopo’ e la responsabilita’ e’ piu’ dalla parte dei professionisti. In medicina oggi siamo molto settorializzati, ma bisognerebbe avere una visione piu’ ampia della persona. Una volta che guarisci anche la speranza di avere un figlio cambia la prospettiva, poi si scegliera’. Le pazienti sono prese dal cercare il nome della loro malattia e dalle cure. In quei momenti si e’ frastornati, non si sa se si vivra’”. Laura oggi fa “controlli ogni sei mesi al Gemelli, e sto bene- dice- e questo mi da’ la forza per aiutare chi sta intraprendendo questo percorso”. Gemme dormienti promuove informazione su questo tema e domani all’Aquila alle 16 al ‘Centro Direzionale Strinella 88′ inaugura una nuova sede, dopo quella romana. Laura oggi e’ tornata alla normalita’, a fare la sua professione di odontoiatra, ad impegnarsi con l’associazione per altre che stanno vivendo quello che ha vissuto lei. Nella sua vita e’ tornata la speranza, arrivera’ un amore o una storia chissa’, e c’e’ il sogno di un figlio, la liberta’ di poterlo scegliere, che arrivi naturalmente o dagli ovociti crioconservati. “Ne basta uno”, dice con un sorriso.
Sanità. Laura e il cancro: “Ferita da silenzio medici su fertilità”
Laura e’ una giovane trentenne. Dopo mesi di forte stanchezza e difficolta’ a respirare, a fine 2015, scopre di avere un linfoma non Hodgkin in stato avanzato. Ha 28 anni, ma “in quel mese e mezzo di ricerche diagnostiche”, la rx al Pronto soccorso che rileva “una massa mediastinica di 12 cm che occludeva le […]
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