Ormai si parla di KawaCovid o di sindromi infiammatorie simil kawasaki. Nel mondo scientifico circolano, dunque, due ipotesi di base: “Il Covid-19 causa delle forma di kawasaki piu’ aggressive, che tendono a colpire bambini piu’ grandi, che in qualche modo modificano l’espressione clinica della malattia; oppure siamo di fronte a forme iper infiammatorie multiorgano acute, che somigliano alla kawasaki ma sono differenti”. Il chiarimento viene da Angelo Ravelli, professore ordinario dell’Universita’ degli studi di Genova (Unige), direttore della Clinica Pediatrica del Gaslini e segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Societa’ italiana di pediatria (Sip). Il suo gruppo e’ stato il primo nel mondo occidentale a diffondere l’allerta di un aumento di frequenza di casi di bambini che avevano sviluppato caratteristiche simili alla malattia di kawasaki. I sintomi tipici di questa sindrome sono “febbre elevata, macchie tipo quelle del morbillo sul tronco e gli arti, arrossamento degli occhi, fissurazione delle labbra, la lingua a fragola, eritema o arrossamento delle mani e dei piedi, o ingrandimento dei linfonodi ai lati del collo. Nei casi italiani c’era almeno una di queste caratteristiche”, conferma lo specialista. Per Ravelli, tuttavia, non si puo’ ancora parlare di kawaCovid, perche’ “servono dati su numeri piu’ grandi. A Bergamo sono stati rilevati solo 10 casi, al Gaslini nelle ultime 3 settimane 5 bambini sotto i due anni con una forma classica di Kawasaki, a New York piu’ di 100 soggetti. Questa non e’ una patologia che si presenta in migliaia di casi”.
Si tende a differenziare queste forme infiammatorie dalla Kawasaki perche’ “una grossa fetta di bambini ha manifestato caratteristiche non tipiche rispetto alla forma classica della malattia: un’eta’ maggiore (sopra i 5 anni), sintomi gastrointestinali (mal di pancia, diarrea, vomito), interessamento del miocardio (il muscolo del cuore) e non frequentemente delle arterie coronarie. In molti casi- fa sapere Ravelli- sono emerse complicanze gravi, come la sindrome da shock tossico o quella di attivazione macrofagica, entrambe causate da una tempesta citochinica. La stessa che si vede nei polmoni dei pazienti adulti con la Covid. Sempre atipico, rispetto alla malattia di Kawasaki, e’ il calo dei linfociti, una delle componenti dei globuli bianchi del sangue. Attenzione- rimarca il professore dell’Unige- queste due sindromi si possono osservare anche nella forma di Kawasaki classica, ma in percentuali molto basse: il 2% per la prima e il 5-7% per la seconda. Nelle forme ‘KawaCovid’, invece, sembrano molto frequenti e per questo motivo richiedono ricovero in terapia intensiva e cure farmacologiche piu’ aggressive. Dunque, oltre l’immunoglobulina endovenosa, si parla di terapie con corticosteroidi e raramente con farmaci biologici, quali quelli inibitori dell’interlochina 1 (una delle citochine che aumentano)”.
Informare senza allarmare pero’ e’ il motto del pediatra reumatologo, soprattutto se si deve parlare ai genitori. “Queste malattie sono rare, non sono contagiose ed e’ importante riconoscerle tempestivamente e trattarle entro 7 giorni. Se il bambino manifesta uno dei sintomi sovracitati, consultate subito il pediatra di famiglia. In presenza di uno dei sintomi, il bambino va subito ricoverato e trattato – come per i 10 casi di Bergamo e gli 8 inglesi – sempre con immunoglobuline endovena, che nella kawasaki classica sono in grado, nell’80-90% dei casi, di spegnere in 24-48 ore i sintomi e prevenire la principale complicanza: lo sviluppo di aneurismi (dilatazione delle arterie coronarie del cuore). Il rischio senza immunoglobuline sale al 25% e con le immunoglobuline scende al 4-5%. Se, invece, il bambino non risponde alle immunoglobuline, o ritorna la febbre e sintomi seri dopo 24-48 ore dalla loro scomparsa- ricorda il medico- allora si puo’ ripetere l’infusione di immunoglobuline, ma certamente occorrera’ iniziare la terapia cortisonica endovena a dosaggio elevato. La terapia cortisonica ha portato alla guarigione tutti i bambini italiani e in tempi rapidi. Alle famiglie dico- ribadisce Ravelli- non abbiate paura di portare i bambini in ospedale, perche’ adesso gli ospedali sono sicuri e hanno percorsi differenziati”. Un’ulteriore curiosita’, relativa a queste nuove forme infiammatorie o di KawaCovid, riguarda le differenze etniche nella severita’ della malattia: “È piu’ frequente in Giappone, anche se in questo momento sta vedendo un calo di incidenza e nessun kawacovid e’ stato segnalato, la stessa cosa e’ avvenuta in Cina, mentre in Inghilterra su 8 casi 6 erano di etnia afrocaraibica, uno asiatico e un bambino mediorientale. I nostri sono tutti caucasici”, aggiunge Ravelli. Infine, esiste una spiegazione sul perche’ a molti di questi bambini ricoverati per la sindrome il tampone non sia risultato positivo al Coronavirus: “Perche’ la malattia non e’ un effetto diretto alla Covid, ma una reazione immunitaria anomala di difesa alterata al virus- sottolinea lo specialista- che causa lo sviluppo della malattia con una latenza di un mese circa. Tanto e’ vero che l’insorgenza dei casi a Bergamo e’ posteriore di un mese dall’inizio della pandemia”. Possono sviluppare la kawaCovid anche i bambini asintomatici alla Covid o quelli che sono guariti. “Infatti i bambini che sviluppano questa infiammazione sono risultati nella maggioranza dei casi positivi alla sierologia (che rileva gli anticorpi che il bambino produce). Sarebbe importante- conclude Ravelli- che tutti i bambini positivi alla Kawasaki venissero sottoposti alla sierologia”.
Lascia un commento