“La doppia esplosione a Beirut avra’ ripercussioni terribili sulla situazione politica ma soprattutto economica del Libano”. Ne e’ convinto Ali Bakeer, analista politico esperto di medio oriente, originario del Libano oggi residente in Turchia, da dove dove collabora per diversi centri di ricerca e testate tra cui Aljazeera e Al Monitor. L’agenzia Dire lo ha contattato in seguito alle due deflagrazioni che ieri hanno causato nella capitale libanese decine di morti e migliaia di feriti. “Ho vissuto per 18 anni in Libano- dice l’esperto- conosco i beirutini: sono abituati a sentire i boati delle esplosioni, a causa di anni di guerra, ma non avevano mai assistito a qualcosa di cosi’ devastante. Sono scioccati”. L’analista ricorda che il Paese dei cedri stava gia’ attraversando una fase difficilissima, legata al crollo dell’economia e della finanza: solo due giorni fa il ministro degli Esteri si e’ dimesso in aperta critica col governo del primo ministro Hassan Diab, accusato di “stare facendo affondare la nave”. “Il disastro di ieri non ci voleva- continua Bakeer- perche’ non solo sono andati distrutti edifici, appartamenti, ristoranti, ma anche gran parte del porto, vale a dire un hub fondamentale per l’economia e il commercio della metropoli e del Paese”. Il porto della capitale, faticosamente riqualificato dopo venticinque anni di guerra civile (1975-1990), e’ uno tra i principali snodi del Libano, la cui economia e’ profondamente legata all’import-export.
Quanto alle cause dell’esplosione, che le autorita’ attribuiscono a una grande quantita’ di nitrato di ammonio stipato in un magazzino del porto dal 2014, Ali Bakeer osserva: “peggiora la posizione del governo: conferma l’incompetenza delle autorita’ nel gestire la cosa pubblica. Tutti sapevano che era li’ da anni e nessuno ha provveduto alla sicurezza”. Cosi’, continua lo studioso alla Dire, “alla disoccupazione galoppante, alla mancanza di valuta e prospettive, senza dimenticare gli effetti dell’epidemia di Covid-19 e il relativo lockdown, ora si aggiunge un altro motivo di rabbia e disperazione per le persone”. Tutto questo “alimentera’ le critiche contro il governo”, che gia’ nei mesi passati ha portato milioni di persone a manifestare nella capitale e non solo. Un dissenso che si sta concentrando contro i partiti storici libanesi e soprattutto sul movimento politico e armato di Hezbollah: “sempre piu’ persone gli contestano di aver trascinato il Libano nella guerra siriana, nel 2012” spiega Bakeer, determinando “l’isolamento internazionale del Paese, aumentando il flusso di profughi e rendendo piu’ fragile il quadro economico e della sicurezza”. Non a caso le prime speculazioni circolate sui social network hanno ritenuto “il partito di Dio” coinvolto nell’incidente di ieri, per via di un presunto deposito di armi al porto. Questo perche’, dice l’esperto, “e’ risaputo che gli Hezbollah usano il porto, l’aeroporto e altre infrastrutture pubbliche per i propri affari”.
Accuse cadute anche su Israele, storico nemico di Hezbollah, immaginato ad attaccare e distruggere gli armamenti. Ma secondo Bakeer, la diplomazia di Tel Aviv si e’ gia’ mossa per sfruttare l’incidente a suo vantaggio: “hanno promesso subito aiuti alla popolazione e questo migliorera’ la loro immagine”. Sono finiti dunque i tempi delle tensioni con Tel Aviv? “No- replica lo studioso- semplicemente un’altra guerra per ora, non conviene a nessuno”. Tensioni che potrebbero infuocarsi di nuovo nei prossimi giorni, dato che a giorni il Tribunale speciale delle Nazioni Unite incaricato di far luce sull’uccisione dell’ex primo ministro Rafiq Hariri, nel 2005, rendera’ nota la sentenza e i principali sospetti ricadono sugli Hezbollah, che invece hanno sempre attribuito la colpa ad Israele. “Per i prossimi cortei di protesta pero’, dovremo aspettare” avverte l’analista politico, perche’ adesso “la gente deve occuparsi dei propri morti e dei feriti, delle case danneggiate dall’esplosione oppure deve accogliere amici e parenti che la casa l’hanno perduta”.
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