Viviamo in un’era contraddistinta da grandi stravolgimenti, ai quali non avremmo mai pensato di assistere. E’ trascorso poco più di un anno da quando è stato annunciato il virus che avrebbe coinvolto con la sua letalità l’intero apparato terrestre.
Il suo potere devastante non si è fermato a mietere vittime solo sotto l’aspetto sanitario, ma si è esteso a influenzare patologie ben più profonde di natura psicologica, economica, sociale e culturale, divenendo l’archetipo malefico della globalizzazione. Ciò ha riportato l’idea di un mondo malato al centro del dibattito culturale ed economico, a scala planetaria.
Secondo alcuni studi lo stato di incubazione di tale malattia e le prime avvisaglie di un nuovo ordine mondiale, risale all’età rinascimentale, in cui l’uomo, ponendosi al centro dell’universo, strappò l’anima al mondo per rinchiuderla dentro di sé, e decretò la morte di Dio, ergendo se stesso a nuovo dio. Niccolò Macchiavelli mette in luce questo atteggiamento dell’uomo rinascimentale con la frase: “Gli omini credono in Dio, ma fanno che se ei non fusse”.
Da questa avventata visione antropocentrica sono scaturite anomalie di pensiero che oggi stanno smantellando la fiducia degli uomini nei confronti del progresso occidentale, sempre più privo di anima. Da oltre un anno una umanità sofferente è rinserrata in una gabbia d’acciaio posta all’interno del tunnel della recessione economica, della disoccupazione e della crescente solitudine. E’ evidente che una tale popolazione, angosciata dalla paura del virus, ampliata dai persistenti comunicati dei mass media e dai prolungati confinamenti e costrizioni, è sottoposta a un elevato rischio di mortalità precoce, di riduzione della qualità della vita e di malattie croniche.
Secondo quanto recentemente dichiarato dal giudice Angelo Giorgianni, nel suo esposto presentato alla Corte Penale Internazionale de L’Aia, le restrizioni adottate dai governi per periodi prolungati e indefiniti, che vanno ben oltre la fase di emergenza sanitaria, si configurano come crimini contro l’umanità, in quanto si presentano come reati di reclusione e tortura, che provocano grande sofferenza alla salute mentale e fisica delle persone.
Le fantasie catastrofiche che si profilano lungo questo orizzonte si riflettono nel processo iconoclastico della psiche, che vorrebbe infrangere quest’idolo di mondo meccanico e senz’anima che ha tradito le aspettative della società occidentale. L’immenso edificio, incrinato dalla inquietante rappresentazione della pandemia, nelle nostre fantasie è esploso in mille pezzi e si è ridotto in polvere. E’ grazie a questo sconvolgimento di cui si sta prendendo coscienza, a questa immagine di mondo agonizzante, che va apparendo una forma di riconoscimento dell’anima del mondo: un’anima che sollecita il nostro cuore a rispondere in extremis, a preoccuparci per il mondo, facendo rinascere l’amore verso questo. Dove c’è patologia c’è psiche e dove c’è psiche c’è eros. Le cose del mondo, gli eventi ordinari – fatti di incontri con gli amici e di attività ricreative, di rilassanti serate nei ristoranti e dei fine settimana con i parenti fuori regione – tornano ad essere preziosi, desiderabili nella loro sacralità. Certo, non saranno i movimenti ecologici, il Recovery Plan, la futurologia, il transumanesimo, o la tecnologia hi tech che da soli riusciranno a salvare il pianeta dalla catastrofe insita nella nostra idea di mondo. Queste azioni vanno riaccorpate in una visione cosmologica e messe in movimento da un gesto animico che, al di là delle misure pratiche, sia in grado di condurre alla sorgente del pericolo che incombe sul nostro mondo: la fatale negligenza nei riguardi dell’”anima del mondo”, la sua rimozione. Quest’anima non è presente nella tradizione dell’illuminismo settecentesco, né in quella dello scientismo dell’Ottocento, ma neanche nel pensiero del positivismo, del materialismo, del secolarismo e del personalismo.
Non possiamo muoverci nella direzione dell’”anima del mondo” se non abbiamo spostato lo sguardo nella direzione che dà valore all’anima prima che alla mente, all’immagine prima che al sentimento, al locale prima che al globale; e ancora all’immaginazione prima che ai concetti, all’Anima prima che all’Io. Per fare questo dobbiamo rinunciare all’obsoleto gioco degli opposti: soggetto-oggetto, destra-sinistra, maschile-femminile, mente-corpo. Per ottenere ciò sarà necessario che gran parte di quello a cui oggi teniamo tanto, vada in frantumi per far fluire “l’emozione” sull’intero mondo. E’ grazie alla rottura di questi vasi, a questa forma di Reset globale – che ciascuna persona deve compiere in se stessa prima di chiederlo alle istituzioni – che potremo restituire al mondo ciò che gli abbiamo strappato quando abbiamo rinchiuso dentro di noi la sua anima. Solo allora potremo essere certi che il processo di rinascita sarà esercitato nella più completa autonomia da una umanità che non aspira al transumanesimo, ma che desidera rimanere se stessa, conservando la sua preziosa umanità, senza l’intervento di elementi di forzatura, di frode o di inganno, di costrizione, esagerazione o altra forma di obbligo.
Giancarlo De Amicis
Lascia un commento