Sono trascorsi 35 anni dal disastro nucleare piu’ grave della storia. Nella notte del 26 aprile 1986, precisamente alle 01:23:40, durante un test di sicurezza mal concepito e peggio condotto, esplodeva il reattore numero quattro della centrale nucleare di Chernobyl. Tra le cause del disastro, oltre una serie incredibile di errori nella gestione del test e alla scarsa preparazione dei tecnici di turno quella notte, alcuni difetti progettuali del reattore sovietico RBMK che equipaggiava la centrale cosi’ come molti altri impianti nell’Urss. La prima esplosione, causata dal vapore prodotto dall’incauta, a dir poco, manovra sulle barre di contenimento in grafite, scaglio’ in aria la piastra superiore del nocciolo, fatta di acciaio e cemento e pesante circa mille tonnellate, lasciando il reattore scoperto. La seconda esplosione avvenne a causa della reazione tra la grafite in fiamme delle barre di contenimento e l’idrogeno gassoso. L’incendio che ne segui’, e il tentativo di spegnerlo con migliaia di litri di acqua e migliaia di tonnellate di boro e altri composti, causarono la dispersione di polveri e nubi radioattive che resero inabitabile un’area da 3.100 chilometri quadrati (la ‘zona di esclusione’), contaminandone gravemente una da oltre 7.000 kmq. Livelli anomali e potenzialmente pericolosi di radiazioni furono rilevati nei Paesi scandinavi e dell’Europa orientale, fino in Italia, facendo scoprire l’incidente che l’Urss cercava di non divulgare. Il nocciolo, rimasto scoperto e in fusione, se fosse venuto a contatto con le falde acquifere avrebbe potuto causare una disastrosa esplosione termonucleare. Se si fosse verificata avrebbe investito Kiev e Minsk, causando centinaia di migliaia di vittime e rendendo inabitabili per secoli enormi aree di Ucraina e Bielorussia.
In seguito all’incidente e’ stato valutato un rilascio di radiazioni pari a 400 volte quelle di Hiroshima. 66 le morti accertate, migliaia i casi di tumore, 4mila i ‘liquidatori’ chiamati a cercare di contenere l’emissione di radiazioni dal reattore distrutto deceduti, tra le centinaia di migliaia convocati. Questi i numeri del disastro. Ad oggi solo vegetazione e animali occupano la ‘zona di esclusione’ che delimita i 30 km racchiusi attorno alla centrale dell’ex citta’ sovietica. Inizialmente l’Urss tento’ di occultare l’incidente nucleare, minimizzando quanto avvenuto. I vigili del fuoco, i militari e tutto il personale intervenuto sul luogo del disastro non avevano equipaggiamenti e protezioni sufficienti a proteggerli dall’elevatissimo livello di radiazioni. Soltanto due giorni dopo dall’esplosione del reattore l’Unione Sovietica ordino’ l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone che abitavano l’area maggiormente colpita. Il reattore numero 4 venne coperto da un ‘sarcofago’ in cemento, che nel corso degli anni subi’ una grave usura che lo mise a rischio di crollo, circostanza che avrebbe causato un nuovo disastroso rilascio di radiazioni. Nel 2016 ne e’ stato completato uno nuovo grazie a fondi da Ue e Usa, oltre che del governo ucraino. La ‘zona di esclusione’ appare oggi come una grande riserva naturale oggetto di forme di ‘turismo dei disastri’, ma del tutto inabitabile. Intanto, incendi nell’erba e nella foresta all’interno della zona contaminata, causano il rilascio di ulteriore pulviscolo radioattivo nell’atmosfera. Non sara’ mai possibile calcolare con esattezza il numero di casi di tumore e decessi causati nella varie aree dal rilascio di radiazioni.
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