“In Israele non ci sara’ pace finche’ non si porra’ fine all’occupazione militare nei Territori palestinesi, lavorando a una soluzione politica che permetta la creazione di due Stati”. Ne e’ convinta Dana Naomy Mills, portavoce di Peace Now, che in Israele lavora da 20 anni per la promozione del dialogo tra israeliani e palestinesi, anche con iniziative alla Knesset, il parlamento israeliano. L’agenzia Dire la raggiunge nella sua casa a Tel Aviv. “Negli ultimi giorni il lavoro per Peace Now e’ stato intenso” la premessa: “Siamo costantemente in contatto con le organizzazioni della societa’ civile israeliana e palestinese per organizzare iniziative con cui fare pressione affinche’ le violenze si fermino”. Ieri e mercoledi’, riferisce Mills, ci sono state manifestazioni in citta’ israeliane come Tel Aviv, Giaffa e Haifa, e anche in tanti villaggi, “per chiedere la pace”. Secondo la portavoce, “la maggior parte delle persone, che si tratti di israeliani o arabo-israeliani, vuole che le violenze si fermino, che l’occupazione militare cessi e che finalmente si possa convivere in pace”. Mills sottolinea: “Siamo stanchi delle sirene, delle notti insonni e di dover correre nei bunker”. Nelle stesse localita’ da dove giungono appelli al dialogo, pero’, si sono verificati scontri tra comunita’ di residenti: israeliani – spesso appartenenti a movimenti della destra estrema – contro la minoranza araba. “Purtroppo e’ il risultato di tensioni che negli ultimi due anni non hanno smesso di montare” riferisce Mills, certa che a incoraggiare i nazionalisti israeliani, accusati in alcuni casi dai media di “raid punitivi”, contribuisca “la profonda spaccatura tra i partiti di destra ed estrema destra ma anche il fatto che in tv, alla radio e sui giornali siano invitati a parlare solo esponenti di questa ala”. Secondo la portavoce, “come societa’ dobbiamo riappropriarci con urgenza dello spazio pubblico, dando voce a coloro che condannano le violenze, che in realta’ sono la maggioranza”.
Mills sottolinea che per “violenze” non si intendono solo i raid aerei sulla Striscia di Gaza o il lancio di razzi da parte di Hamas, ma anche “azioni come la chiusura – pericolosa e non necessaria – della spianata della Moschea di Al-Aqsa o gli sgomberi in un quartiere a Gerusalemme est”. Episodi, questi, che sarebbero stati la miccia che ha acceso la crisi degli ultimi giorni. C’e’ poi il problema degli insediamenti illegali, che “da anni Peace Now monitora e denuncia con un dipartimento dedicato, ‘Settlement Watch'” dice Mills. “C’e’ profonda disparita’ di trattamento da parte delle autorita’ israeliane verso i cittadini di etnia araba e soprattutto dei palestinesi nei Territori occupati”. Di queste differenze di trattamento la confisca delle terre, secondo la portavoce, “e’ un esempio”. Il mese scorso anche l’ong americana Human Rights Watch ha accusato Israele. Secondo Mills, “se non si pone fine all’occupazione militare, avremo un solo Stato che esercita apartheid”. Infine la portavoce di Peace Now rivolge un appello alla comunita’ internazionale: “Mi piacerebbe che i governi non si preoccupassero di schierarsi con l’una o l’altra parte ma si schierassero contro la violenza, lavorando per favorire la soluzione dei due Stati, dando ai palestinesi la possibilita’ di provvedere ai propri bisogni in autonomia”.
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