“Ho avuto la possibilità di vedere con i miei occhi i cantieri degli stadi e ho fotografato gli operai – tutti migranti – che li hanno costruiti. Ho vissuto una parte della loro intimità nei container dove dormono, in mensa e nella mos
chea, anche quella in un container. Quello che è certo è che lo spettacolo del quale il mondo godrà lo hanno reso possibile i migranti con turni di lavoro e condizioni di vita ai limiti del proibitivo, dormendo nei ‘villaggi operai’ costruiti accanto agli stadi e con stipendi bassissimi”. A parlare con l’agenzia Dire è Valerio Nicolosi, fotografo e giornalista romano, classe 1984, esperto di rotte migratorie e Medio Oriente, di recente inviato per il TG1 a Kiev per il conflitto in Ucraina.
Oggi però il fotoreporter racconta la sua esperienza in Qatar, dove lo scorso febbraio ha realizzato un reportage fotografico sui lavori che hanno portato alla costruzione dello stadio in cui il prossimo 18 dicembre si disputerà la finale della 22esima edizione dei Mondiali di calcio maschili, ma anche sul villaggio operaio attiguo, che in quel momento “ospitava circa mille persone, tutte migranti”.
Il suo reportage sul “grave sfruttamento dei lavoratori, per lo più migranti”, è diventato oggi una mostra fotografica con scatti inediti. Il suo titolo, significativo, è ‘The show must go on’ (‘Lo spettacolo deve continuare’) e si inaugura oggi a Roma alle 19 al Centro Sociale Brancaleone, in via Levanna, 11.
L’evento è in programma nella Capitale fino al 27 novembre.
“Nel caso dei mondiali di calcio- spiega Nicolosi- lo ‘show’ non è solo quello che avviene in campo ma tutto quello che accade attorno al rettangolo verde: la cerimonia di inaugurazione e premiazione, la celebrazione della bellezza degli stadi e della passione dei tifosi. In Qatar, ogni struttura è stata costruita da zero dal momento che il piccolo emirato non ha una cultura calcistica e quindi non disponeva degli impianti. Inoltre, per gran parte dell’anno nel Paese c’è un clima proibitivo per praticare le attività sportive all’aperto”.
Per questa ragione, una volta che l’emirato si è vista assegnare l’organizzazione dei mondiali, ha dovuto provvedere a costruire tutte le strutture calcistiche e tutto quello che poteva servire ad ospitare questo grande evento che porterà il mondo in Qatar, un Paese di appena 11mila km2 e una popolazione di poco superiore ai 2 milioni di abitanti. Di questi, solo il 10% ha la cittadinanza qatarina, mentre il restante 90% sono stranieri, principalmente del sud-est asiatico.
Secondo Amnesty International, intanto, in Qatar tra il 2010 e il 2019 sono morti “15mila stranieri di ogni età e occupazione”.
Non solo: per l’organizzazione, le cause indicate nei certificati di decesso sarebbero “inattendibili” in quanto la maggior parte sono definite attraverso espressioni molto generiche tra cui: ‘disturbi cardiovascolari’, ‘grave crisi cardiaca originata da cause naturali’, ‘non precisata crisi cardiaca’ o ‘acuta crisi respiratoria originata da cause naturali’. Simili formule, si legge sul sito dell’organizzazione internazionale, sono state usate anche nei documenti relativi a “35 decessi per ‘motivi non collegati al lavoro’, avvenuti dal 2015 all’interno degli impianti e delle infrastrutture dei Mondiali di calcio del 2022”.
Valerio Nicolosi, vincitore di numerosi premi e riconoscimenti per reportage a sfondo sociale realizzati a bordo della navi umanitarie, sulla rotta balcanica e nella Striscia di Gaza, concorda sul fatto che ad influire su queste morti siano state “le alte temperature, la mancata sicurezza sul luogo di lavoro e le troppe ore di attività”.
Ma qual è “l’immagine” che più l’ha colpita? “Sicuramente il luogo in cui dormono gli operai, nel villaggio a pochi passi dallo stadio” risponde. “Ci sono dei container che arrivano ad ospitare anche quattro persone: ciascuna dispone di un letto singolo e di un piccolo comodino e solo una tenda garantisce un po’ di intimità. I cantieri poi sono isolati rispetto alla città e gli operai lavorano quasi ininterrottamente, senza la possibilità di avere una vita sociale o momenti di svago. Non sono condizioni facili”.
Uno dei principali rischi per la salute dei lavoratori migranti in Qatar, “ampiamente documentato, quanto prevedibile”, come testimonia ancora Amnesty International, è dato proprio dall’esposizione a temperature estreme e a tassi elevati di umidità. Nel 2019 uno studio condotto dalla rivista ‘Cardiology’ ha trovato una correlazione tra caldo e decessi di lavoratori nepalesi in Qatar, concludendo che “almeno 200 dei 571 decessi per problemi cardiovascolari dal 2009 al 2017 avrebbero potuto essere evitati”.
La maggior parte dei lavoratori in Qatar arriva dagli stati dell’Asia meridionale e un’indagine condotta dal ‘Guardian’ ha rivelato che nel 69% dei casi di lavoratori provenienti da India, Nepal e Bangladesh tra il 2010 e il 2020, il decesso è stato attribuito a ‘cause naturali’. Alcune delle loro storie (in particolare sei) sono state esaminate in dettaglio sempre da Amnesty, che ha concluso: “prima di partire per il Qatar, questi lavoratori migranti godevano di ottima salute e avevano superato gli esami medici obbligatori”. Inoltre si denuncia che “nessuna delle loro famiglie” ha ricevuto un risarcimento.
Nicolosi prosegue ricordandno che solo pochi giorni, fa anche la trasmissione televisiva ‘Report’ di Rai 3 “ha dedicato una puntata ai Mondiali di calcio in Qatar, raccontando lo sfruttamento dei lavoratori, le ipotesi di corruzione e le infiltrazioni criminali. Abbiamo visto come i diritti umani non vengano rispettati, ma le denunce sugli abusi e il mancato rispetto dei diritti civili non partono da ieri. Il grande ‘show’ internazionale però ha deciso che quella fosse la direzione giusta: una scelta dettata dai soldi e non dal rispetto dei diritti”.
Nicolosi è stato uno dei pochi fotografi italiani a documentare non solo il lavoro per l’edificazione dello stadio, ma anche la vita degli operai nel villaggio vicino allestito per loro. “L’ho realizzato- conclude il reporter- grazie al sostegno del sindacato internazionale degli edili, il Bwi (Building and Wood Worker’s International, ndr) le cui pressioni, insieme a quelle delle principali organizzazioni internazionali, nel corso degli anni hanno certamente contribuito a far migliorare le condizioni lavorative degli operai migranti in Qatar, riuscendo ad ottenere il rispetto di alcuni diritti. Ma c’è ancora molto da fare”.
Al link le informazioni sulla mostra fotografica: ?https://facebook.com/events/s/the-show-must-go-on-il-reporta/1497 007674135633/ (Cds/ Dire)
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