A oltre una settimana dalla sua cattura, è ancora incerto il destino di JJ4, l’orsa che il 6 aprile scorso ha ucciso il runner Andrea Papi. Attualmente risiede presso il centro faunistico di Casteller, dove attende l’esito della decisione del Tar che l’11 maggio si esprimerà sulla possibilità di abbatterla o trasferirla presso un rifugio adeguato. Nel frattempo, però, in molti stanno sollevando preoccupazione per la sorte dei tre cuccioli dell’orsa, separati dalla madre nel momento della cattura.
I CUCCIOLI DELL’ORSA JJ4 SOPRAVVIVERANNO? – Secondo gli esperti, i cuccioli dell’orsa Jj4 hanno circa 15 mesi e sono in fase di svezzamento. Ma, generalmente, quanto restano i piccoli di orso con la madre? “Indicativamente gli studi scientifici ci indicano intorno ai 2 anni: tra l’anno e mezzo e i due anni e mezzo”, spiega in un post su Facebook la dottoressa Chiara Grasso, etologa, giornalista, divulgatrice e docente di ecoturismo. In realtà, “un recente articolo pubblicato su Nature evidenzia che la strategia ‘2,5 anni’, con cura parentale molto prolungata, in Svezia sta aumentando di frequenza, e di molto, favorita dal tipo di gestione dell’attività venatoria”, prosegue.
LE CONSEGUENZE DELLA SEPARAZIONE – Il punto centrale, infatti, è fino a che punto i cuccioli di orsa abbiano appreso le tecniche di sopravvivenza dalla madre. “Considerando che è solo dal secondo anno che le mamme iniziano a muoversi su aree più vaste”, prosegue, “incrementando l’insegnamento e la trasmissione di conoscenze, necessarie al definitivo svezzamento (ad esempio, come localizzare un frutto che si trova solo ad agosto), capirete bene che l’apprendimento non era ancora concluso e l’orso, essendo un animale straordinariamente complesso, ha un bisogno basilare di apprendimento e imitazione. Come noi”. I rischi riguardano la convivenza in un futuro tra i cuccioli dell’orsa e l’essere umano. “Mancando la madre nei momenti cruciali di apprendimento sociale e alimentare, quanto influirà questo sulla capacità dei piccoli di cercare cibo adeguato o piuttosto di optare per quello più semplice (umano) rischiando di diventare confidenti?”, si chiede Grasso. “E poi, quindi, essere anche loro eliminati perché troppo umanizzati? E poi di chi sarà la colpa? Sempre dell’orso cattivo, vero?”. Inoltre, “avendo visto la madre portata via dall’essere umano, e avendo vissuto episodi di aggressività da ambe parti, quanto influirà questo sulla loro aggressività e paura nei confronti dell’essere umano? (E poi, di chi sarà, la colpa?)”. Secondo Grasso, “l’apprendimento culturale non è meno importante di quello trasmesso geneticamente, eppure i grandi scienziati se lo scordano quando devono affermare che va beh, tanto ormai erano già svezzati. Come se l’apprendimento etologico di un orso dipendesse solo dalle tette e non da avere una guida”. L’etologa conclude con una riflessione. “Aver smesso di dipendere dalla madre non vuol dire non averne più bisogno. (Anche nell’umano, ma per quello preparo un’altra polemiketta)”.
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