Nei paesi occidentali una persona ogni 37 secondi perde la vita per tromboembolia venosa o trombosi polmonare (più di 850 mila morti l’anno). La formazione di trombi nei vasi sanguigni è la terza causa di morte tra quelle cardiovascolari. Una ricerca apparsa su Plos One nel 2020 aveva osservato che il rischio di TEV in un gruppo di pazienti con Diabete di tipo 1 era di 5,33 volte superiore rispetto al gruppo senza diabete. Mentre pochi giorni fa su BMJ è stato pubblicato uno studio danese che ha evidenziato una correlazione tra uso di contraccettivi ormonali a base di estrogeni e progestinici e l’uso di antinfiammatori non steroidei sul rischio di tromboembolia venosa. Il rischio aggiuntivo di eventi trombotici nelle donne che assumono contraccettivi ad alto rischio (come la combinazione di estro-progestinici) è di 4 volte superiore rispetto a quelle che non li assumono. Il rischio a seguito dell’utilizzo di FANS aumenta di 6 volte per quelle che usano ibuprofene e sino a 12 volte per il diclofenac. Ancora peggio, con un effetto moltiplicatorio, il rischio che è di 50 volte superiore quando si assumano contraccettivi orali e FANS nello stesso tempo. “La relazione ‘pericolosa’ tra uso di contraccettivi e eventi trombotici era nota e dipende sia dalla dose di estrogeni che dal tipo di progestinico, ormoni capaci di agire sui meccanismi della coagulazione. Ad esempio, le attuali iniezioni contraccettive che rilasciano dosi di ormoni elevate aumentano il rischio, al contrario di ciò che accade con i dispositivi intrauterini a bassa dose”, spiega il professor Angelo Avogaro presidente SID.
E anche l’uso di FANS diversi dall’aspirina ha mostrato di aumentare il rischio: ibuprofene, diclofenac, naprossene e le nuove molecole inibitori delle ciclo-ossigenasi promuovono l’aggregazione piastrinica, alla base della formazione di placche che si possono staccare dalle pareti dei vasi e viaggiare sino ai polmoni. “Nonostante la ricerca del BMJ non citi espressamente le donne con diabete, non possiamo dimenticare che queste sono circa il 5,9% della popolazione, spesso in età fertile e assumono sia contraccettivi ormonali che FANS per episodi dolorosi o altre indicazioni assunti per almeno una settimana”, prosegue il professor Avogaro che sollecita quindi una ulteriore cautela nella prescrizione di queste classi di farmaci nella popolazione femminile con diabete. Sebbene numerose condizioni siano state riconosciute come fattori di rischio per la TEV, come traumi o interventi chirurgici agli arti inferiori, età avanzata e obesità, è stato stimato che circa il 25%-50% dei pazienti affetti per la prima volta da TEV non presentano fattori di rischio facilmente identificabili. “Il diabete, invece, è comunemente associato a complicanze a lungo termine sia del sistema macrovascolare che microvascolare- spiega Avogaro- il che rende conto di come le due condizioni si influenzino reciprocamente. Considerando l’uso di questi farmaci e la gravità della malattia tromboembolica venosa, specialmente nelle persone con diabete, il monitoraggio si pone come una questione di salute pubblica.
La malattia tromboembolica venosa (TEV) è una delle condizioni patologiche più comuni del sistema cardiocircolatorio (si classifica al terzo posto dopo cardiopatia ischemica e ictus) con un caso ogni 1000 abitanti. Nelle vene profonde, di solito degli arti inferiori, si può formare un trombo, ossia un aggregato di piastrine tenuto insieme da fibrina. Il distacco di alcuni frammenti (emboli) tramite il circolo venoso può raggiungere le camere destre del cuore e da lì raggiungere i polmoni dove il calibro dei vasi è inferiore. L’embolo blocca quindi la circolazione polmonare (EP) che può essere silente e determinare una morta improvvisa. La mortalità infatti supera il 30% nella fase acuta. Mentre la Trombosi Venosa Profonda non trattata può evolvere in una sindrome post trombotica (PTS) o post flebitica, con alterazioni della pelle, dolore e ulcere agli arti inferiori, proprio come avviene nel diabete in stadio avanzato e non controllato.
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