“Quando è troppo, è troppo”. Così si è espresso il primo ministro dell’Australia, Anthony Albanese, in merito alla vicenda giudiziaria del suo connazionale Julian Assange. Ieri, il parlamento ha adottato una mozione in cui si chiede la fine del procedimento giudiziario a carico del giornalista e fondatore del sito web Wikileaks, affinché possa tornare in patria e riabbracciare la famiglia. Assange, 52 anni, è accusato dalla giustizia statunitense di spionaggio per aver pubblicato oltre 700mila documenti in merito alle sue attività militari e di politica estera. Le rivelazioni più scottanti, che hanno suscitato un forte dibattito negli Stati Uniti e all’estero, riguardano la condotta dell’esercito in seguito all’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e dell’Iraq nel 2003. Assange è stato arrestato nel 2019 dalle autorità britanniche, dopo aver trascorso già 7 anni nell’ambasciata dell’Ecuador, che gli aveva dato asilo politico. Nel 2022 la magistratura britannica ha accolto la richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti. Il prossimo 20 e 21 febbraio due magistrati esamineranno la decisione presa dall’Alta Corte di Giustizia di Londra, che a giugno scorso ha respinto l’istanza di ricorso in appello contro l’estradizione. In vista di questo appuntamento il parlamento australiano si è mobilitato col sostegno del premier, che ha dichiarato: “Le opinioni sulla condotta del signor Assange sono diverse. Ma qualunque esse siano, la questione non può andare avanti per sempre. Quando è troppo, è troppo”. Quindi ha confermato di aver sottoposto la questione “ai massimi livelli” delle istituzioni in Gran Bretagna e Stati Uniti.
Al momento Assange si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra e, se affronterà il processo, rischia oltre centro anni di carcere. Per la sua liberazione, giudicata una violazione della libertà di espressione e del ruolo del giornalismo, sono scese in campo diverse organizzazioni tra cui Amnesty International.
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