“Il consumo di alcol in Italia sta subendo cambiamenti- evidenzia Giacomo Germani, Gastroenterologo, Unità Trapianto Multiviscerale, Azienda Ospedale – Università di Padova- Se prima era prevalente il consumo di vino durante il pasto, emergono percentuali del 40% per gli uomini e quasi il 20% delle donne che consumano alcolici fuori pasto. I dati cambiano poi a seconda dell’età, con i giovani che consumano più birra o altri alcolici. I consumatori abituali eccedentari tra i 16-17 anni registrano la percentuale più elevata, con il 35% dei maschi e il 29% delle femmine. Questo determina un problema sociale oltre che di salute. Nel 2021 circa 3 milioni italiani sopra gli 11 anni che hanno consumato alcol con modalità ‘binge drinking’, tra questi il 9.5% erano uomini e 3.6% donne. Un altro dato allarmante è che c’è una fascia d’età molto giovane, compresa tra gli 11 e i 17 anni, in cui il 17% dei maschi e il 14% delle femmine ha assunto alcol”.
AUMENTA IL RISCHIO DI STEATOSI E CIRROSI – Gli effetti nocivi dell’alcol sulla salute possono essere di diverso tipo, senza contare che sono particolarmente gravi nei minori in quanto fino a 18 anni gli enzimi non sono ancora maturi per metabolizzarlo, aumentando così anche il rischio di provocare un coma etilico. “L’alcol può avere effetti sul fegato che vanno dalla steatosi (l’accumulo di grasso) fino alla cirrosi, all’epatocarcinoma e all’epatite acuta alcol correlata, che ha un’elevatissima mortalità- spiega Giacomo Germani- Ci sono poi i danni indiretti, come gli incidenti stradali, oltre ad altre patologie che colpiscono altri organi e a livello sistemico. Le preoccupazioni per la salute emergono anche in prospettiva: una popolazione giovanile che consuma alcol in quantità significative già dagli 11 anni d’età si espone in prospettiva a un elevato rischio di malattia epatica, soprattutto se in presenza di altre patologie o di predisposizione genetica. Anche il binge drinking è un fattore di rischio: insieme ad altri cofattori come il diabete o la predisposizione genetica nel lungo periodo può accentuare lo sviluppo di malattia epatica cronica e in particolare la cirrosi”.
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